Locuzione divenuta improvvisamente modaiola, per poi diventare abusata e dunque in questo momento non particolarmente apprezzata, il food pairing risulta un nodo controverso con il quale si confrontano maître e sommelier, giornalisti e food blogger. Eppure, se osservato come il semplice esercizio di scelta dei migliori sapori da accostare, nel piatto e nel calice, tutto risulta relativamente semplice perché a guardar bene non esistono regole definite. Senza arrivare alla banalizzazione per cui “piace quel che piace“, è pur vero che il palato è alquanto personale e dunque le regole fisse e inamovibili fanno sorridere, quantomeno perché non prendono in considerazione la possibilità di stimolare la curiosità.
Se infatti il termine inglese “pairing” deriva dalla radice latina “par”, che (come per l’italiano) “pari“ indica un’equazione che porta a un accostamento paritario, appunto, si intuisce facilmente come risulti inadeguato concentrare l’attenzione sulle parole. Risulterebbe infatti poco ragionevole (e poco gratificante) proporre banalmente similitudini, perché forse è giocando di contrapposizioni e bilanciamenti che il calice porta godimento durante il pasto o per un aperitivo rinforzato con una proposta ittica.
Tra crudi e crostacei
Provando a percorrere un menu di pesce alla ricerca di abbinamenti intriganti o almeno bilanciati, si parte dai crudi per arrivare alle fritture e si gioca di curiosità. Se tra gli antipasti si prediligono crudité di mare, tra carpacci e crostacei, serve attenzione per non rimescolare le carte. Se infatti la materia prima di qualità non va sovrastata, la polpa di pesce fresco in carpaccio o in tartare si accompagna col garbo di vini di relativa delicatezza e freschezza come il Pinot bianco di Manincor o Alois Lageder, il Nuragus di Antonella Corda o un Lacryma Christi del Vesuvio come il Munazei di Casa Setaro (a base Caprettone). Ottimi anche bianchi non aromatici che giocano di sapidità come il Vermentino Su’Imari di Su‘Entu dalla Marmilla o il Pigato (ottimo lo Spigau Crociata di Rocche del Gatto, meglio se con qualche anno trascorso in bottiglia). Si può osare un affondo sul Ribona Asola di Fontezoppa o su un Fiano di Avellino - ideale se affinato per qualche anno sui lieviti, come lo lavora Roberto Di Meo - che nella complessità non rinuncia all’eleganza e può reggere anche eventuali salse di accompagnamento.
Sul carpaccio marinato o su carni più succulente, vale la pena di spingersi fino a un Riesling (renano o della Valacchia - perché non osare un Rizling di Vdovjak dalla Slovacchia?) oppure, per rimanere in Italia, su un elegante Verdicchio dei Castelli di Jesi, come il Ghiffa di Colognola o il Superiore di Stefano Antonucci. Se si cena in Valbelluna, un Tilio di De Bacco (base Bianchetta) o un Via Sonora di Filippo De Martin sono una gran bevuta. Il Verdicchio accompagna agevolmente anche il passaggio ai crostacei, la cui sapidità richiede un calice tonico e capace di profondità: in zona Jesi ci si può orientare sull’immancabile Bucci, mentre spostandosi a Matelica si può puntare sul verticalissimo Vertis di Borgo Paglianetto o sul più accomodante Cambrugiano di Belisario.
Vini solidi per grigliate e zuppe
Scivolando verso le cotture vere e proprie, la grigliata di pesce (pure con qualche crostaceo) richiama calici di maggiore morbidezza e struttura, meglio se con una sapidità che richiami le carni. Dal Villa Bucci al Salmariano di Marotti Campi (entrambi Castelli di Jesi Verdicchio Riserva), dal Pecorino Offida di Vigneti Santa Liberata al Critone di Librandi fino al Vulcaia Fumé di Inama, i vini che portano carattere stimolano un confronto con la forchetta. Se la cena di pesce guarda alla Toscana, una Vernaccia di San Gimignano dal carattere raffinato come quella del Colombaio di Santa Chiara o il Vermentino Belguardo V di Tenuta Belguardo (Mazzei). A qualcuno può garbare più un sorso aromatico rispetto alla nettezza di alcuni “rossi travestiti di bianco”, per cui suggeriamo un’escursione a Nord-Est tra le etichette dei fratelli Butussi, che se nella Ribolla giocano la carta d’eccellenza possono spaziare su vitigni più aromatici e soddisfare i palati più esigenti, ma anche per l’immancabile Sauvignon firmato Tiare (che prende la forma migliore dopo qualche anno); altra opzione l’Alto Adige, con il Gewürztraminer Joseph di Hofstätter o il Sylvaner dell’Abbazia di Novacella. Da provare anche il Trachite Bianco di Alla Costiera, in terra di Colli Euganei.
Non sono da dimenticare i rosati - dal Mun de La Calcinara al rosé È di Mora & Memo, dal Chiaretto Traccia di Rosa di Matilde Poggi al Diagonale di Vigneti Repetto - e soprattutto i macerati, che con una tannicità più spinta reggono pesci saporiti tanto quanto zuppe. Si può spaziare dall’eccellente Ribolla Anfora di Gravner alla Vitoska di Zidarich, dalla Nosiola Fontanasanta di Elisabetta Foradori sulle Dolomiti al Coccio di Filodivino nelle Marche, dal Dressel di Bosco de Medici. Per le zuppe di pesce (in particolare se con presenza di pomodoro) è opportuno giocare su un’acidità più contenuta e soprattutto su un tannino più compatto. E allora ecco la virata sui vini rossi, dall’eleganza del Cannonau di Mora & Memo o della Schiava Fass Nr 9 di Girlan, dell’Etna Rosso di Terre Costantino sull’Etna al Grignolino Starderi di Mura Mura, fino alla potenza del Folle de La Calcinara (un Montepulciano in purezza dal Conero) o il Laeneo di Tenuta di Fessina dall’Etna, fino al Nebbiolo del Capisme-e di Domenico Clerico. Non è infatti necessario rimanere nella zona di comfort, ma una proposta di rottura può lasciare molto soddisfatti.
Una bolla per la frittura
Per concludere, l’immancabile frittura offre l’occasione perfetta per una bolla elegante. Non che un Calvarino di Pieropan o uno Zibibbo di Barraco non possano sostenere il confronto con qualsiasi boccone, ma il perlage aiuta a sgrassare il palato. Qualche idea? Per gli amanti del metodo classico si può spaziare da un’Alta Langa a un Trento Doc (e qui difficilmente si sbaglia, da Moser a Ferrari, la corsa è ricca di proposte), senza dimenticare i Franciacorta - meglio se pas dosé come la Cuvée Imperiale di Berlucchi o il Pas Operé di Bellavista, ma anche in versione “riedizione” come quelle proposte da Mosnel. Intrigano soprattutto le bolle da vitigni autoctoni, come il Mat55 di Pian delle Vette da Bianchetta in Valbelluna, il Pietrafumante dosaggio zero di Casa Setaro da uve Caprettone, ma anche l’intera gamma di Fongaro che con i suoi lunghi affinamenti ha rivelato tutta la bellezza dell’uva Durella.
Per chi ama il metodo charmat, non può mancare un calice di Prosecco: dal Conegliano Valdobbiadene, dove si spazia dalle vigne vecchie di Ruggeri alla lunga tradizione di Bortolomiol, fino al Prosecco Doc che dalle pianure si spinge fino in collina, dai Colli Euganei alla pedemontana bellunese, dove brand come Le Rughe propongono le sfumature migliori di una bolla veneta in altitudine.
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Alberto Lupini
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