Non solamente vino e olio, due tra le maggiori produzioni italiane, messi a repentaglio dal cambiamento climatico. Le temperature sempre più alte, infatti, mettono a rischio anche la produzione di birra, e a tremare stavolta sono i principali Paesi che realizzano ed esportano la tipica bevanda a base di luppolo. Non un pericolo dell'immediato futuro, ma più attuale che mai. Il cambiamento infatti, secondo gli esperti, pare essere già in atto. Come? Cerchiamo di capirne qualcosa di più.
La produzione di birra messa a rischio dal cambiamento climatico
Il climate change sta già cambiando il gusto della birra. A rischio il luppolo
Il cambiamento climatico, con conseguenti temperature sempre più elevate, sta già cambiando il gusto e la qualità della birra, hanno avvertito gli scienziati. Come informa anche il The Guardian, secondo uno studio, la quantità e la qualità del luppolo, ingrediente chiave nella maggior parte delle birre, sono influenzate dal riscaldamento globale.
Il climate change mette a repentaglio le coltivazioni di luppolo
Di conseguenza la birra potrebbe diventare più costosa e i produttori dovranno adattare i propri metodi di produzione. I ricercatori prevedono che la resa del luppolo nelle regioni di coltivazione europee diminuirà del 4-18% entro il 2050 se gli agricoltori non riusciranno ad adattarsi a un clima più caldo e secco, mentre il contenuto di alfa acidi nel luppolo, sostanze che conferiscono alle birre il loro gusto peculiare e odore caratteristico, diminuirà del 20-30%.
Birra: quale futuro con il cambiamento climatico?
Meno luppolo insomma, senza le dovute accortezze anche di minore qualità, alla base del possibile aumento del prezzo della birra. «I bevitori di birra vedranno sicuramente il cambiamento climatico, sia nel prezzo che nella qualità», ha detto Miroslav Trnka, scienziato del Global Change Research Institute dell'Accademia Ceca delle scienze e coautore dello studio, pubblicato sulla rivista Comunicazioni sulla natura. «Ciò sembra essere inevitabile dai nostri dati».
Il cambiamento climatico riduce la produzione di luppolo
La birra, la terza bevanda più popolare al mondo dopo l'acqua e il tè, è prodotta facendo fermentare cereali maltati come l'orzo con il lievito. Di solito è aromatizzata con luppoli aromatici coltivati principalmente alle medie latitudini, sensibili ai cambiamenti di luce, calore e acqua.
Negli ultimi anni, la domanda di luppolo di alta qualità è stata incrementata dal boom delle birre artigianali dai sapori più forti. Ma lo studio ha scoperto che le emissioni di gas che riscaldano il pianeta stanno mettendo a rischio l'intero impianto. I ricercatori hanno confrontato la resa media annua del luppolo aromatico nei periodi 1971-1994 e 1995-2018, riscontrando “un calo significativo della produzione” di 0,13-0,27 tonnellate per ettaro. Celje, in Slovenia, ha registrato il calo maggiore nella resa media annua del luppolo, pari al 19,4%.
Birra, dopo due anni positivi in Italia il settore è in crisi
Dalla ricerca dell'Osservatorio Birra, dopo un ottimo 2022 la birra parte male nel 2023 e a metà anno registra dati molto preoccupanti (-3% valore condiviso, oltre 120 milioni di euro). Della crisi dei birrifici rischia di risentire una filiera che dà lavoro a 103mila famiglie e paga allo stato più di 4 miliardi di euro di contribuzione fiscale. Al peso crescente dei costi rischia di aggiungersi un nuovo aumento delle accise sulla birra previsto dal 1° gennaio 2024, che potrebbe danneggiare un comparto che già in sofferenza.
Birra, in Italia nel 2023 soffre tutta la filiera
Dopo l'anno della speranza, il 2021, e la ripartenza del 2022, la birra inverte il trend nel 2023 e a metà anno registra dati molto preoccupanti, che mettono a rischio l'occupazione e il valore aggiunto che la sua filiera porta al Paese. Lo dimostra un'analisi di Osservatorio Birra, con la presentazione del 7° Rapporto “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, realizzato da Althesys. Secondo lo studio, l'effetto moltiplicatore del valore, che cresce per ogni passaggio nella filiera brassicola, vale purtroppo anche al contrario. In altre parole, se entrano in crisi i produttori, che rappresentano una minima parte del valore condiviso che la birra porta al Paese, ne risente tutta la filiera. Secondo Osservatorio Birra, la crisi del settore (che non ha mai smesso di investire, con 250 milioni di euro negli ultimi 4 anni), incastrato tra l'aumento dei costi di produzione e la riduzione del potere d'acquisto degli italiani, mette sotto pressione tutta la filiera: agricoltura, trasformazione, produzione, logistica, trasporti, grande distribuzione e ristorazione. Il rischio è di azzerare quel “fenomeno birra” che negli ultimi 15 anni ha portato la birra sulla nostra tavola, al centro della gastronomia e della socialità degli italiani.
2023: un anno difficile per il comparto birra in Italia
Secondo Osservatorio Birra, la filiera della birra nel 2022 ha per la prima volta sfondato il tetto dei 10 miliardi di euro di valore condiviso, (10,2 miliardi, +9,2% rispetto all'ottimo 2021). La crescita del 4,1% in volume, i 3,2 punti percentuali in più conquistati dall'Ho.Re.Ca. (dal 32,6% al 35,8%), la crescita dell'8% degli occupati (oltre 103 mila dipendenti lungo la filiera). I risultati del 2022 sembrano riferiti a una stagione e a un ciclo economico purtroppo conclusi. In verità, anche nel 2022 esisteva un campanello di allarme che suonava in sordina. Innanzitutto, il boom dei costi di produzione (per i birrifici in un anno +50% dell'incidenza dei costi di materie prime ed energia sul valore della produzione) e anche la crescita ampia +9,9% delle importazioni di birra sui valori dell'anno precedente, indicavano che qualcosa di negativo stava accadendo al comparto nazionale.
Nel primo semestre 2023 la tendenza s'inverte. Il peso e gli effetti dell'aumento dei prezzi sul food and beverage conseguenti alla forte dinamica inflattiva hanno improvvisamente tolto energia alla locomotiva birra. Il primo semestre 2023 registra, per la prima volta dopo 2 anni, un calo del valore condiviso di circa il -3%, pari a circa 120 milioni di euro.