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Alla scoperta del vino georgiano, una storia millenaria patrimonio dell'umanità

La Georgia è considerata la culla del vino mondiale e la sua viticoltura è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità da parte dell'Unesco. Come il suo Paese ha, però, una storia lunga e travagliata

 
31 ottobre 2023 | 15:01

Alla scoperta del vino georgiano, una storia millenaria patrimonio dell'umanità

La Georgia è considerata la culla del vino mondiale e la sua viticoltura è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità da parte dell'Unesco. Come il suo Paese ha, però, una storia lunga e travagliata

31 ottobre 2023 | 15:01
 

La Georgia, lo dice la storia, è una delle regioni vinicole più antiche al mondo. Il Paese del Caucaso è, insieme alla vicina Armenia e a una parte della Turchia, considerato la culla mondiale del vino. Questo perché all'interno del suo territorio sono state trovate le più antiche tracce di viticoltura nel mondo, risalenti a circa 8.000 anni fa. E l'eco di quella storia ha avuto la forza di arrivare fino ad oggi, pur facendo i conti in questo lungo percorso con numerosi problemi, con crolli e rinascite. La Georgia è, ai giorni nostri, una meta enoturistica da scoprire, ma anche da tutelare. Il rischio, infatti, che si perda un patrimonio millenario non è così remoto e va monitorato e compreso.

Alla scoperta del vino georgiano, una storia millenaria patrimonio dell'umanità

La vendemmia nel Kakheti

La storia del vino georgiano e la sua grande varietà

Ad attirare in Georgia esperti e curiosi del mondo del vino contribuiscono due fattori non trascurabili. Il primo è legato all'enorme varietà di vitigni autoctoni presenti sul territorio. Normalmente si parla di più di 500, anche se c'è qualcuno che si azzarda anche a dire 800. Numeri che, in qualsiasi caso, sono da capogiro. Basti pensare, per esempio, che in Italia sono meno di 400 le varietà mappate. Purtroppo, però, questa varietà georgiana resta, in parte, tale soltanto sulla carta. Oggi, infatti, sono meno di quaranta i vitigni utilizzati per la viticoltura. Un numero molto ridotto che è, come spesso accade in Paesi come la Georgia, legato a doppio filo con la storia georgiana e, quindi, con la Russia.

La Georgia è stata, infatti, per lunghi anni la "cantina" dell'Urss, in un rapporto, almeno dal punto di vista sovietico, di amore e odio. Se, in origine, il vino georgiano era sicuramente il più apprezzato in tutte le repubbliche sovietiche, nel tempo, invece, è diventato sinonimo di vino di bassa qualità, in molti casi allungato o adulterato. Come mai? Basta un numero per capirlo. Nel 1950 in Georgia risultavano vitati quasi 60mila ettari. Nel 1985, invece, la cifra era salita a quasi 130mila. L'Urss aveva, in sostanza, scelto di percorrere la strada della quantità a scapito di quella della qualità.

Fu in quel contesto che la grande varietà vinicola georgiana venne quasi del tutto distrutta. Il vino che finiva sul mercato sovietico era standardizzato e anche le tecniche di lavoro divennero pian piano industriali, cancellando, almeno in superficie, una tradizione millenaria. La svolta è arrivata nel nuovo millennio e ha avuto, come protagonista, ancora una volta la Russia. Le tensioni tra i due Paesi a causa dei territori contesi ha portato nel 2006 all'embargo da parte della Russia del vino georgiano. Un colpo veramente pesante per un mercato che vendeva circa il 90% delle sue bottiglie proprio ai russi. Un colpo che, però, ha spinto le realtà georgiane a cercare nuove strade e a battere mercati inesplorati e, in alcuni casi, più maturi. Qual è stato il risultato? Il livello si è pian piano alzato e, allo stesso tempo, c'è stata una graduale riscoperta dei vitigni e delle tradizioni.

La viticoltura georgiana è patrimonio Unesco

Questa rinascita non ha fatto altro che rinvigorire un territorio che è da sempre vocato alla viticoltura. Allo stesso tempo, però, se si vuole scoprire la vera anima del vino georgiano si deve fare uno sforzo in più ed andare a cercare quei produttori che ancora oggi lavorano seguendo il metodo tradizionale, che nel 2013 è stato inserito tra i patrimoni immateriali dell'umanità da parte dell'Unesco. Alla base di questo metodo ci sono i qvevri, grandi anfore di terracotta. Al loro interno, spesso foderato con cera d'api, viene messo a fermentare il vino. Queste vengono, poi, seppellite, chiuse con un coperchio di legno e protette dalla cenere, e restano lì, anche per anni, in attesa che il vino sia pronto per il consumo. Esistono sostanzialmente due diversi metodi di produzione del vino con i qvevri. Il più diffuso è quello kakhetiano, cioè utilizzato dai produttori del Kakheti, la regione in cui si produce circa il 70% del vino georgiano. Il secondo è quello imeretiano, cioè utilizzato dai produttori dell'Imereti, altra regione vinicola georgiana. In cosa si differenziano? Nel primo il mosto viene fatto fermentare insieme a tutta la vinaccia, nel secondo, invece, si utilizza sempre la vinaccia, ma in percentuale ridotta, intorno al 15%. In alcuni casi, invece, le bucce non vengono proprio inserite nelle anfore.

Alla scoperta del vino georgiano, una storia millenaria patrimonio dell'umanità

I tradizionali qvevri georgiani

Il vino prodotto in questa maniera, quella tradizionale, rappresenta oggi una percentuale molto bassa del mercato del vino georgiano. Questo perché è, spesso, legato a realtà famigliari o comunque di piccole dimensioni. Una situazione che, appunto, ne limita in qualche modo lo sviluppo, ma che allo stesso tempo ne ha permesso la sopravvivenza durante il periodo sovietico. Mentre il mercato si concentrava sulla produzione di vini in maniera meccanizzata, le famiglie custodivano le loro tradizioni millenarie. Di contro, i qvevri non possono dirsi salvi. La loro produzione è affidata a specifici artigiani, il cui numero è in costante riduzione e che fanno molta fatica a trovare qualcuno a cui tramandare la loro abilità e i loro segreti.

Alla scoperta del vino georgiano, una storia millenaria patrimonio dell'umanità

Il vino a macerare all'interno di un'anfora

Una visita da fare: la cantina Kerovani a Sighnaghi

Un viaggio sulle tracce della tradizione vinicola georgiana non può prescindere da una tappa a Sighnaghi. Siamo nel cuore del Kakheti e questo borgo varrebbe già di per sé una visita anche solo per la sua posizione: sulla cima di una collina che affaccia sul Caucaso. Un panorama impagabile, soprattutto in un giorno di sole. Sighnaghi è, però, anche una delle capitali del vino georgiano e il suo centro è puntellato da decine di piccole cantine che seguono ancora oggi il metodo tradizionale e che utilizzano, quindi, i qvevri. Anzi, proprio l'anfora di terracotta è posta al centro della fontana principale del paese. Passeggiare per le sue vie, spesso in salita, è quindi un'occasione per comprendere meglio la dimensione di questo fenomeno e il suo, ancora fortissimo, legame con le realtà famigliari.

Un esempio concreto di tutto ciò che vi abbiamo raccontato fino ad ora è fornito dalla cantina Kerovani. Posta in pieno centro storico, la sua storia è una fotografia vivida e interessante. Nasce, infatti, da un'idea di Archil Natsvlishvili e nasce quasi per caso. Archil, infatti, faceva tutt'altro. Lavorava a Tbilisi, la capitale, nel mondo della programmazione e della tecnologia. Il vino, però, aveva sempre fatto parte della sua vita e di quella della sua famiglia. Da sempre, in casa, si produceva vino e da sempre la famiglia aveva qualche vigneto sulle colline di Sighnaghi. Un richiamo troppo forte per lui, che ha quindi deciso di lasciare il suo lavoro nella capitale e creare una cantina all'interno della vecchia casa di campagna della famiglia. L'idea di Archil è oggi una realtà che, come dicevamo, fotografa benissimo la dimensione del vino tradizionale georgiano. Nel 2022, per intederci, ha prodotto poco meno di tremila bottiglie, tutte utilizzando i qvevri, a eccezione di un piccolo esperimento di uno spumante di Rkatsiteli, uno dei vitigni autoctoni (peraltro riuscito molto bene). La visita alla sua piccola cantina è gratutita ed è poi possibile degustare tutte le etichette prodotte da Kerovani. Allo stesso tempo, è possibile pranzare o cenare all'aperto, con vista sulle colline. Una proposta tradizionale, non ampia, ma di buonissima qualità. Al termine del pasto, poi, davanti a una chacha, la tradizionale acquavite locale, anche questa prodotta da Kerovani, è possibile scambiare quattro chiacchiere con il titolare, che parla un ottimo inglese. Un'esperienza davvero positiva, anche dal punto di vista umano.

Kerovani
Agmashenebeli street - Sighnaghi, Georgia
Tel +995599408414

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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