Come “suona” il vino? Ce lo dice il miglior enologo d'Italia 2022

Vincenzo Mercurio è stato premiato dall'Accademia dell'Oscar di Bibenda e dalla Fondazione italiana sommelier come miglior enologo d'Italia, ma è anche musicista dilettante. Associa ogni calice ad un genere musicale . Il Primitivo di Manduria? È blues. Il Merlot? È rock. E il Cannonau? Sensuale come un tango

10 dicembre 2022 | 05:00
di Vincenzo D’Antonio

Ogni calice ha la sua musica. Lo sa bene Vincenzo Mercurio, musicista dilettante ed enologo di professione. O meglio, miglior enologo d'Italia. Il prestigioso riconoscimento gli è stato conferito dell’Accademia dell’Oscar di Bibenda e Fis, Fondazione italiana sommelier. 

Winemaker ed enologo consulente con oltre 25 anni di esperienza alle spalle, Vincenzo Mercurio si è formato in Italia e all’estero, in particolare in Francia. Mercurio porta con sé quella che ormai è diventata una filosofia da applicare all’intero processo produttivo, dalla vigna alla bottiglia. Alla base una costante formazione, sia accademica che sul campo.

Con Vincenzo Mercurio abbiamo conversato a lungo nel giorno dell’Immacolata. L’incontro è avvenuto nella sua bella casa a Castellammare di Stabia, con magnifica vista sul Golfo di Napoli.

Intervista a Vincenzo Mercurio, miglior enologo d'Italia 2022

Tu sei il migliore winemaker italiano, e tale titolo ti è stato conferito da giuria autorevolissima. E allora a te posso chiedere: “ma il vino si fa con l’uva?”
Certamente sì, e che uva! Il vino, il grande vino, non può che essere fatto da una grandissima uva.

Che cos’è una grandissima uva?
Un’uva che è in grado di esprimere il suo carattere, la sua personalità, che è una sintesi di genetica ed “epigenetica”. La prima legata alla varietà, la seconda al modo in cui si conduce una vigna. Il tutto estremamente influenzato dal terroir di cui l’uomo ne è parte ed interprete al tempo stesso.

In poche parole, in cantina cosa avviene da quando arriva l’uva a quando esce la bottiglia?
In cantina tutto deve essere considerato con la massima attenzione, ogni singolo passaggio può irrimediabilmente peggiorare la qualità del vino. In cantina ci vuole conoscenza, coscienza e scienza. Il ruolo di chi si occupa della produzione è di prendere il testimone dalla vigna e trasferirlo il più possibile integro in bottiglia. Lasciare una traccia importante delle origini vuol dire gran qualità del lavoro in cantina, quindi integrazione territoriale e non confezione enologica.

Quanto incidono pari skill di professionalità e stima reciproca tra agronomo e winemaker?
Non è possibile pensare che esista una linea di confine tra le due professioni quando parliamo di uva e vino. La visione deve essere la stessa seppure con skills differenti, la condivisione di filosofia produttiva e di qualità è alla base del successo di un vino.

Perché circa due decenni fa lasciasti il tuo ruolo di enologo in cantina storica, famosa, blasonata e scegliesti di esercitare la libera professione?
Presi questa difficile decisione per la necessità di aggiungere tasti al mio pianoforte.

E adesso, a giudicare dai riconoscimenti che ottieni, va detto che il tuo pianoforte è preciso e perfetto. Tu sei anche musicista dilettante. Proviamo ad assimilare un tipo di musica ad un vino. Cominciamo dallo swing.
Falanghina del Sannio, in quanto espressiva e comunicativa.

Jazz?
Fiano di Avellino, virtuosismo solistico.

Blues?
Primitivo di Manduria, caldo e malinconico.

Rock?
Merlot, internazionale e trasversale.

Pop?
Chardonnay, piace a tutti.

E concludiamo con la musica che accompagna il tango.
Ah, siamo nell’apoteosi di calore e sensualità, e allora dico il Cannonau.

Il riconoscimento che hai ricevuto sabato scorso, miglior enologo d’Italia, di certo ti ha fatto piacere e ti ha inorgoglito. Al contempo ciò ti pone davanti a nuovi traguardi, al consolidamento di progetti, a nuove sfide. Ci dici?
Lo scorso 3 dicembre a Roma, in occasione della presentazione di Bibenda 2023, guida di riferimento edita dalla Fondazione italiana Sommelier presieduta dall’istrionico Franco Ricci, ho avuto un importante riconoscimento: Oscar del vino come Miglior Enologo, conferito prima di me a dei grandi e notissimi interpreti dell’enologia Italiana, e penso tra gli altri al Maestro Giacomo Tachis, e a Franco Bernabei, Renzo Cotarella, Riccardo Cotarella, Carlo Ferrini, Roberto Cipresso, Donato Lanati, Barbara Tamburini. Sono sincero dicendoti che considero questo riconoscimento non come la meta, ma come una importantissima tappa, rispetto al grande percorso da fare. Nel prossimo futuro tanti i progetti in fermento, tra i quali la sostenibilità ambientale. Attraverso studi e viaggi in zone come l’Austria, la Svizzera, dove c’è una cultura diffusa sull’argomento, sto lavorando ad un metodo da condividere con tutti i produttori che sognano un mondo migliore da lasciare alle future generazioni. Il riconoscimento di cui mi onoro lo condivido con quanti hanno creduto in me sposando la mia filosofia, per la quale il vino non è solo un prodotto ma un progetto di vita. Voglio ringraziare le aziende vitivinicole e la squadra di collaboratori delle Ali di Mercurio, che ho formato e che mi supporta, e la mia famiglia, che condivide quotidianamente le gioie e i tanti sacrifici.

 

Il vino inteso come business sta vivendo momento gramo: giacenze, invenduto, caduta del prezzo dello sfuso. Quanto, a tuo avviso, tutto ciò è dovuto a fattori esogeni, la guerra, il caro bollette, l’inflazione, e quanto a fattori endogeni riconducibili a scarsa attenzione ai nuovi approcci al mercato del dopo pandemia?
La pandemia ha evidenziato o meglio amplificato e velocizzato le nostre debolezze e le nostre forze. Dal punto di vista dell’economia globale, è un momento di grande difficoltà per alcuni e di grande opportunità per altri, la dicotomia tra ricchi poveri è sempre più netta. Gli scenari sono complessi e il mondo del vino non fa eccezione. I fattori esogeni purtroppo incidono molto sia sui costi di produzione che sulla minore disponibilità economica del consumatore, su quelli endogeni di contro ritengo urgente un approfondimento, in quanto ho l’impressione anzi la certezza che siano cambiati i paradigmi della vendita, delle fiere, della comunicazione.

E qui, caro Vincenzo, si aprirebbe discorso altro. Tra pochi giorni saremo nell’anno nuovo. Qual è il tuo augurio per il 2023?
La pace.

Augurio che condividiamo pienamente!

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Alberto Lupini


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