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Sangiovese, vitigno dall'origine incerta diffuso in molte regioni italiane

Storicamente considerato come un vitigno da uvaggio, tanto è vero che fa parte del disciplinare di circa 90 fra Docg e Doc, il Sangiovese è riconoscibile dal suo bouquet di violetta, rosa, amarena, mora, prugna e ribes

di Piera Genta
 
24 settembre 2016 | 13:12

Sangiovese, vitigno dall'origine incerta diffuso in molte regioni italiane

Storicamente considerato come un vitigno da uvaggio, tanto è vero che fa parte del disciplinare di circa 90 fra Docg e Doc, il Sangiovese è riconoscibile dal suo bouquet di violetta, rosa, amarena, mora, prugna e ribes

di Piera Genta
24 settembre 2016 | 13:12
 

Secondo i dati dell’Unione italiana vini per il 2015, il Sangiovese è il vitigno italiano più coltivato, con oltre 53mila ettari pari all’8% sul totale. La sua storia appare ancora oggi confusa anche se numerosi studi recenti hanno contribuito ad apportare elementi di chiarezza circa l’origine e le differenze genetiche. Sicuramente si deve parlare di Sangiovesi, perché sono tanti e diffusi in molti territori, Toscana, Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Puglia settentrionale e Campania occidentale chiamati localmente con nomi diversi.

Si esprime con caratteristiche diverse nei vari terroir in cui viene coltivato, ma possiamo distinguere due biotipi fondamentali riconducibili a Sangiovese grosso, coltivato soprattutto in Toscana, i cui cloni più famosi sono il brunello di Montalcino e il prugnolo gentile di Montepulciano e il sangiovese piccolo, che raccoglie tutte le altre varietà coltivate in Toscana, dal Chianti alla Maremma e quelli diffuse in Emilia e Romagna.



In merito all’origine mancano indicazioni attendibili prima del XVI secolo. Sembra che il vitigno fosse già noto agli Etruschi e si sia diffuso nell’Italia centrale seguendone le rotte commerciali. Un altro mito narra che il nome derivi da Sanguis Jovis, sangue di Giove, nome attribuitogli da un monaco cappuccino del convento di Sant’Arcangelo di Romagna, nei pressi del monte Giove, durante un banchetto in onore di papa Leone XII.

La prima fonte che parla di Sangiogheto e Sangioveto è dell’agronomo Giovan Vettorio Soderini che nel suo Trattato della coltivazione delle viti e del frutto che se ne può cavare datato 1590 riporta «Vitigno sugoso e pienissimo di vino… Che non fallisce mai», ma anche pericoloso, perché è facile farne aceto. Successivamente troviamo numerosi altri contributi di ampelografi italiani da Villafranchi, Acerbi, di Rovasenda, Gallesio… Nello stesso periodo in Romagna l'esistenza del vino Sangiovese e le sue qualità sono testimoniate da testi conviviali e nel ditirambo del 1818 “Il Bacco in Romagna” dell'abate Piolanti.

Le analisi genetiche svolte agli inizi degli anni 2000 hanno documentato che il Sangiovese non è imparentato con nessuna delle viti selvatiche toscane e neanche con antiche varietà ancora coltivate. Tuttavia mostra una parentela di primo grado con un vitigno minore di origini incerte, il Ciliegiolo, coltivato in Toscana ma anche in alcune regioni meridionali sotto altri nomi. Il Sangiovese potrebbe essere il figlio del Ciliegiolo oppure uno dei due genitori, ma in assenza del secondo genitore non è stato possibile scegliere tra le due ipotesi.

A febbraio di quest’anno (2016) Marica Gasparro, ricercatrice del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) si aggiudica il Premio internazionale Brunello di Montalcino riservato ai giovani ricercatori, grazie ai risultati raggiunti con i suoi studi ampelografici, storici e alla caratterizzazione molecolare. I genitori del Sangiovese sono finalmente identificati nel Ciliegiolo e nel Negro Dolce di Puglia, un’antica varietà autoctona praticamente scomparsa. In passato altre ricerche (Cra - Utv, Centro di ricerche in agricoltura ed ex istituto superiore di Viticoltura di Conegliano) avevano evidenziato che la Basilicata è stata nell’antichità l’epicentro dei traffici mediterranei e crocevia dei flussi migratori che provenivano dai Balcani e che, attraverso l’attuale Puglia, risalivano verso Paestum fino a intercettare la cultura etrusca e il bacino occidentale. Il botanico svizzero José Vouillamoz identifica invece l’origine del Sangiovese nell’incrocio tra il Ciliegiolo e il Calabrese di Montenuovo. Un vitigno mezzo toscano e mezzo calabrese, parente del Groppello e del Nerello Mascalese.

Il Sangiovese è il vitigno base dell’enologia toscana essendo il componente principale di sette Docg toscane, partecipando dal minimo del 50% fino al 100%: Brunello di Montalcino (purezza 100%), Carmignano, Chianti, Chianti Classico, Morellino di Scansano, Montecucco e Nobile di Montepulciano. Partecipa, inoltre, come vitigno principale alla produzione di quasi tutti i vini rossi a Doc e Igt della Toscana. Storicamente il Sangiovese è sempre stato considerato un vitigno da uvaggio, tanto è vero che fa parte del disciplinare di circa novanta fra Docg e Doc.

Ad esempio in Umbria fornisce la base nel Torgiano e nel Montefalco, mentre nelle Marche è parte essenziale del Rosso Piceno e del Rosso Conero. Se si esamina l’impiego del Sangiovese negli uvaggi toscani si deduce che fino al 1700 circa il Canaiolo nero era il vitigno principale cui seguivano Mammolo, Marzemino, Canaiolo bianco ed Abrostine, con l’uso del Trebbiano e della Malvasia. È solo a partire dal 1732, all’epoca del Barone Bettino Ricasoli con la sua formula del Chianti ovvero 7 parti di Sangiovese, 2 di Canaiolo nero e 1 di Malvasia bianca, che la percentuale del Sangiovese aumenta sempre più, sino a raggiungere l’utilizzo in purezza nel dopoguerra con l’affermarsi del fenomeno Brunello di Montalcino e ai giorni nostri con il Chianti Classico. La prima legge a tutela del vitigno fu emanata nel 1716 dal Granduca Cosimo III de' Medici, per porre delle regole di protezione e produzione del vino Sangiovese nel Chianti, a Pomino, a Carmignano e nella zona del Valdarno.

In funzione della zona di coltivazione, delle caratteristiche delle uve di partenza e dello stadio di maturazione fenolica si possono ottenere vini rosati, rossi giovani e vini adatti a breve, medio o lungo affinamento. Uno dei problemi del Sangiovese è che la qualità delle uve dipende molto all’andamento meteorologico dell’annata. Ci sono caratteristiche organolettiche che lo rendono riconoscibile, primo tra tutti il bouquet di violetta, rosa, amarena, mora, prugna e ribes accompagnate da una buona freschezza, poi cappero, timo, tartufo, funghi, maggiorana, muschio, sottobosco, felce. Quindi i sentori dovuti al legno come sandalo, tabacco, caffè, noci.

L’insieme è fine, il tannino è poderoso, ma di consistenza setosa, sono i fiori ad emergere e i frutti rossi a dare spinta all’acidità, il vino comunque è caldo, mai troppo rotondo. Il colore è rubino fino ai quattro-cinque anni e poi tende al granato. In generale elegante a Montalcino, potente in Maremma, austero nel Chianti Classico, ben fruttato in Romagna a cui si aggiunge l’impronta di ciascun produttore.

Il Sangiovese conosce una grande popolarità anche in California, grazie al successo dei supertuscans. Dalla Napa Valley si è diffuso nelle maggiori zone vinicole californiane, dalla Sonoma County a San Luis Obispo. Nel sud America invece è l'Argentina della grande immigrazione italiana a fare la parte del leone, specialmente nella famosa zona di Mendoza, con vini che comunque poco somigliano ai Supertuscans. In Australia il Sangiovese si sta lentamente diffondendo fin dagli anni ’60, ma la selezione dei cloni adatti è ancora all’inizio, così in Sud Africa e in Sud America.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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