Qui, ancora prima che la vigna, è la natura che fa il vino perché c’è l’uomo che la rispetta. Qui, più che mai, si vive l’orgoglio di appartenenza a questo territorio. Parliamo di Oslavia in Friuli-Venezia Giulia e della sua Ribolla gialla trasformata nel famoso vino macerato. La storia di questo vino è la storia degli uomini che lo producono, con fatica, passione, rispetto ed etica. Oltre alle loro parole, a parlare sono le loro mani consumate dalla terra e dal lavoro. Qui troviamo pochi fronzoli e tanta sostanza.
Le colline di Oslavia
UNA STORIA DI RIPARTENZA, A POCHI CHILOMETRI DA GORIZIA
Oslavia che si trova a pochi chilometri da Gorizia, fu completamente rasa al suolo durante la Prima guerra mondiale, e molti cittadini ricominciarono da zero le loro vite, alcuni proprio impiantando la Ribolla, un vitigno autoctono diventato negli anni simbolo di rinascita. Oggi Oslavia è un paese di 200 abitanti che in tre chilometri di strada ospita sette delle cantine italiane più importanti al mondo per la produzione del vino macerato: Dario Princic, Fiegl, Gravner, Il Carpino, La Castellada, Primosic, Radikon. Ognuno di loro ha il suo stile, il suo metodo di macerazione e di affinamento, con i suoi tempi, ed è proprio questo il bello, ogni Ribolla macerata ha un carattere tutto suo. Ricordiamo che la lunga macerazione sulle bucce permette l’estrazione dei tannini, che in un vino bianco è singolare perché di solito i bianchi derivano dalla fermentazione del solo succo d’uva in assenza delle parti solide del grappolo.
CONDIZIONI PARTICOLARI: TEMPERATURA, VENTO E PIOGGIA
Nella ponca, il caratteristico suolo che si trova sul Collio ricco di minerali e di strati di arenaria, la Ribolla esprime da sempre le sue caratteristiche migliori, grazie anche ad alcune condizioni particolari, come l’escursione termica, il vento e la pioggia che cade abbondante. Dei “magnifici sette”, i primi a usare negli Anni 90 la tecnica della macerazione sono stati Josko Gravner e Stanko Radikon (morto nel 2016), entrambi vignaioli lungimiranti di Oslavia, gli unici allora in Italia a produrre gli “orange wines”, secondo la definizione anglosassone che fa riferimento al colore ambrato/aranciato che li caratterizza. Ma è stato Gravner, tutt’oggi unico tra i sette produttori, noto nell’enologia mondiale, a utilizzare le anfore di terracotta per la macerazione, che arrivano direttamente dalla Georgia, paese dove è nata questa antica tecnica. Aumenta il prestigio dei vini in anfora georgiani l’inserimento dall’Unesco nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità.
UN'ASSOCIAZIONE CHE DA 10 ANNI RIUNISCE I PRODUTTORI
Siamo stati a Oslavia per RibolliAMO 2020 e per due giorni abbiamo bevuto Ribolla macerata, alcune davvero di altissima qualità, abbiamo conosciuto da vicino chi la produce e la storia dei loro antenati. L’edizione 2020 è cominciata con la firma da parte di tutti i vignaioli della gigantografia, sulla quale è visibile la sezione di acino arancione, simbolo dell’Associazione Apro che quest’anno ha compiuto 10 anni. Si sono impegnati così a utilizzare quest’immagine per rappresentare la produzione di Ribolla di Oslavia con le regole del disciplinare interno e con un volano comunicativo e operativo importante che è l’Associazione di cui tutti fanno parte. Ma non solo vino: Apro nasce soprattutto per sostenere Oslavia, la sua terra e le sue genti.
COLLABORAZIONE CON EATALY: UN CORNER DEDICATO
Nei giorni scorsi i vignaioli hanno completato il posizionamento delle sette panchine arancioni, una per cantina, che catturano lo sguardo del turista nei luoghi di belvedere di Oslavia e lo invitano a sostare, nel tragitto del suo viaggio. In questo decennale, è stata importante anche la collaborazione con Eataly che ha organizzato per le sue enoteche nel mondo il primo corner dedicato a un’associazione: il corner della Ribolla di Oslavia. Nelle varie sedi Eataly, scegliendo un vino in enoteca si potrà brindare con un territorio intero rappresentato da Apro.
1. FIEGL: «TRA SICCITÀ E COVID, VENDEMMIA DIFFICILE»
Ma torniamo al nostro tour, la prima cantina che abbiamo visitato è Fiegl dove ci ha accolto un sorridente Martin con i suoi cugini. «Quest’anno, tra siccità e Covid», ci dice Martin Fiegl, «non è stata una vendemmia semplice. Negli anni la nostra azienda si è trasformata accrescendo sempre la qualità, e oggi il nostro obiettivo è realizzare un vino pulito e onesto come la nostra storia famigliare ci ha insegnato».
Martin Fiegl
2. LA CASTELLADA: «VINI FRUTTO DELLA BREZZA MARINA»
Seconda tappa da Stefano Bensa de La Castellada che prende il nome dalla collina di Oslavia. «I nostri vini», ci spiega, «sono frutto di questo terreno, dell’aria ventilata e della brezza marina che giunge dal mare, tutto questo ci permette di realizzare vini complessi e territoriali utilizzando solo metodi naturali e artigianali».
Stefano Bensa de La Castellada
3. IL CARPINO PUNTA SU «ESPOSIZIONE, MICROCLIMA E TERROIR»
Poi è stata la volta de Il Carpino, dove Franco Sosol, il suo titolare, ci ha accolti proprio dove c’è la famosa panchina. Tra gli animali nel cortile e le vigne, Franco con sua moglie Ana ci spiega che «esposizione delle vigne, microclima e terroir sono il mix vincente che rendono la nostra ribolla così unica e dalla forte identità, nei nostri vini c’è tutto il sapore del nostro territorio che rispettiamo giorno dopo giorno».
Franco Sosol de Il Carpino
4. DARIO PRINCIC: «RAPPRESENTIAMO I NOSTRI ABITANTI»
La mattina seguente il tour è cominciato dall’Ossario di Oslavia, eretto nel 1938 per ospitare i resti di quasi 60mila soldati caduti nella Prima guerra mondiale. Qui ci aspettano Dario Princic con sua nipote Katia Ceolin della omonima cantina. Dario, forse il meno diplomatico tra i sette produttori, prima ancora che dei suoi vini, ci tiene a raccontare la storia di Oslavia, dei morti della Grande guerra e della faticosa ripartenza di questo paese: «I nostri vini rappresentano i nostri abitanti, è un binomio imprescindibile ed è per questo che cerco di produrre un vino autentico, sincero che deve piacere a me in primis. Solo qui, in questa terra posso creare il mio vino, il legame che ci lega è fortissimo».
Dario Princic
5. RADIKON: «ABBIAMO RILANCIATO LA MACERAZIONE»
Poi è toccato a Sasa Radikon, figlio di Stanko, che ci ha anche ospitati nelle sue bellissime camere. Molto fiero del suo lavoro, Sasa ha le sue idee, ma il punto di riferimento è sicuramente il padre e gli insegnamenti che gli ha trasmesso. «Oslavia ha sempre mantenuto attiva la produzione della Ribolla, un vitigno unico per le sue caratteristiche grazie anche alla ponca. Negli Anni 90 mio padre ha rilanciato il metodo della macerazione insieme a Gravner e oggi proseguo il suo lavoro con onestà e determinazione anche per i miei figli».
Sasa Radikon
6. PRIMOSIC: «PREZIOSITÀ NASCOSTA NELLA BUCCIA»
Il sesto produttore è stato Silvan Primosic della cantina Primosic, un quasi 80enne che ci accoglie con un super cappello con scritto: “Think yellow! Drink Ribolla Gialla”, già lo adoriamo! Assieme ai figli Boris e Marko ci raccontano la storia della loro azienda. «Fin da bambini ci hanno fatto apprezzare la Ribolla gialla e ci hanno fatto capire che la sua preziosità era nascosta nella buccia. Ed è proprio la tecnica della macerazione che estrae il meglio di un’uva amata in primo luogo proprio da coloro che il vino lo producono».
Silvan Primosic
7. GRAVNER E LA GRANDE CURA DELL'ECOSISTEMA
Il tour si è concluso con Mateja Gravner della cantina Gravner, figlia del leggendario Josko. Le loro vigne sembrano i giardini della Reggia di Caserta, una cura e un’attenzione per l’ecosistema che c’è intorno che ci lascia senza parole. Mateja inizia la visita tra i vigneti per poi giungere in cantina dove riposano le famose anfore nelle quali fermenta e affina il vino. «La vigna è vita», dice Mateja insieme col giovane figlio Gregor già impegnato nella produzione accanto al nonno, «ed è per questo che ci prendiamo cura degli animali, del loro ripopolamento e delle piante che la circondano, è anche da loro che dipende la qualità dei nostri vini». Prima di andar via, viene a salutarci Josko in persona, riservato ma sorridente, e ci lascia con una frase tanto semplice quanto profonda: «Si può vivere bene anche senza vino, non è qualcosa di indispensabile, ma se lo si fa, che sia fatto bene nel rispetto dell’uomo e della natura». Non potevamo chiudere il tour in maniera migliore.
Meteja Gravner
Foto: Francesco Tommasi