Sulla base delle ultime rilevazioni Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) l’Italia è il primo Paese fornitore di vino negli Usa. Questo sia in valore (1,6 miliardi di euro, +6,1% rispetto al 2015, meglio anche della Francia, ferma a 1,4 miliardi) sia in volume (3,2 milioni di ettolitri). Ma cosa potrebbe accadere tra qualche anno per il comparto in seguito alle nuove politiche protezionistiche della presidenza Trump?

Ruenza Santandrea
Una domanda che si è posta l’
Alleanza delle cooperative agroalimentari e a cui ha provato a dare una risposta con un’indagine interna tra le principali cantine associate. Per le cooperative vitivinicole, che commercializzano più della metà (il 56%) di tutti i vini e gli spumanti italiani venduti negli Stati Uniti, le parole di Trump non sono state lette al momento come una reale minaccia per le esportazioni di vino.
«Nonostante i recenti annunci di dazi e ritorsioni del presidente Trump - ha spiegato al
Vinitaly Ruenza Santandrea, coordinatrice del settore vino dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari - le nostre cantine non immaginano al momento uno scenario che possa repentinamente mutarsi in una forte ostilità verso i nostri vini. Non dimentichiamo infatti che gli Usa hanno anche un notevole peso come Paese esportatore di vino, collocandosi al settimo posto nella graduatoria mondiale in volume e al quinto in valore. Se venissero messi dazi e barriere, tutti gli scambi commerciali subirebbero un contraccolpo e gli stessi produttori californiani finirebbero per essere penalizzati».