Distillati da meditazione: alla scoperta di grappa, whisky, rum e brandy

Un percorso alla scoperta dei distillati da meditazione: grappa, whisky, rum e brandy. Abbiamo indicato per ciascun distillato qualche bottiglia per gli appassionati . Per i neofiti un'occasione per approfondire le origini, le tecniche di produzione e le tradizioni associate a ciascun distillato con qualche consiglio per la degustazione

25 dicembre 2023 | 06:30
di Riccardo Melillo

Grappa, whisky (o whiskey), rum e brandy (Cognac e Armagnac) sono distillati che incarnano la migliore tradizione della distillazione in tutto il mondo. La grappa, tipicamente italiana, si ottiene dalla distillazione di vinacce, offrendo un gusto robusto e caratteristico.

Il whisky è realizzato principalmente con cereali (orzo, malto d’orzo, segale o granoturco) fermentati e poi distillati, invecchiato in botti di legno e può regalare profumi complessi e sapori avvincenti. Il rum è associato principalmente ai Caraibi pur non essendo nato in quelle regioni ed è ottenuto dalla fermentazione e distillazione della melassa di canna da zucchero, con varianti che spaziano da leggere a corpose. Il brandy invece, diffuso in molte culture (Italia, Spagna e Francia), deriva dalla distillazione di vino ed ha origini antichissime.

Ognuno di questi distillati ha una storia unica e offre un’esperienza sensoriale diversa, anche perché all’interno di ognuna di queste tipologie ci sono realtà e varianti davvero notevoli. E nelle pagine che seguono cercheremo di fare un excursus il più esaustivo possibile per invitare gli appassionati, e perché no anche i neofiti, ad esplorare l’affascinante mondo dei distillati nobili da meditazione.

La grappa

La grappa è un distillato prodotto esclusivamente in Italia o nella Svizzera italiana, ricavato da vinacce. Non bisogna confondere la grappa con l’acquavite d’uva, che è un distillato di mosto e uva o vino.

Sono tre le principali tipologie di vinacce con cui distillare la grappa:

  • vinacce fermentate ottenute dalla svinatura di vini rossi.
  • vinacce semi-vergini, ottenute nella vinificazione in rosato, svinando un vino rosato e con le vinacce che hanno subito una parziale fermentazione; medesimo risultato si ottiene dalle vinacce di vini dolci, la cui fermentazione è bloccata per conservare gli zuccheri;
  • vinacce vergini, ottenute dalla “sgrondatura” nella vinificazione in bianco. In questo caso, le vinacce non hanno subito alcuna fermentazione significativa.

Le vinacce vergini o semivergini devono essere obbligatoriamente fermentate prima di dare avvio alla distillazione in quanto la grappa si ottiene unicamente da vinacce fermentate. Questa è la differenza principale con il distillato d’uva.

Grappe di qualità elevata richiedono che si separino, prima della distillazione, i vinaccioli. I raspi solitamente sono già stati eliminati dalla cantina che ha prodotto il vino. A maggior ragione, è molto raro che una distilleria lasci, anche parzialmente, i raspi insieme alle vinacce, poiché i raspi conferiscono note molto amare.

Tipologie e storia della grappa

Possiamo identificare la grappa distinguendo diverse tipologie:

  • Giovane: quando è conservata in contenitori inerti (ad esempio in vetro o in acciaio) fino alla vendita;
  • Aromatica: quando deriva da uve aromatiche quali Brachetto, Malvasia, Moscato e Traminer aromatico;
  • Invecchiata: quando matura per almeno 12 mesi in botti di legno;
  • Riserva, invecchiata o stravecchia: quando matura per almeno 18 mesi in botti in legno;
  • Aromatizzata, con l’aggiunta di aromatizzanti naturali, come erbe, radici o frutti o parte di esse. 

Ora possiamo dire di conoscere un po’ meglio cosa sia realmente la grappa, ma come è nata? Qual è la sua storia? La leggenda vuole che un ignoto legionario romano del I° sec. a.C., reduce dall’Egitto, dove aveva trafugato un impianto di distillazione, avesse appreso le tecniche per ottenere un distillato dalle vinacce che otteneva dal vigneto di cui era assegnatario in Friuli.

Lo storico Luigi Papo fa risalire la prima produzione in Friuli nel 511 d.C. ad opera dei Burgundi che dalla vicina Austria fecero una fugace apparizione a Cividale, applicando le loro tecniche della distillazione delle mele, per la prima volta con le vinacce ottenendo quindi la grappa. Nel 1451, abbiamo un primo riferimento alla distillazione della grappa quando fu inventariato tra i beni lasciati dal notaio di Cividale Ser Everardo da Cividale, “unum ferrum ad faciendam acquavitem”.

Le prime testimonianze dello studio sulla distillazione delle vinacce risalgono però al 1600 e sono dovute ai Gesuiti, tra i quali va ricordato il bresciano Francesco Terzi Lana. Fino agli inizi del XIX secolo non vi è però una distinzione netta tra i vari distillati alcolici.

La nascita della Distilleria Nardini, a Bassano del Grappa (Vi) nel 1779 determinò una vera e propria rivoluzione e segnò l’inizio della distillazione moderna in Italia, attraverso l’introduzione del metodo di distillazione “a vapore”.

Fino agli anni Settanta del Novecento, le grappe classiche erano prodotte da vinacce indifferenziate. Solo un’azienda piemontese, la Distilleria Bocchino di Canelli, nel cuore dell’astigiano, produceva dal 1898 una grappa da sole vinacce di moscato, abbondanti nella zona. L’idea del fondatore, Carlo Bocchino, fu quella di utilizzare per la distillazione queste profumate ed abbondanti vinacce, le quali, solitamente, venivano abbandonate lungo il greto del torrente Belbo che attraversa per l’appunto l’abitato di Canelli.

L’idea di produrre una gamma di grappe cosiddette monovitigno, ovvero prodotte da un’unica tipologia di uva, ha di fatto cambiato la percezione della Grappa, elevandola da prodotto di basso livello a distillato di pregio. Questa “svolta copernicana” si deve alla famiglia Nonino che nel 1973 registra il termine monovitigno.

La degustazione della grappa

La grappa deve essere servita preferibilmente nel bicchiere cosiddetto “tulipano” con un leggero restringimento in alto, che permetta agli aromi e ai profumi di convogliare senza farsi penalizzare dall’alcol. Anag (Associazione nazionale assaggiatori grappa ed acquaviti) ha progettato un bicchiere ad hoc che, grazie a dimensioni e forma, riesce ad esaltare la grappa.

Per degustare al meglio non bisogna mai riempire il bicchiere, ma non superare mai la metà della pancia del tulipano. Importante anche la temperatura, non va mai servita troppo fredda. La temperatura ideale è tra i 15 e i 18°C per le grappe giovani (e giovani aromatiche) e invece intorno ai 20°C per le invecchiate e riserva.

La grappa non è come il vino, non serve tuffare il naso nel bicchiere, basta avvicinarsi lentamente per godere dei profumi che il distillato sprigiona. Le grappe bianche dovrebbero avere i profumi caratteristici dell’uva di provenienza, generalizzando, vitigni con note fruttate possono ricordare mela, pera e albicocca e sentori floreali ed erbacei. Le barricate invece sentori di vaniglia, note di confettura, spezie dolci, legno.

E ora l’assaggio, è meglio iniziare con un piccolo sorso per abituare il palato. In bocca le grappe bianche presentano sensazioni pulite, morbide, piacevoli, senza alcun bruciore, con note fruttate e floreali, le grappe invecchiate sprigionano sensazioni eleganti, che possono ricordare vaniglia, spezie e legno. Le riserve invecchiate oltre i 3 anni presentano anche sentori di tabacco, cuoio, liquirizia e cioccolato.

Tipologie e storia del whisky (o whiskey)

Il whisky (scozzese) o whiskey (irlandese e americano) è un distillato ottenuto dalla fermentazione e successiva distillazione di vari cereali (principalmente orzo), maturato in botti di legno. Alcuni cereali vengono fatti germinare e trasformati in malto.

Tradizionalmente si fanno risalire le prime pratiche di distillazione del whisky a San Patrizio, protettore d’Irlanda e ai suoi monaci, ma non esistono documenti che confermino l’origine irlandese del whisky.

In un documento del Registro dei Conti Scozzese si fa riferimento ad una partita di malto indirizzata a frate John Corr per la produzione di aqua vitae - termine tradotto nel galeico “uisce beatha” che, nel corso degli anni è diventata la parola “whisky” - quindi come per San Patrizio anche in Scozia furono i monaci e la Chiesa a svolgere un ruolo essenziale nella diffusione di questa bevanda.

Quindi il whisky è scozzese o irlandese? La diatriba va avanti da centinaia di anni... gli scozzesi però tengono a sottolineare come San Patrizio sia nato in Scozia e quindi, anche concedendo la scoperta agli irlandesi, parte della paternità rimarrebbe in terra Scozzese.

La grafia whisky è generalmente usata per indicare quelli distillati in Scozia (scotch whisky) e in Canada (canadian whisky), mentre con la grafia whiskey si indicano generalmente quelli distillati in Irlanda e negli Stati Uniti (Bourbon whiskey, Tennessee whiskey, Rye whiskey e Corn whiskey). Il più famoso però è sicuramente quello prodotto in Scozia dove si producono tre categorie di acquaviti profondamente diverse:

  • Single malt, whisky di malto ricavato dalla distillazione di solo malto d’orzo (operata solitamente con alambicco discontinuo),
  • Blended whisky, ottenuto dalla miscelazione di whisky di cereali (distillato con alambicco continuo) con whisky di malto d’orzo; 
  • Single grain, ottenuto dalla distillazione di cereali diversi dall’orzo, come il frumento ed il mais e prodotto da una sola distilleria, operata con impianti a colonna, quindi con una distillazione continua.

Le materie principali sono l’acqua (di sorgente), i cereali (i più utilizzati sono segale, grano, mais e orzo che può essere sia maltato oppure no), la torba impiegata per essiccare il malto, e il lievito.

Come si produce il whisky

Maltaggio: la fase iniziale provvede la macerazione e il maltaggio. Il cereale viene immerso in acqua e successivamente steso su un pavimento (malting floor) per lasciare spazio alla germinazione. Poi il cereale viene essiccato in particolari forni. Per esempio in Scozia si utilizza il fumo di torba, che determina il tipico sentore torbato.

Infusione: dopo l’essicazione il malto è pronto per il mashing, cioè viene macinato e miscelato con acqua calda in tini di grande dimensione, producendo mosto. Per 100 litri di mosto si ottengono circa 7 litri di whisky nella fase della distillazione.

Fermentazione: al mosto viene tolta la parte solida, vengono aggiunti acqua e lieviti e posto in grandi contenitori (legno o acciaio) e il composto fermenta.

Distillazione: il mosto fermentato viene posto nell’alambicco e riscaldato con vapore. Il liquido evapora e viene condensato. La prima distillazione produce un risultato con gradazione alcolica compresa tra i 22 e i 24°C gradi. Durante la seconda distillazione vengono eliminate la “testa” e la “coda” che sono nocivi per l’uomo. Il risultato della seconda distillazione si traduce nel cosiddetto “cuore”, con gradazione alcolica intorno a 70°C.

Invecchiamento: generalmente vengono utilizzate botti di rovere, ad esempio americane (ex-bourbon) oppure spagnole (ex-sheery/porto/madeira). Il tipo di botte utilizzato, la dimensione, la permanenza, il clima… sono fattori che andranno a determinare il profilo finale del distillato. Per esempio, i barili ex-bourbon, alla vista donano tonalità di colore dorato, sentori e sapori dolci e vanigliati. Invece, i barili spagnoli regalano tinte di colore più forti, note persistente, intense e caramellate.

I principali paesi del whisky

Abbiamo parlato di storia e di origini contese tra Scozia e Irlanda, ma questo distillato si è diffuso in tutto il mondo. Prima in Stati Uniti e Canada e poi in Giappone, senza dimenticare una piccola produzione anche in Italia.

Nel Nuovo Mondo il whiskey ha iniziato ad essere prodotto a partire dal XVIII secolo, dai coloni di origine irlandese e scozzese, che cercavano di riprodurre la loro bevanda  alcolica preferita. Non avendo orzo e frumento in abbondanza come in Europa, dovettero utilizzare i cereali che crescevano nel continente americano (principalmente mais e segale).

Esistono 3 tipologie di whiskey americano: il Bourbon, il Tennessee e il Rye. Tutte le tipologie si ottengono distillando mais e segale e il procedimento è identico o molto simile. Ciò che cambia è la percentuale di mais o segale utilizzata. Il Bourbon e il Tennessee utilizzano per lo più il mais (almeno al 51%), mentre il Rye si ottiene dalla distillazione della segale (presente in quantità dal 51% al 100%).

Il whisky giapponese è nato nei primi anni del ‘900 grazie a Masataka Taketsuru, che fu inviato dall’azienda Settsu Shuzo in Scozia per carpire i segreti della distillazione dello scotch whisky. Qui studiò chimica all’Università di Glasgow, lavorò in alcune distillerie dello Speyside e a Campbeltown, prima di tornare in Giappone nel 1920. Quando gli fu comunicato che il progetto era stato abbandonato, trovò in Suntory, all’epoca guidata dal fondatore Shinjiro Torii, un nuovo alleato e riuscì quindi ad aprire la prima distilleria di whisky giapponese, Yamazaki, nel 1924 nei dintorni di Kyoto.

Negli anni a seguire il numero delle distillerie e dei consumatori crebbe nella nazione e con esso la gamma delle tipologie prodotte. Mentre all’inizio si realizzavano esclusivamente blended, nel 1984 nacque il primo single malt, un whisky prodotto esclusivamente con malto d’orzo. La particolarità è però nell’invecchiamento. Alcune tipologie di legno utilizzate, come il cedro giapponese o la quercia giapponese Mizunara, sono in grado di conferire sentori unici.

E in Italia? Il primo a produrre whisky è stato Puni, nel 2015 in Alto Adige. Il progetto è stato voluto dalla famiglia Ebensperger ed è iniziato nel 2010. Anche Poli, storica distilleria di Schiavon, in provincia di Vicenza, ha da un paio di anni inziato a produrre il “Segretario di Stato”, un whisky invecchiato 5 anni e affinato in botti di Amarone. Ed è notizia recente poi il lancio del Ter Lignum, sempre in Alto Adige da una partnership di Birra Forst e Roner distillerie.

Come degustare il whisky

Come per la grappa anche per questo distillato la scelta del bicchiere è importante. Il più famoso è siruramente il Glencairn che prende il suo nome dall’omonimo produttore scozzese. La sua forma è simile a quella del bicchiere a tulipano, ma appare leggermente più ampia e più alta di quello classico, essendo il bicchiere alto 11,4 cm e con un diametro di 4,6 cm. La temperatura di servizio è generalmente tra 18 e i 20°C.

Il whisky può essere gustato liscio, servito con ghiaccio o in alcuni casi diluito con acqua per aprire ulteriormente gli aromi e ammorbidire il gusto. Versa una piccola quantità di whisky nel bicchiere e osserva il suo colore alla luce. Il colore può fornire indizi sulla maturità. Ruota il bicchiere delicatamente in modo da liberare gli aromi e a rivestire le pareti del bicchiere. Avvicina il naso al bordo del bicchiere e inspira lentamente. Prendi un piccolo sorso e lascia che il whisky copra la tua lingua. Mantieni il whisky in bocca per alcuni secondi per percepire la varietà di sapori. Cerca di identificare le note iniziali, il corpo, le sfumature e la finitura.

Tipologie e storia del rum

Il rum (in francese rhum, in spagnolo ron) è il distillato ottenuto dalla melassa della canna da zucchero o del suo succo. La prima distillazione di rum avvenne a Londra con le canne da zucchero indiane intorno al XV secolo, dopo il XV secolo iniziarono ad usare canne da zucchero provenienti dalle Americhe.

La prima distillazione di rum nelle Americhe ebbe luogo nelle piantagioni di canna da zucchero dei Caraibi nel XVII secolo. Gli schiavi delle piantagioni scoprirono per primi che le melasse, un sottoprodotto del processo di raffinazione dello zucchero, fermentavano in alcool. La popolarità della bevanda si diffuse nelle colonie statunitensi. Per sostenere la richiesta del liquore, la prima distilleria nelle colonie fu fondata nel 1664 nell’odierna Staten Island.

Tre anni dopo una distilleria venne aperta a Boston. Sino alla seconda metà del XIX secolo tutti i rum erano liquori forti o scuri considerati adeguati per i lavoratori poveri, a differenza dei raffinati spiriti a doppia distillazione europei. In modo da espandere il mercato per il rum, la Commissione Reale di Sviluppo spagnola offrì un premio a chi avesse migliorato il processo produttivo del rum. Ciò introdusse diversi aggiustamenti che migliorarono notevolmente la qualità del liquore.

Una delle figure più importanti in questo processo di sviluppo fu il catalano Facund Bacardí i Massó, che si trasferì dalla Spagna a Santiago di Cuba nel 1843. Gli esperimenti di Don Facundo con le tecniche di distillazione, il filtraggio del carbone vegetale, la coltivazione di differenti ceppi di lievito e l’invecchiamento con botti di quercia americana aiutarono a produrre una bevanda più dolce e gradevole tipica dei rum leggeri moderni. È con questo nuovo rum che Don Facundo fondò la Bacardí y Compañía nel 1862.

Il rum può essere bianco, oro, scuro, invecchiato, overproof (con gradazione alcolica molto elevata) o speziato (arricchito con infusione di frutti e spezie). Ci sono poi all’interno del vasto panorama della produzione, tipologie di rum che sono riconducibili alle lavorazioni tradizionali utilizzate nelle varie zone dei Caraibi:

  • Stile cubano e portoricano: viene usata come materia prima la melassa, distillata in alambicco continuo. Si ha un distillato leggero e raffinato.
  • Stile giamaicano: viene usata come materia prima la melassa, distillata in alambicco discontinuo. Si ha un distillato scuro e forte.
  • Btile francese: viene usato come materia prima il succo di canna da zucchero, distillato in colonna continua. Si ha un distillato con sentori fruttati e floreali.
  • Stile Trinidad: viene usata come materia prima la melassa, distillata in alambicco continuo. Si ha un distillato con sentori di legno forte.

La degustazione del rum

A differenza dei whisky, il rum va bevuto a temperatura ambiente 18-20° circa, no categorico all’aggiunta di ghiaccio o acqua. Tra i bicchieri ideali per il rum, troviamo lo snifter (Balloon vetro sottile, stelo e vaso panciuto), oppure il già citato Glencairn da whisky, ma adatto anche alla degustazione di rum, grazie alla sua forma (corpo ampio e apertura piccola) che permette al distillato di aprirsi in modo equilibrato, senza far evaporare in modo eccessivo il ventaglio di aromi a disposizione, intrappolati nel bicchiere grazie all’apertura più stretta, caratteristica in comune con lo snifter.

Se il rum bianco è generalmente usato in miscelazione, le altre tipologie sono a tutti gli effetti dei distillati da meditazione e, seppur molto diversi a seconda della tipologia, ci sono delle accortezze generali per degustarli al meglio: versare riempiendo un quarto circa della capienza del bicchiere e iniziare ad apprezzarne note e profumi. Lasciarlo respirare, roteando dolcemente il bicchiere, con l’ossigenazione i sentori potrebbero evolversi... Un piccolo sorso per preparare il palato e poi uno più consistente, l’assaggio vero e proprio.

Storia e differenze tra brandy, Cognac e Armagnac

L’etimologia della parola viene fatta derivare dall’abbreviazione dell’inglese brandywine, a sua volta tradotto dall’olandese brandewijn, cioè vino bruciato. Gli olandesi, infatti, nel XVII secolo erano i più attivi mercanti di vini e di spiriti, e si rifornivano lungo le coste atlantiche, dalla Francia al Portogallo, ed esportavano in Inghilterra e nel Nord Europa. Ma il brandy ha origini molto più antiche, deve infatti i suoi natali al califfato degli Omayyadi e nacque come medicinale.

Gli alchimisti musulmani erano alla ricerca di nuove cure per le malattie legate alla gola e ai polmoni, per cui procedevano purificando il vino grazie all’uso degli alambicchi. Siamo intorno al 1300 e gli arabi stanno avanzando con la loro espansione nell’Europa meridionale e ben presto il brandy inizia a diffondersi. Con il trascorrere degli anni, la tradizione del brandy in Andalusia si afferma sempre di più, al punto che si diffonde prima in Gran Bretagna e poi in Olanda, diventando il distillato più richiesto del tempo.

Il termine brandy è universalmente riconosciuto, ma in alcune zone della Francia riceve una denominazione d’origine legata al territorio di produzione (Armagnac e Cognac). Per avere un ottimo brandy è importante la materia prima, in modo da ottenere un distillato perfetto e per questo deve essere usato un vino bianco di qualità elevata, privo di solfiti o conservanti e senza difetti.

Il vitigno più impiegato è il Trebbiano (conosciuto in Francia come Ugni blanc). Il punto di partenza è la selezione dell’uva, si procede quindi con la distillazione e poi con l’affinamento in botte. Questo è un passaggio fondamentale, proprio perché la permanenza in botte di legno lasciare sapori, odori e colori, capaci di alterare la composizione finale del brandy.

In Francia il brandy, come accennato ha due denominazioni ben precise in base alla zona di produzione: Cognac e Armagnac.

La zona di produzione del Cognac comprende una grande parte del dipartimento del Charente, di tutto il Charente Maritime e di alcune zone del Dordogne e del Deux-Sèvres. Nel cuore della regione si trova Jarnac, Segonzac e Cognac (che si trova 465 chilometri a sud-ovest di Parigi e 120 chilometri a nord di Bordeaux), che ha dato il nome alla bevanda.

L’Armagnac è prodotto invece in una regione più a sud, nel dipartimento del Gers, delle Landes e del Lot e Garonne. L’uva (Ugni blanc) viene raccolta appena matura, e viene prodotto un vino che subisce una fermentazione di 3 settimane, poi si procede con la distillazione in due fasi (chauffes). La prima “chauffe” dura fra 8 e 10 ore e produce un liquido chiamato “brouillis”, con un contenuto di alcool di 24 - 30 %vol. Viene poi distillato nuovamente con un processo chiamato “la bonne chauffe” che dura circa 12 ore.

Il distillatore taglia il cuore del distillato dalla testa e dalla coda che sono mescolate con vino o i brouillis per essere distillati nuovamente. Soltanto il cuore che ha una gradazione alcolica tra il 68% e il 72%, è fatto invecchiare fino a diventare Cognac. Durante i primi 5 anni, il Cognac diventa meno aggressivo e il colore diventa ambrato, il gusto diventa più piacevole e più rotondo, emergono profumi di fiori e vaniglia. Oltre 10 anni, il cognac raggiunge la maturità ed ha un colore molto più scuro.

Più nello specifico il Cognac è un mondo molto complesso che dipende da tre classificazioni (che tra l’altro si possono sovrapporre) ma che potremmo definire in stile di distillazione, zone di produzione e classificazione di invecchiamento.

Lo stile di distillazione, oltre a quanto già detto fa riferimento all’utilizzo o meno dei lieviti nel processo di produzione e cioè metodo Martell (senza) o stile Rèmy (con). L’Aoc (Appellation d’origine contrôlée, la nostra Doc) del Cognac di divide in 6 sottozone o “Crus” e ognuna di queste ha caratteristiche morfologiche diverse che vanno ad influenzare il prodotto finito e sono Grande Champagne, Petite Champagne, Borderies, Fins Bois, Bons Bois e Bois Ordinaires.

In ultimo viene identificato dal grado di invecchiamento: VS (almeno due anni), VSOP (almeno 4 anni), XO (almeno 6 anni) e XXO (almeno 14 anni). A queste denominazioni ufficiali se ne aggiungolo altre tradizione come ad esempio Napoleon (almeno 5 anni), Réserve (25 anni) e Hors D’age (oltre 30 anni).

In Italia le uve più utilizzate sono il trebbiano ed alcune uve rosse ricche di acidità, che vanno comunque vinificate in bianco. Il brandy italiano viene classificato in 6 tipologie a seconda del periodo d’invecchiamento: AC (invecchiato per almeno 2 anni), VS (per almeno 3 anni), Napoleon (per almeno 4 anni), VSOP (almeno 5 anni), XO (almeno 6 anni), Hors D’age (più di 6 anni).

Le distillerie di brandy italiano più conosciute sono le Distillerie F.lli Branca che producono lo Stravecchio, la distilleria Stock di Trieste che produce lo Stock 84, la distilleria emiliano-romagnola Buton che commercializza il Vecchia Romagna e l’azienda vinicola siciliana Florio.

Il brandy spagnolo utilizza principalmente uve coltivate nelle regioni meridionali (airen, palomino, folle blanc, parellada, macabeu e xarello), l’invecchiamento può variare da un minimo di 6 mesi fino anche a 15-20 anni e di solito avviene nelle botti da sherry. A seconda del periodo si divide in tre categorie: Solera (almeno 6 mesi), Solera Reserva (almeno un anno) e Solera Gran Reserva (più di 3 anni). Tra i marchi più noti ricordiamo Cardenal Mendoza, Veterano, Fundador, Carlos I e Torres.

La degustazione del Brandy

Comunemente il brandy viene bevuto liscio in bicchieri bassi con stelo corto ed ampio calice, tipo balloon o tipo tulipano. Il bicchiere di brandy va tenuto tra le mani e riscaldato con il calore delle stesse, bevuto a piccoli sorsi come fosse un vino da meditazione.

Può essere consumato dopo i pasti o la sera per favorire la digestione ed il sonno, oppure può accompagnare taglieri di formaggi erborinati o molto stagionati.

Non va mescolato con ghiaccio perché il freddo impedirebbe agli aromi di sprigionarsi e non va riscaldato con una fiamma perché altrimenti si brucerebbero gli aromi stessi.

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Alberto Lupini


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