Non poteva certo mancare il Barolo nel volume “Osteria” del giornalista e scrittore tedesco Hans Barth. La prima guida spirituale, e non solo, alle osterie italiane, prezioso testo che ha gettato le basi della nascente critica enogastronomica e della letteratura di viaggio. Annoverava dunque anche il celebre vino piemontese, orgoglio italiano nel mondo, che allora era già famoso da un paio di secoli. Il volume, pubblicato in Italia nel 1910 dopo la prima edizione tedesca del 1908, rieditato nel 2017 grazie alla curatela di Enrico Di Carlo e a Verdone Editore, ci offre un affresco straordinario delle osterie più in voga del Belpaese ai primi del ‘900.
Corrispondente per quarant’anni dell’autorevole “Berliner Tagebatt”, l’autore riesce nell’intento di censire le insegne italiane più virtuose, insieme ai fiumi di vino che gli venivano serviti, descrivendone puntualmente le caratteristiche e le suggestioni ma anche il contesto, non lesinando riferimenti storico-letterari a quei luoghi della convivialità dell’Italia di ieri. Un documento prezioso, con una delle poche prefazioni di Gabriele D’Annunzio, che grazie alla ricerca di Enrico Di Carlo rivela molto delle produzioni enologiche italiane di quegli anni lontani e del lavoro scrupoloso dell’autore tedesco che, pur essendo qualche volta critico sull’Italia, la amava profondamente, tanto da voler essere sepolto a Roma.
E il re dei vini italiani non sfugge all’attenzione del cronista teutonico. Durante le soste nelle trattorie torinesi Cavallo Grigio, Persico Reale, Gran Cairo, Antico Albergo della Fucina, Corona Grossa, ormai tutte scomparse, decanta la sopraffina bontà del Barolo e ci dà conto anche del prezzo, rivelandoci a distanza di oltre un secolo che una bottiglia di Barolo «dal profumo speciale, tipo di Bordeaux», negli anni Dieci del ‘900 costava 2,50 lire, contro 1,20 lire del Barbera e del Barbaresco e una 1,50 lire di Grignolino, Brachetto e Moscato.
Barolo, monumento dell’enologia italiana
Il Barolo, ottenuto da uve Nebbiolo, è protagonista assoluto sulla scena nazionale e internazionale. Il professor Attilio Scienza, nel suo volume “La stirpe del vino”, gli dedica un interessante approfondimento: «Nel 1268 il Nebiol era coltivato a Rivoli, sui primi contrafforti delle Alpi torinesi, come testimoniato da alcuni documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Torino... Intorno al 1300 nel Ruralium Commodorum, dove l’agronomo Pier de Crescenzi scrive dell’uva Nebiula come meravigliosamente vinosa, che fa vino da serbare ottimo e potente». Nel 1402 lo ritroviamo negli Statuti del Comune di La Morra come vitigno «prezioso e da proteggere». Nel 1606 Giovan Battista Croce, qualifica l’uva Nebbiolo come «regina delle uve nere». Nel 1730 se ne parla in un carteggio fra l’Ambasciatore dei Savoia a Londra, i mercanti inglesi e gli intendenti piemontesi. Nel 1799 il generale austriaco von Melas richiede «al campo di Bra una carrà di eccellente Nebbiolo», per festeggiare la vittoria sui Francesi. E anche in seguito non mancheranno estimatori di ogni ordine e grado, tra cui il Conte di Cavour che insieme a Louis Oudart sarà il protagonista dello “stil noveau” del Barolo, e addirittura il Presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson in viaggio in Europa, quando ancora doveva essere eletto. Uno dei grandi vini del mondo, tutto potenza, morbidezza, lunghezza e longevità.
Barolo Docg del Comune di Serralunga Rivetto
Varietà: Nebbiolo 100%
Forma di allevamento: guyot
Prezzo medio: 47 euro
Abbinamento consigliato: secondi di terra, arrosti
“Maiale, mole nero, indivia e arancia” di Paolo Barrale, chef 1 stella Michelin dell'Aria Restaurant di Napoli
Un gioiello tra le Langhe del Barolo che Enrico Rivetto, quarta generazione di una famiglia produttrice dal 1902, accudisce come un figlio, grazie a un progetto iniziato nel 1999 tutto orientato all’ecosostenibilità. 15 ettari di collina vitata, dove avena, orzo e trifoglio, si alternano tra i filari per contrastare i parassiti, ma danno il loro contributo di biodiversità anche 12 ettari di nocciole, un ettaro di cereali e 6 ettari di bosco. Scelte efficaci che vanno oltre i dogmi della certificazione biodinamica, come i 400 alberi ad alto fusto piantati nella tenuta, siepi di alloro, rosmarino, lavanda, piante aromatiche, frutteti e poi ancora l’orto e il compost, dove si riutilizza il letame di vacca e degli asini dell’azienda, insieme a vinacce e scarti di potature, ma anche il fotovoltaico e un sistema di fitodepurazione con recupero dell’acqua piovana e di quella reflua per irrigare. Su colline tra 300 e 400 m di altezza e suoli calcarei argillosi con presenza di magnesio, calcio e ferro, prosperano nel Comune di Serralunga (Cn) i vigneti di Nebbiolo Serra, Manocino e San Bernardo, le cui uve dopo la vinificazione a base di lieviti indigeni muteranno in vino per affinare in botti grandi di rovere di Slavonia. Molto interessante la parte dei profumi, al naso note speziate di pepe, lamponi sciroppati, more, fiori e un sentore di ciliegia disidratata importante. Al palato grande equilibrio, eleganza, potenza, acidità, tannini belli alti e un corpo strutturato con finale lungo. Un Barolo molto fresco, che riserverà sorprese interessanti nel corso dell’invecchiamento.
Barolo Docg del Comune di Barolo Marchesi di Barolo
Varietà: Nebbiolo 100%
Forma di allevamento: controspalliera guyot
Prezzo medio: 42 euro
Abbinamento consigliato: arrosto di vitello tartufato e selvaggina da piuma
“Pernice” di Marco Sacco, chef 2 stelle Michelin del Ristorante Piccolo Lago a Verbania e socio Euro-Toques Italia
Sembra impossibile che il maestoso Barolo, nella sua versione originale fosse «dolce come il vellutato Madera, astringente al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne», ma è proprio così e in queste righe scritte sul suo diario da Thomas Jefferson nel 1787 ne abbiamo conferma. È grazie al lavoro della Marchesa Giulia di Barolo che iniziando a vinificare in grandi botti, conservandole al riparo dal freddo invernale, il grande vino piemontese evolverà, assumendo la potenza, la tannicità e l’eleganza che conosciamo. Un vino che poteva andare lontano senza perdere le sue peculiari caratteristiche e per questo diverrà il vino di rappresentanza della corte dei Savoia, tanto che ne 1933 Re Vittorio Emanuele III autorizza il proprietario della cantina Pietro Abbona a porre in etichetta lo Stemma Reale sull’insegna delle Cantine dei Marchesi di Barolo, confermando il prestigio di un brand che continuerà ad affermarsi sulle tavole delle corti europee, dei nobili, dei pontefici. Terreni calcareo argillosi che alternano strati compatti di arenaria grigia, sabbie quarzose e limo, a cui si devono mineralità e profumi, ma anche grande intensità e persistenza, con sentori di tabacco, spezie, assenzio, mentre al palato esprime straordinaria eleganza e morbidezza, insieme a note speziate. Un grande classico dai tratti estremamente territoriali, ottimo per l’invecchiamento ma anche adatto ad essere bevuto subito, molto floreale, buona la corrispondenza naso e bocca, ottima sapidità con tannino non troppo invadente, un buon corpo, piacevole, che lavora leggermente in dolcezza e si presta a molteplici abbinamenti.
Barolo Docg del Comune di La Morra Roberto Voerzio
Varietà: Nebbiolo 100%
Forma di allevamento: guyot
Prezzo medio: 130 euro
Abbinamento consigliato: brasati di selvaggina e formaggi stagionati
“Carré di agnello al forno alla provenzale” di Claudio Sadler, 1 stella Michelin, presidente de Le Soste e socio Euro-Toques Italia
Roberto Voerzio è uno dei minimalisti del Barolo, esempio di tenacia e rispetto verso la natura e il territorio. Nella sua azienda agricola fondata a La Morra (Cn) nel 1986, inizialmente con soli due ettari, esprime criteri produttivi ecosostenibili, a partire dai terreni, che dopo la vendemmia vengono concimati manualmente con dosaggi calibrati di letame di mucca o humus, con potature invernali e diradamenti oculati, senza impiego di chimica, diserbanti, antimuffa o sostanze che possano alterare il ciclo vitale dell’uva, dal colore alla struttura, dai profumi al tannino, evitando di indurre la fermentazione alcolica con lieviti o ricorrere a filtrazioni e impiegando ridotte quantità di solfiti, mai oltre al 50% della dose consentita. Tuttavia, uno degli elementi più importanti per Voerzio è il tempo: dopo la malolattica in acciaio, quasi tutti suoi vini vengono travasati in legno, dove rimangono 24 mesi in barrique e botti da 12-15 hl; una volta in bottiglia è necessario che affinino almeno 5-6 anni prima di essere stappati, un periodo che può protrarsi con risultati evolutivi interessanti anche fino a 20-30 anni. Il Barolo La Morra viene prodotto in circa 13.600 bottiglie. Gioca tantissimo di estrazione, con una parte molto importante tannica e di acidità. Appartiene a quella categoria di vini fatti per essere lasciati in cantina alcuni decenni, per poi decidere di stapparli per ritrovare la vera essenza del Barolo. Molto importante la parte del frutto rispetto alla spezia. Il lavoro di Voerzio va all’essenza del Barolo, estrapolando tutti i grandi sentori classici e anche stilistici del grande vino piemontese. Se bevuto giovane rispecchia caratteristiche super territoriali; raggiunta la piena maturità esprime tannino e acidità, divenendo straordinariamente morbido e delicato.