Se le statistiche raccontano di un consumatore sempre meno felice di trovare nel calice vini concentrati e ad alta gradazione, viene da chiedersi come debbano reagire i ristoranti nel costruire la carta dei vini. Ci sarà una sezione dedicata in carta per i low-alcol, come accade talvolta per gli orange oppure per i vini fortificati? Oppure tutte le referenze dovranno avere in lista l’indicazione dei gradi Abv oltre al prezzo?
Carta dei vini, vince la moderazione?
«La costruzione della carta dei vini è strettamente legata all’identità di un ristorante - sottolinea Matteo Bernardi, head sommelier alle Calandre - e noi abbiamo sempre avuto una certa attenzione per etichette dalla gradazione alcolica non eccessiva. Per cui la scelta era a monte, anche se la qualità del vino è sempre stato il focus e se questa si concilia con una bassa gradazione va pure meglio».
Certo, lo sguardo attento verso le tendenze attuali di consumo costringe a fare i conti con l’Abv. «Ovviamente, con il cambiamento climatico, in Piemonte è quasi impossibile stare sotto i 14 gradi e pure in Toscana non va molto meglio - chiosa il sommelier veneto - e dunque si cerca di contemperare scegliendo freschezza ed equilibrio, a prescindere dalla percentuale». E come si accompagna allora la scelta del cliente? «In generale spieghiamo le scelte e gli abbinamenti - replica - anche se comunque nella carta (su iPad) la maggioranza dei vini ha una scheda tecnica da cui si desume la gradazione, per cui chi sceglie il vino al tavolo può verificare anche quello».
In generale, per Bernardi potrebbe esser plausibile prevedere una sezione dedicata ai low-alcol in carta vini, ma realisticamente ha poco senso. «In realtà puoi bere un vino da 15 gradi che ha grande equilibrio e uno da 13 gradi che invece ha un’alcolicità non integrata. E allora il nostro suggerimento è sempre per il bere meno, ma bene. Piuttosto scegliamo di fermarci a due bicchieri, ma buoni e capaci di accompagnare il percorso gastronomico con garbo».
Carte dei vini, cosa conta davvero?
Secondo Francesco Saverio Russo, divulgatore del vino e formatore per la sommellerie nell’horeca, la “deriva” low e no alcohol è di fatto una impressione legata all’effetto echo chamber del mondo del vino.
«Si verifica una particolare situazione in cui informazioni, idee e convinzioni/credenze spesso vengono amplificate e rese fuorvianti dalla loro ridondante all'interno di un sistema chiuso, qual è la comunicazione del vino - spiega Russo -. La realtà è che basta chiedere a gran parte dei ristoratori, degli enotecari e dei sommelier italiani per comprendere quanto il vino stia solo cercando una stabilità in un'epoca in cui il consumo sta assumendo una dimensione differente».
Ecco che indicare la gradazione in carta non servirebbe a nulla. «Non mi risulta che accada - precisa il formatore -, ma soprattutto avrebbe poco senso, perché la bevibilità non è certo legata alla percentuale indicata in etichetta. I grandi vini di territorio, a prescindere dalla loro gradazione o dal loro affinamento, troveranno sempre spazio sulle tavole, dal privato all'alta ristorazione, passando per wine bar e trattorie».
Carta dei vini, le nuove sfide
Mentre dunque le denominazioni storiche si stanno adattando, nonostante le difficoltà climatiche, alla produzione di vini più equilibrati, «ciò che può fare la differenza in termini di "tendenza" di gusto e di evoluzione nella fruizione del vino nella ristorazione - aggiunge Russo - è il percorso di degustazione al calice nel quale si può e si deve giocare più carte, andando a dimostrare quanto il mondo del vino (e in particolare quello italiano) possa essere versatile». E allora si può spaziare «dalle referenze più fresche, agili, snelle e fini a quelle più materiche e profonde, senza mai eccedere e intervallando il vino stesso a bevande low e no alcohol che sono sempre esistite e che negli ultimi anni sono state oggetto di maggior attenzione e ricerca elevandone qualità e percezione».
Se il vino servito al calice può ridurre l'impatto complessivo dell'alcol nell'economia di una cena, «credo che sia assurdo analiticamente e concettualmente vedere il grado in più o il grado in meno in una bottiglia come un discrimine - conclude - in quanto è l'equilibrio tra le sue componenti ciò che conta davvero, oltre alla moderazione». Come dire che nessun sommelier si penserà mai di suggerire una bottiglia a 12,5 gradi perché pesa meno sul corpo e sulla patente.
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Alberto Lupini
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