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Presente e futuro

Il business del vino viaggia sul digitale. Cosa devono fare le cantine italiane?

In Italia le aziende vitivinicole sono ancora poco capaci a raccogliere dati e successivamente ad utilizzarli. Cosa invece necessaria per fidelizzare i clienti e per spingere l'enoturismo

 
20 giugno 2023 | 12:28

Il business del vino viaggia sul digitale. Cosa devono fare le cantine italiane?

In Italia le aziende vitivinicole sono ancora poco capaci a raccogliere dati e successivamente ad utilizzarli. Cosa invece necessaria per fidelizzare i clienti e per spingere l'enoturismo

20 giugno 2023 | 12:28
 

Si è svolta a Napoli nei giorni 11 e 12 giugno, la rassegna Campania.Wine. L’evento è promosso e organizzato in cooperazione dai cinque Consorzi di tutela Vini della Campania. Essi sono: Consorzio tutela Vini d’Irpinia, Consorzio Vita Salernum Vites, Sannio Consorzio Tutela Vini, Vesuvio Consorzio Tutela Vini, Viticaserta -Consorzio Tutela Vini Caserta. A questi cinque consorzi che si pongono a tutela e valorizzazione della vitivinicoltura campana, si aggiunge il Consorzio di Tutela Pomodorino del Piennolo Vesuvio Dop. L’obiettivo di Campania Wine, quest'anno alla sua seconda edizione, è valorizzare e promuovere i vini a Indicazione Geografica della Campania e i loro produttori-attori, attraverso un suggestivo itinerario di conoscenza esperienziale rivolto ad esperti, giornalisti di settore, addetti ai lavori e appassionati del mondo del vino.

Il business del vino viaggia sul digitale. Cosa devono fare le cantine italiane?

Il business mondiale di vino viaggia sui canali digitali

L’iniziativa gode del patrocinio del Comune di Napoli e della Regione Campania ed è realizzata con il cofinanziamento dell’Unione Europea, Campagna Medways_EU “European Sustainability. From Mediterranean to the East: new ways to advance Food.

Campania.Wine, tuffo nel vino della regione

Il programma è stato intenso: degustazioni, masterclass, seminari, wine tour, wine talk e wine forum per giornalisti, operatori e winelovers. Due i luoghi coinvolti, entrambi nel pieno centro di Napoli: la Galleria Umberto I, monumentale opera del XIX secolo, e il Musap - Museo Artistico Politecnico di Napoli situato a Palazzo Zapata, monumentale palazzo di origine seicentesca affacciato sull'elegante piazza Trieste e Trento, cuore della Napoli Reale.

Durante l'interessante due giorni, abbiamo avuto modo di conversare con Ciro Giordano, presidente del Consorzio Tutela Vini Vesuvio: «Il territorio del Vesuvio partecipa a Campania.Wine con grande entusiasmo. L’evento vuole dare una rappresentazione unitaria del settore vitivinicolo campano nel quale ciascuna espressione territoriale ha la possibilità di valorizzare le proprie caratteristiche e le proprie specificità di fronte ad una platea composta da winelovers, giornalisti, influencer e addetti ai lavori. È un momento magico per Napoli e per la Campania ed è bello celebrare le nostre eccellenze in una vetrina bellissima come quella rappresentata dalla Galleria Umberto I di Napoli, la città oggi più amata al mondo, meta turistica più richiesta in Italia. A questo si aggiunge la parte di approfondimento con laboratori e masterclass nel corso dei quali si approfondiscono aspetti qualitativi e tecnici per poter conoscere meglio le nostre denominazioni. Importante sottolineare la coesione del comparto a livello regionale perché è da questa univocità di visioni che nascono grandi cose, quelle alle quali lavoriamo con impegno e dedizione per la Campania del vino». Poter ascoltare ciò, constatare la coesione dei consorzi, la vision condivisa e la dedizione dei presidenti è motivo di gioiosa soddisfazione.

Il business del vino viaggia sul digitale. Cosa devono fare le cantine italiane?

L'evento Campania.Wine

La situazione del vino in Italia tra luci e ombre

Tuttavia, l'attuale scenario del vino nel nostro Bel Paese presenta alcune ombre preoccupanti insieme con luci che appaiono più highlights per valenze sceniche che non rassicuranti segnali di perdurante buon tempo. Qual è lo scenario nuovo che si prospetta? Ricorriamo ai dati Istat (la forza dei numeri!) elaborati dall'Osservatorio di Uiv (Unione Italiana Vini). Sale il numero di consumatori ma costoro sono diventati sempre più moderati, preferendo bere in occasioni specifiche e meno nel quotidiano. Inoltre, è in crisi il rapporto vino Millennials, insidiato da una crescente tendenza salutistica. Invece, la Generazione Z non è completamente distante dal vino, ma lo beve solo in determinate occasioni.

In pratica, lo scorso anno i consumatori quotidiani di vino hanno stappato 461 milioni di bottiglie in meno rispetto al 2008, mentre i saltuari hanno aumentato i volumi acquistati per un equivalente di 344 milioni di bottiglie. Insomma, è vero che si amplia la numerica dei bevitori di vino, ma è altrettanto vero che ciononostante scendono i consumi.

Il business del vino viaggia sul digitale. Cosa devono fare le cantine italiane?

L'importanza del digitale per l'enotursimo

Vino, consumatori sempre più consapevoli e salutisti

Ovvia la considerazione che ne consegue: i bevitori di vino sono sempre più consumatori moderati. Né il vino è più considerato un alimento, né il vino è più considerato "il fiasco" in tavola tutti i giorni a pranzo e a cena (dove più si pranza in casa ?!), né ci sono le grandi sbornie in osteria.

Interessante la dichiarazione di Lamberto Frescobaldi, presidente di Uiv: «I numeri sintetizzano una volta di più il rapporto responsabile degli italiani con il vino, oggi inteso più come elemento di socialità e di stile di vita che come alimento. È la prova di come l’approccio culturale al prodotto sia ormai fondamentale in un Paese che non solo è il primo produttore di vino al mondo ma anche uno dei più virtuosi in termini di aspettativa di vita».

I bevitori di vino attualmente sono circa 29milioni, ovvero circa il 55% della popolazione italiana. Di questi, il 58% sono uomini e il 42% sono donne.
Il vino resta la bevanda preferita dagli uomini over 65; sì, l’identikit del consumatore di vino corrisponde ancora a quello dell’uomo maturo, un insieme di generazioni Baby Boomers e Gen X. Il consumo femminile cresce del 12% e quello maschile si decrementa del 2%. Tra le bevitrici, aumentano le “saltuarie” (+33%), a fronte di un sensibile decremento delle "quotidiane” (-15%), soprattutto nelle fasce di età più mature. In termini di età, sono, le fasce di ultrasessantacinquenni a bere di più e a costituire la maggioranza relativa con il 28%.

Ma quando è che lo scenario si fa ancora più interessante (stiamo bene attenti a non dire "preoccupante", bensì davvero "interessante") Quando l'analisi va ben oltre l'Italia e si espande prima a livello europeo e poi addirittura world wide. Qui più che i numeri da sell-out, e quindi i consumi, dacché "la bottiglia è venduta quando è bevuta" si valutano i numeri da sell-in a fronte dei quali è palese il rallentamento dei volumi abituali di export. E oltre ai numeri, di per sé ben significativi e "parlanti", altro early warning (segnale precoce) è il sentiment che aleggia sui social. Sta prendendo piede la tendenza salutistica soprattutto tra i Millennials.

Ma uno scenario così tratteggiato lascerebbe erroneamente trasparire un mondo di morigerati. Sappiamo bene che così non è. È bastevole a ciò amaramente constatare come spesso le cosiddette movide del sabato sera (ma non solo del sabato sera) degenerano proprio per gli smodati abusi di bevande alcoliche. Ecco, il vino che in accezione oggettiva è bevanda alcolica è semplicemente demodé tra le giovani generazioni.

Le bevande alcoliche più consumate in Italia

Quali consumi di bevande alcoliche crescono in Italia? La birra registra il segno positivo sia per gli user quotidiani (+19% in 15 anni), sia per quelli occasionali (+30%). Complessivamente a bere birra sono circa 27milioni di italiani. Forte accelerata per gli aperitivi alcolici con 22milioni di bevitori (+41% in 15 anni), dove il vino ricompare nella versione spumante in utilizzo mixology mixato), che raggiungono 22 milioni di adepti (+41% a partire dal 2008). A cosa si deve questo ragguardevole incremento? Lo si deve soprattutto al boom femminile dei consumi fuori casa che registra un +79% in 15 anni. Oggi il 60% delle donne tra i 25 e i 34 anni consuma aperitivi alcolici. Erano appena il 33% (una su tre!) nell'anno 2008. E allora cosa si fa, come si agisce a fronte di una realtà evolvente che, potenza della sintesi, riporteremmo all'assunto iniziale, ovvero alla constatazione per nulla banale che "aumentano i bevitori e diminuiscono i consumi"?

Il business del vino viaggia sul digitale. Cosa devono fare le cantine italiane?

I consumatori di vino sono sempre più attenti e consapevoli

Il vino “facile o difficile” da bere?

Probabilmente le azioni da intraprendere sono due. Per suggerire la prima azione, ricorriamo ad un case study (caso di studio) e chiamiamo in causa la radio. Noi, noi tutti, ma proprio tutti, ci ricordiamo in quale giorno della nostra vita, dopo aver frequentato quali corsi e conseguito quali attestati, abbiamo finalmente imparato ad usare la radio? E ancora, noi tutti, riterremmo ragionevole sentirci fare la domanda "sai usare la radio?". E, ammesso che la domanda ci venisse posta, degneremmo di risposta chi ce la pone? La radio ha miliardi di fruitori nel mondo. Perché? Perché non incute soggezione, non genera timore reverenziale. La radio è "easy to use", facile da usare.

È il vino oggi, nel suo ruolo nobile di abilitatore di convivialità, "easy to drink", facile da bere? Certamente sì, se fosse per lui (lui, il vino) ma purtroppo certamente no a causa dell'eccessiva sovrastruttura che attorno a lui (lui, il vino) si è andata costruendo. Ma hai visto mai che tra i fattori che stanno determinando la non affezione al vino ci sia anche, soprattutto da parte delle giovani generazioni, il timore nel palesare incompetenza se non si possiede la giusta rituale gestualità di mescita e assaggio, la giusta gergalità per esprimere timida opinione? Forse la radio della situazione, per intenderci nell'esempio di poc'anzi, è la birra, almeno fino a quando non interverranno su di essa nuovi sacerdoti o sacerdoti riciclati a edificarle d'intorno il tempio per gli iniziati.

Non si sta facendo, la chiarezza è d'obbligo, l'elogio dell'incompetenza. Tutt'altro, la competenza è necessaria quanto lodevole. Si sta affermando che sono gli eccessi a generare nocumento e ad innescare quel volano vizioso che induce al consumo saltuario foriero del calo dei consumi.

Per il futuro del vino le buone pratiche delle aziende

La seconda azione può avere sua percorribilità solo se si innesca una commutazione mentale, un diverso approccio a quanto oggi permane essere l'unico modello di sviluppo. Il modello di sviluppo aziendale che non vede altro fattore di crescita che non sia l'incremento dell'offering con l'esito di nuove etichette e l'incremento del numero di bottiglie prodotte. Probabilmente la tanto vituperata decrescita felice, sebbene la locuzione in sé induca in errore (lo vedremo), è scenario prossimo venturo. Partiamo dall'assunto ovvio: se calano i consumi è inutile e anche dannoso incrementare la produzione.

Se calano i consumi, allora se ne prende atto e non si aumenta la produzione fino a progettare addirittura di diminuirla. Un momento, ma se diminuisco la produzione, diminuisco il fatturato e questa cosa non si può fare! A parte il fatto che tutte le aziende e quindi anche quelle vitivinicole vivono e prosperano in funzione dell'utile conseguito sul fatturato e non sul fatturato inteso come valore assoluto, osserviamo che il decremento della produzione non è sinonimo di decremento di fatturato e men che meno (l'esatto contrario!) diminuzione dell'utile. Due, concomitanti ed in stretta correlazione funzionale, le leve sulle quali agire: enoturismo e Dtc.

Il canale Dtc, utile a tutte le cantine, lo sarebbe ancora di più per le cantine di piccole dimensioni. Il canale Dtc negli Usa sta assumendo dimensioni ragguardevoli. I numeri: circa 4miliardi di dollari di vendite, per circa 100milioni di bottiglie. Perché in Italia il canale Dtc si muove lentamente? La risposta la azzardiamo e poi verificheremo se è corretta oppure errata. Lapidariamente, a nostro avviso, la risposta al motivo a causa del quale il canale Dtc non stia crescendo in Italia è perché le aziende vitivinicole italiane sono ancora poco capaci a raccogliere dati e successivamente ad utilizzarli. Cosa c'entra?! C'entra, eccome se c'entra! Scopriamo melanconicamente che il wine business italiano usa poco e male i canali digitali.

  • Il 21% delle aziende non raccoglie nessun dato.
  • Il 30% utilizza fogli… di carta !
  • Il 26% utilizza spreadsheet (diciamo excel).
  • Il 23% utilizza il Crm (Customer Relationship Management) ovvero software per la gestione della clientela.

Qual è un efficace starter della vendita Dtc? Certamente la visita in cantina. Si parla tanto, giustamente e doverosamente, di enoturismo, ma vogliamo pur dire che lo step saliente dell'articolato fenomeno dell'enoturismo è pur sempre connotato dal fatto che ci sia un appassionato di vino che si mobilita e che va a visitare una cantina?! Bene, si scopre che quasi la totalità delle cantine che accolgono visitatori si premurano di ottenere l'indirizzo mail e poi si scopre che all'incirca la metà non ne fa utilizzo! Eccoci al circuito vizioso: non raccolgo e non sfrutto dati e quindi non accresco (o non attivo per nulla) il canale Dtc; non accresco (o non attivo per nulla) il canale Dtc e quindi non raccolgo e non sfrutto dati. Quindi, non di risposta azzardata si è trattato!

  • Il 44% delle aziende vitivinicole investe meno di 200€ al mese per lo sviluppo del Dtc del vino
  • Il 41% non investe neanche un euro!
  • Lode a quella minoranza del 15% quindi!

Vino, il business mondiale viaggia sui canali digitali

Di certo, ne è testimonianza il mercato Usa, ad oggi il più grande wine market del mondo per consumo (con una produzione che comunque non è da sottovalutare!), il fenomeno Dtc è destinato a crescere ulteriormente. Destinato! Perché è destino che nella società che evolve i gangli di intermediazione che non arrecano valore siano atrofizzati. Domanda: ma il ristoratore comunque dovrà sempre comprare dal rappresentante. Risposta: e perché mai?

Anche il ristoratore comprerà direttamente dal produttore. Sarà acquisto Dtr (Direct To Restaurant). E sarà tutto gestito via software. Il produttore accede al magazzino virtuale del ristoratore, ha visibilità ovviamente solo sulle sue bottiglie, individua il livello di scorta, controlla la regolarità dei pagamenti; come da agreement il riordino è automatico e parte la spedizione successiva. Detta così, molto semplicemente. Nella realtà il meccanismo, che permane semplice, fa molte più cose.

A concludere, il business mondiale viaggia sui canali digitali. Talvolta i consumatori lo hanno capito prima dei produttori. In altri termini, la domanda quando palese e quando latente è avanti rispetto all'offerta. Il problema per l'offerta è uno solo ed è micidiale: non "vedere" la domanda, non "riconoscerla", non comprenderne ampiezza, statura e potenzialità. Eppure, la dotazione degli strumenti idonei comporterebbe l'aprirsi di ampie praterie per business incrementali piuttosto che declinanti. Chi non coglie questi segnali oramai neanche più deboli, bensì ben forti e chiari, chi non comprende le potenzialità insite nel mondo digitale, a sua volta evolvente con velocità e sfaccettature di cui acquisire contezza e confidenza, che fine farà, dove sarà fra quattro anni?

E stiamo a dirci che il Dtc (ma anche Dtr e anche conto vendita) sono solo fantasie e/o solo nicchie?! È la tecnologia, l'uso che se ne fa, la confidenza con essa e la propensione a seguirla nel suo sviluppo il winning factor del wine business italiano, almeno se si vuole che divenga maggiormente profittevole alla produzione. Lode a Campania.Wine per come sapientemente divulga i vini campani. L'edizione 2024 arrecherebbe contributo ulteriori agli stakeholders dei produttori qualora fungesse anche da momento di riflessione sui temi menzionati.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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