Bagnacavallo, splendida cittadina medievale in provincia di Ravenna, famosa per i numerosi palazzi del Seicento e per una storica piazza a forma ellittica, antesignana dei moderni centri commerciali, da qualche anno si è imposta all'attenzione dei wine lover per la riscoperta di un vitigno e di un vino che sembrava destinato all'oblìo: il Bursòn. Il merito di averlo rilanciato e fatto conoscere al grande pubblico è dell'enologo Sergio Ragazzini che in collaborazione con Francesco Turri ha ideato una singolar tenzone tra il Bursòn e i grandi vini rossi della Penisola purchè (ecco la peculiarità del concorso) della stessa annata. Nei giorni scorsi al Ristorante All'Infinito di Bagnacavallo si è ripetuta la sfida tra il Bursòn e alcune grandi riserve. Quest'anno protagonista del confronto era l'annata 2016.
Il Burson è un vino particolare, dai sapori intensi ed è apprezzato da chi ama il vino schietto e sincero del contadino
Cinque le etichette del 2016 sottoposte al giudizio delle giurie
Cinque la etichette del 2016 in concorso sottoposte al severo giudizio di una duplice giuria. Una giuria tecnica di enologi, sommelier, giornalisti del settore e una giuria popolare: 120 ospiti che hanno degustato alla cieca le cinque etichette in gara: l'Amarone della Valpolicella Docg 2016 della Cantina del Castello di Soave; il Sangiovese Toscano Igp 2016 del Barone de Renzis Sonnino proprietario della tenuta e del castello di Montespertoli (Firenze); il Gutturnio Superiore Doc 2016 delle Cantine Campana di Carpaneto Piacentino; il Cabernet Riserva Quartella Igp 2016 dell'Azienda Longariva di Rovereto e il Bursòn Etichetta Nera Igp 2016 dell'azienda agricola Daniele Longanesi di Bagnacavallo (Romagna). E sapete chi ha vinto? Anche quest'anno (diciottesima edizione del concorso) ha trionfato il Bursòn di Daniele Longanesi, attuale presidente del Consorzio, che ha bissato il successo dell'anno scorso. Unanime il giudizio della giuria tecnica e popolare. Al secondo posto si è classificato il Gutturnio piacentino delle Cantine Campana e al terzo il Cabernet Riserva Quartella dell'azienda roveretana Longariva. Solo quarto l'Amarone della Valpolicella e quinto il Sangiovese toscano.
I cinque vini rossi dell'annata 2016 protagonisti della singolar tenzone
La ricerca, la sostenibilità, la biodiversità e il rilancio dei vitigni dimenticati
La serata è stata preceduta da un interessante confronto tra i produttori e i numerosi ospiti. Un “parterre” quanto mai qualificato di esperti del settore: l'enologo veronese Luigino Bertolazzi tra i maggiori esperti di microvinificazioni; l'ex direttore del Consorzio di tutela del Soave Aldo Lorenzoni, nume tutelare dell’associazione Graspo (Gruppo di Ricerca Ampelografica Sostenibile per la Preservazione della Biodiversità viticola) che oggi si occupa di vitigni dimenticati e sta riportando in auge molti vini del passato; la ricercatrice Marisa Fontana, enologa, esperta di biodiversità, autrice del volume "Le vecchie varietà locali di vite"; il patron di Proposta Vini Gianpaolo Girardi (Ciré di Pergine), azienda specializzata nella promozione e commercializzazione dei vini prodotti da piccoli vignaioli che non amano le ribalte televisive; il fotoreporter Gianmarco Guarise e il decano dei giornalisti enogastronomici trentini, nonchè commissario nei più importanti concorsi ernologici nazionali e internazionali, Giuseppe Casagrande.
Quei 143 vitigni autoctoni trovati nella pineta (area protetta) di Ravenna
Come anteprima alcuni soci del Consorzio Il Bagnacavallo (la Tenuta Uccellina di Russi, l'azienda agricola Longanesi di Bagnacavallo, l'azienda agricola Randi di Fusignano, l'azienda Poderi Morini di Villanova di Forlì, l'azienda Spinetta di Faenza, la cantina Casadio di Brisighella) hanno proposto in degustazione una ventina di etichette: il Bursòn (anche nella versione Rosé), la Rambèla, il Centesimino, il Famoso, l'Albana, il Malbo Gentile, la Cagnina, il Savignone, gli spumanti metodo Martinotti e i passiti. Tutti vitigni dal cuore antico, sconosciuti ai più. Curiosità: nella pineta di Classe (a Sud di Ravenna), area protetta inserita nel Parco regionale del Delta del Po, un'oasi naturalistica amata dai visitatori, sono stati catalogati ben 143 vitigni autoctoni. In gran parte sono viti vinifere: alcune di queste sono state riprodotte e le ritroviamo oggi nei vigneti della Romagna.
Quella vite abbarbicata ad una quercia del roccolo per la caccia
La riscoperta del Bursòn risale agli anni Cinquanta del secolo scorso. Fu il patriarca della famiglia Longanesi, Antonio, che amava la caccia, ad accorgersi che gli uccellini andavano a mangiare l’uva nella vite abbarbicata ad una quercia del roccolo. La vecchia vite era un richiamo irresistibile per gli uccellini soprattutto in autunno inoltrato. Un anno, a fine ottobre, Antonio Longanesi e il fratello videro dei bellissimi grappoli, sani e dolcissimi. Li portarono a casa e, per curiosità, decisero di misurare il grado zuccherino. Il risultato fu incredibile: 24 gradi Babo. Riprovarono con il densimetro del vicino di casa: stesso risultato. Vendemmiarono i pochi grappoli e vinificarono le uve. I risultati furono lusinghieri soprattutto se confrontati con le modeste gradazioni del Sangiovese e dell’Albana che in quelle zone non superavano mai i 10 gradi alcolici. Ultima curiosità dell’uva Longanesi: quando il grappolo è maturo, uno degli acini (chissà come mai) rimane verde. Quando anche questo diventa rosso è il segnale che può iniziare la vendemmia. A quel punto raccolsero le marze e dopo un paio d'anni misero a dimora queste barbatelle. Era nata l'uva Longanesi poi diventata Bursòn con l'appassimento delle uve, la stessa tecnica usata con l'Amarone in Valpolicella. Oggi il Bursòn arriva sulle tavole degli italiani ad un costo ancora relativamente basso (10 euro a bottiglia). Ma - ne siamo certi - non impiegherà molto tempo a raggiungere quotazioni più elevate. Come merita.
Antonio Longanesi (1921-2020) il padre del Bursòn
I numeri del Consorzio: dalle 780 bottiglie iniziali alle 70 mila attuali
«Attualmente fanno parte del Consorzio 14 produttori sparsi sul territorio - spiega l’enologo Sergio Ragazzini - Nato nel 1998 per valorizzare le produzioni tipiche della zona di Bagnacavallo, erano compresi anche l'aceto, il miele, i formaggi e altri prodotti, oggi il Consorzio riunisce esclusivamente i produttori di vino, ad eccezione del calzaturificio Emanuela che ha scelto di inserire il logo de Il Bagnacavallo su ogni scatola per fini promozionali. Nell’arco di questi anni, la produzione si è ampliata in maniera vertiginosa passando dalle 780 bottiglie iniziali del primo anno alle 70.000 attuali. Bottiglie destinate per lo più al mercato estero». Il Burson è un vino particolare, dai sapori intensi ed è apprezzato da chi ama il vino schietto e sincero del contadino. Oltre la metà della produzione viene esportata in Germania, Singapore e Cina. In quei mercati il Bursòn riscuote molto successo al punto da essere stato eletto, nel corso di una importante mostra enologica cinese, come il migliore vino rosso della rassegna.
I grappoli dell'antico vitigno Longanesi che vinificati danno vita al Bursòn.
Buone prospettive future anche per il "Rambèla", un bianco fermo e frizzante
Accanto al Burson si sta facendo strada un altro vino, di origine sempre locale, il Rambèla, un bianco prodotto nelle versioni ferma e frizzante, che deriva dal vitigno Famoso. «In questi ultimi dieci anni, da quando è iniziata la sua riscoperta – spiega Ragazzini – i produttori sono diventati sei e le bottiglie da zero sono passate a 100mila, di queste il 60% è prodotto nella versione spumantizzata». Anche in questo caso, come per il Bursòn, si tratta di un vitigno antico, travolto negli anni da un oblìo che solo la passione di alcuni lungimiranti viticoltori ha ripotato in auge. «Il nome Rambéla è il termine dialettale utilizzato per indicare nelle nostre zone il vitigno Famoso e può essere usato soltanto dai produttori del Consorzio – sottolinea Ragazzini - sicuramente si tratta di un prodotto più facile da proporre rispetto al Bursòn, visto che è in grado di confrontarsi con il fenomeno Prosecco». Le zone di produzione si sono, nel frattempo, estese da Bagnacavallo fino a Faenza, Cesena e Mercato Saraceno. Con la vendemmia 2022 usciranno le prime bottiglie con il marchio Dop Romagna Famoso. Ma le sperimentazioni non finiscono qui. «Stiamo lavorando sul Malbo Gentile, altro vitigno locale, da cui – continua Ragazzini – si produce un passito rosso che al momento è arrivato ad una produzione di circa 10.000 bottiglie l’anno. Accanto all’attività di due-tre produttori locali c’è anche la Scuola Agraria Persolino di Faenza che si sta occupando del suo sviluppo». Insomma il futuro sembra davvero roseo per i vini romagnoli. In alto i calici. Prosit!