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lunedì 24 marzo 2025  | aggiornato alle 13:25 | 111322 articoli pubblicati

Il vino non è in crisi: i ristoranti non sanno più come venderlo

WineParis 2025 ha visto una massiccia presenza italiana, ma pochi risultati concreti. Il problema non è la saturazione del mercato, ma la mancanza di idee e strategie per coinvolgere il consumatore

di Andrea Pilotti
Co-Fondatore di 5 Hats Srl
 
22 marzo 2025 | 11:00

Il vino non è in crisi: i ristoranti non sanno più come venderlo

WineParis 2025 ha visto una massiccia presenza italiana, ma pochi risultati concreti. Il problema non è la saturazione del mercato, ma la mancanza di idee e strategie per coinvolgere il consumatore

di Andrea Pilotti
Co-Fondatore di 5 Hats Srl
22 marzo 2025 | 11:00
 

È da poco finito WineParis e si è già scritto molto. Sono stati analizzati tutti i dati, compreso il fatto che le aziende italiane si sono fiondate a Parigi - 1.200 in questo 2025, contro le 700 del 2024 - come se esserci fosse la soluzione ai mali che stanno attanagliando il settore. Risultato? Ci sono contenti e scontenti, ma tutti hanno l’amaro in bocca perché si è tornati a casa poveri di vera progettualità per i prossimi anni. Tutti i rumors della vigilia sono stati confermati: il mondo del vino si è avvitato su se stesso, pensando che l’unico sistema per recuperare sia ridurre drasticamente produzione, aziende e prodotti presenti sul mercato. Siamo destinati a tagliare del 30-40% la produzione di vino nei prossimi anni?

Il vino non è in crisi: i ristoranti non sanno più come venderlo

Vino: il problema non è la saturazione del mercato

Un articolo interessante di WineMeridian del 10 febbraio, parlando proprio di WineParis, conclude con una riflessione importante: il rischio è considerare inevitabile un ridimensionamento dei mercati del vino e, soprattutto, non riuscire a individuare nuove strategie per allargarlo. Non sarà certo facile, ma sarebbe utile che in appuntamenti importanti per tutta la filiera del vino a livello mondiale, come WineParis, si potesse portare a casa non solo qualche nuovo buyer - e già sarebbe tantissimo - ma anche una visione di prospettiva e qualche idea operativa in più.

Il problema non è la saturazione del mercato

Quindi non è necessario un passo indietro, ma la questione risiede altrove. Seguitemi nel ragionamento, senza cadere nel banale, ma cercando di semplificare i concetti. I dati di OIV indicano che il consumo pro capite mondiale di vino - dati 2022 e 2023 pressoché uguali, mentre quelli del 2024 non sono ancora disponibili - è di 3 litri all’anno, ovvero 4 bottiglie per ogni abitante in età da consumo.

Il vino non è in crisi: i ristoranti non sanno più come venderlo

I consumi pro capite di vino sono rimasti pressoché invariati tra il 2022 e il 2023

Considerando che una bottiglia di vino di norma si beve in uno o due pasti e che non stiamo parlando di acquistare un elettrodomestico destinato a durare anni, risulta evidente che il vino è un prodotto a fortissima rotazione. È vero che ci sono nazioni che non bevono vino, altre che non se lo possono permettere e altre ancora dove motivi fisici o medici impediscono il consumo. Tuttavia, resta un dato chiaro come il sole: siamo davvero di fronte a una saturazione del mercato? Assolutamente no.

Il vero problema è la mancanza di idee

Allora perché questa saturazione apparente? Il problema è nella mentalità offuscata di un settore che deve essere svecchiato, in cui mancano idee progettuali, variazioni sul tema e visioni a lungo termine. Ogni giorno sono a stretto contatto con decine di operatori e imprenditori del vino e la più grande crisi che noto è la mancanza di volontà nel fare cose diverse da quelle fatte fino a oggi. Se a un produttore proponi un progetto alternativo per vendere i suoi prodotti, la prima obiezione è: Ma se è la prima volta che lo applichiamo, chi mi garantisce che funzioni?.

Ecco il problema. Non vogliono abbandonare metodi vecchi e obsoleti che hanno esaurito il loro tempo. Non vogliono provare nuove strade, perché non offrono garanzie immediate. Follia! È proprio qui che si sta bloccando tutto: una vecchia generazione che vende prodotti vecchi con metodi vecchi e che si interfaccia solo con clienti vecchi. E le nuove generazioni? Nulla. Il mercato non è saturo, ma in crisi perché è saturo di idee antiquate e arcaiche.

Vino, il consumatore dimenticato

Da dove ripartire? A me sembra logico, ma anche molto complesso, perché tutto il mondo del vino ha perso di vista il riferimento principale: il consumatore. Chi pensa al consumatore? Il produttore no, perché è impegnato a esprimersi e a realizzare prodotti che rappresentino il suo pensiero. Il commerciante nemmeno, perché il suo obiettivo è vendere il più possibile, guadagnando il massimo.

Il vino non è in crisi: i ristoranti non sanno più come venderlo

Vino: il consumatore viene spesso dimenticato

Coloro che dovrebbero promuovere il vino pensano più alla visibilità mediatica, agli sponsor e agli eventi che attirano folle, spesso con format superati. I formatori del settore sono impegnati a sfoggiare tecnicismi egocentrici. E il ristoratore? No, perché la carta dei vini è spesso solo un mezzo per strizzare l’occhio ad agenti e distributori amici. Quindi, chi si occupa davvero del consumatore? Considerando che questa è, prima di tutto, una crisi di consumi, dovrebbe essere il consumatore il primo pensiero di tutti. E invece, nulla.

“Troppa fatica” è stata la risposta che ho raccolto in questi giorni. A detta di molti interlocutori, è meglio tagliare la produzione del 30-40%, perché in questo modo si fa meno fatica e non servono idee per mettere il consumatore al centro di questo mercato. Già, troppa fatica. E si torna all’articolo citato in precedenza, dove si evidenzia che non si individuano strategie per allargare il mercato del vino, ma solo quelle per ridimensionarlo.

WineParis conferma il suo ruolo globale: il pensiero di Karin Meriot

Su questo argomento torneremo prima e durante Vinitaly, perché qualcosa bolle in pentola. Per ora chiudiamo il ragionamento legato al post WineParis, coinvolgendo Karin Meriot, Brand Ambassador del Concours Mondial de Bruxelles.

Il vino non è in crisi: i ristoranti non sanno più come venderlo

Karin Meriot, Brand ambassador del Concours Mondial de Bruxelles

Nel panorama mondiale del vino esistono moltissimi player che premiano i vini, ma voi del Concours Mondial de Bruxelles siete davvero unici. Quali sono i motivi di questa unicità? 
Credo innanzitutto che la trasparenza delle degustazioni e la serietà del CMB durante tutto il processo, dall’iscrizione del vino fino alla premiazione, abbiano sempre fatto la differenza. Ogni vino iscritto subisce non meno di 12 controlli prima di arrivare sul tavolo di degustazione e ne subirà altri in caso di premiazione. Ogni anno vengono acquistate sugli scaffali delle etichette premiate per verificare che il prodotto assaggiato e premiato corrisponda a quello effettivamente in commercio. Anche i giudici del CMB sono seguiti durante le fasi di degustazione. Grazie a un sistema statistico sviluppato dall’Università di Lovanio, riusciamo a monitorare i momenti di debolezza o di minore concentrazione, ponderando il giudizio finale del degustatore e della commissione. Un'altra grande forza del CMB è la platea di giudici invitati: sono tutti professionisti realmente attivi nel mondo del vino, come buyers, importatori e giornalisti di spessore. Questi esperti non solo utilizzano le degustazioni per analizzare il mercato e scrivere report sulla situazione attuale, ma sfruttano i vini medagliati per ampliare e sviluppare la loro gamma di prodotti. Sempre più buyers internazionali acquistano vini premiati perché sanno che piaceranno ai loro clienti e che, con una medaglia, una bottiglia di vino vende il 20% in più. Infine, la trasparenza dei risultati e la serietà delle degustazioni sono, a detta dei giudici, uniche nel loro genere e garantiscono il massimo rispetto per il prodotto e il produttore.

Uno dei vostri punti di forza è l'internazionalità: toccate moltissime nazioni e coinvolgete professionisti da diversi paesi. In base alle informazioni che ricevete, qual è il pensiero sull’attuale crisi del vino? 
Fin dalla sua nascita, nel 1994, il CMB è stato un concorso enologico 100% internazionale, e questa caratteristica fa la differenza su più livelli. Le etichette iscritte provengono da tutto il mondo del vino. Le commissioni di assaggio sono composte da 5-6 degustatori, tutti provenienti da paesi diversi. Il carattere itinerante del CMB è un altro elemento distintivo: ogni sessione si tiene in una regione o un paese diverso. Quest’anno, ad esempio, la sessione dei vini rosati sarà ospitata in Romania, i vini bianchi e rossi in Cina, gli spumanti in Moldavia e i dolci e fortificati in Sicilia. La crisi del vino riguarda soprattutto l’Europa, dove il vino ha costruito una lunga storia umana ed economica. Come in tutte le crisi, esiste una base reale e una comunicazione negativa che frena inconsciamente gli operatori. L’Europa deve liberarsi dai vecchi schemi di commercio. La sua storia deve essere una forza, non un peso. Il vino non può più camminare da solo: ha bisogno di essere accompagnato da suggerimenti di consumo, di apertura alle cucine internazionali e di una semplificazione nella comunicazione. Secondo me, bere un bicchiere di vino è prima di tutto un piacere, un momento gustativo individuale e, allo stesso tempo, conviviale. Semplificare e rendere più accessibile il mondo del vino è il mio chiodo fisso. Il Concours Mondial de Bruxelles può giocare un ruolo importante in questa direzione, aiutando a desacralizzare l’acquisto di una bottiglia. Un vino premiato può essere comprato senza timore, garantendo sempre qualità. Inoltre, con una medaglia, sarà sempre un’ottima scelta, perfetta per qualsiasi occasione!

Il vino non è in crisi: i ristoranti non sanno più come venderlo

Il bureau del Concours Mondial de Bruxelles

Hai appena terminato le attività durante il WineParis e, da francese che lavora per una società belga come Ambassador del CMB nel mercato italiano, cosa ne pensi di questa fiera parigina?
WineParis è riuscita in pochi anni a diventare la fiera internazionale per eccellenza. Il Concours Mondial de Bruxelles ha sempre creduto in questo evento: fin dall’inizio abbiamo avuto un padiglione collettivo con produttori internazionali premiati, osservando da vicino la sua evoluzione e il suo posizionamento sempre più globale. L’edizione di quest’anno ha confermato le aspettative di tutti. Non è più una fiera francese, anche se i vini francesi sono presenti in massa: oggi ospita tutti i Paesi produttori di rilievo, e la risposta degli operatori internazionali è stata forte e chiara. Gli organizzatori hanno raccolto la sfida e l’hanno vinta con successo. Tutti gli ingredienti del successo sono stati perfettamente combinati: aziende, produttori e operatori da tutti i continenti; una location accessibile a tutti; la magia di Parigi, che funziona sempre.

Oggi non esiste un solo individuo, azienda o istituzione in grado di invertire la rotta di questa crisi da solo. Ma sei d’accordo che, se più player si unissero con un obiettivo comune, potrebbero diventare un volano trainante per l’intero settore?
L’individualismo non funziona, né in crisi né in tempi di gloria. Mai come oggi è necessario creare sinergie tra produttori e operatori di tutta la filiera. Credo profondamente nella capacità dell’essere umano di reinventarsi e trovare soluzioni per uscire da qualsiasi tunnel. Anche dopo 35 anni di attività, il Concours Mondial de Bruxelles continua a mettersi in gioco, cercando nuove strategie per sostenere il mercato. Un esempio concreto è la nostra recente collaborazione con una startup francese, che utilizza l’intelligenza artificiale per generare, per ogni vino iscritto al CMB, una scheda tecnica dettagliata in cinque lingue, con una ruota degli aromi e commenti di degustazione. L’apertura di Wine Bar in Messico, Benin e Corea, con solo vini premiati, è un altro simbolo del nostro percorso: vogliamo mettere in connessione diretta i produttori con i consumatori finali. Il mondo del vino non smetterà mai di evolversi, e tutti noi dobbiamo adattarci e innovare senza sosta.

Strategie per le fiere: investire con intelligenza

Il WineParis ci ha insegnato ancora una volta che partecipare a una fiera senza una strategia è una follia.

I numeri parlano chiaro:

  • 20.000 buyer e 5.300 espositori.
  • Se prendiamo per buoni tutti i buyer (pur sapendo che non tutti lo sono davvero), ogni azienda aveva a disposizione poco più di tre buyer.

Le aziende hanno fatto investimenti significativi per essere a Parigi, e se il risultato è solo tre nominativi, diventa difficile giustificare la spesa. Verona non è meno cara di Parigi, né tantomeno Prowein. Ecco perché dobbiamo organizzarci e programmare con attenzione sia ProWein in Germania che, ancora meglio, il prossimo Vinitaly. Queste occasioni devono essere molto più di una semplice presenza fieristica: dobbiamo investire risorse, energie e idee per creare un vero slancio verso nuovi mercati. Aspettando i dati da Düsseldorf, mettiamo Vinitaly in agenda con un obiettivo chiaro: rimettere il consumatore al centro, affinché torni a consumare di più e meglio.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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