Che vino beviamo stasera? Perché non provare, al posto del solito Merlot o del Cabernet o del Pinot Grigio o di qualche altra etichetta "modaiola", un vino figlio della storia, della tradizione, del genius loci? Il vino dei contadini di un tempo ricavato da vigne centenarie di cui si era persa la memoria e che un gruppo di benemeriti ricercatori ha riportato a nuova vita salvando dall'estinzione queste autentiche reliquie del passato? Perché non assaggiare, ad esempio, la Casetta della Vallagarina, l'Enantio, la Nera dei Baisi, la Pavana della Valsugana, il Groppello della Val di Non, la Paolina, la Peverella, l'Oseleta, la Negrara, la Rossara, la Turchetta? E perchè no: la Brepona, la Ottavia, la Pontedara, la Rossa Burgan, la Saccola, la Benedina, la Bigolona, la Cabrusina, la Dindarella, la Forselina, la Invernenga, la Marcobona, la Mattarella, la Corbina, la Dorona, la Perera. Ed ancora: la Rossetta di Montagna, la Cavrara, la Marzemina Bianca, la Marzemina Nera Bastarda, la Pattaresca, la Pedevenda, la Pinella, l'Uva d'oro, la Gruaja, la Pomella, la Moschina, la Madama Bianca, la Madama Nera, la Moscatella Nera, la Minnella, la Vispara, la Vulpea, l'Uva Gatta.
La monumentale vigna di Magrè piantata nel lontano 1601. Foto: Gianmarco Guarise
Vino: il nostro Paese vanta un immenso patrimonio ampelografico
Sono alcune delle centinaia di varietà d'uva dell'immenso patrimonio ampelografico del BelPaese destinate all'estinzione e che un'equipe di appassionati ha individuato percorrendo la Penisola dal Trentino-Alto Adige alla Sicilia, dalla Valle d'Aosta alla Sardegna. Ne abbiamo parlato in occasione della presentazione a Vinitaly del volume sulla biodiversità viticola realizzato dall’associazione Graspo (Gruppo di Ricerca Ampelografica per la Salvaguardia e la Preservazione dell’Originalità e della Biodiversità viticola). Un'associazione senza finalità di lucro fondata da Aldo Lorenzoni (ex direttore del Consorzio del Soave) e dagli enologi Luigino Bertolazzi e Giuseppe Carcereri de Prati con il supporto del fotoreporter Gianmarco Guarise. Un poker di appassionati che ha potuto contare sulla preziosa collaborazione di docenti universitari, di Centri di Ricerca e del Ministero dell’Università con il supporto dei Consorzi dei Colli Berici e dei Colli Euganei.
Graspo: l'opera benemerita di un gruppo di ricercatori a caccia di biodiversità
L'opera benemerita di questo gruppo di ricercatori è riassunta in un monumentale volume che parla di Biodiversità Viticola con riferimento, in particolare, ai custodi di questa biodiversità. Una sfida lanciata con lo scopo di trovare per ogni vitigno abbandonato e a rischio d'estinzione un’azienda che di questo vitigno ne diventasse il nume tutelare. Un progetto di valorizzazione del patrimonio vitivinicolo italiano raccontato attraverso la storia del territorio, del vitigno e le testimonianze delle aziende nella convinzione che la biodiversità può essere una risorsa importante per il futuro della viticoltura, sia in chiave di cambiamento climatico sia per una migliore diversificazione dei vini anche in chiave commerciale.
Se le Istituzioni preposte ed i Centri di Ricerca sono attualmente molto impegnati sul fronte dei vitigni resistenti (Piwi), l’associazione Graspo sta verificando con rilievi sul campo e microvinificazioni le peculiari caratteristiche dei vitigni considerati perduti per verificarne le potenzialità, sia in purezza sia come supporto ai vitigni storici. Il lavoro prevede una puntuale ricerca bibliografica, una validazione prima ampelografica e poi anche genetica delle varietà, lo studio del territorio su cui sono state reperite, l’identificazione dei produttori custodi, il costante e puntuale monitoraggio fenologico, una sintetica descrizione ampelografica e, a seguire, tutte le operazioni di raccolta, di vinificazione, di analisi e di imbottigliamento. Per le varietà più interessanti sono state anche prelevate le marze per poter così analizzare, nel prossimo futuro, il loro comportamento nei diversi areali.
I fondatori dell'Associazione Graspo: Giuseppe Carcereri, Aldo Lorenzoni e Luigino Bertolazzi. Foto: Gianmarco Guarise
Effettuate 150 analisi del Dna e decine di microvinificazioni
Tutto questo lavoro, vi chiederete, con quali risultati. Bene, l'Associazione Graspo, dopo aver percorso oltre 50mila chilometri lungo la Penisola ed aver effettuato 150 analisi complessive del Dna e 62 microvinificazioni da vitigni seriamente a rischio di estinzione, è riuscita a ottenere dei vini, a detta degli assaggiatori, non solo interessanti, ma - sorpresa - anche buoni. Ora questo lungo lavoro cerca dei custodi, cioè dei vignaioli che si mettano in gioco, rendendosi disponibili a piantare queste varietà e a sperimentarle in cantina.
«Siamo così sicuri che quel che stiamo perdendo non abbia un valore e possa in futuro rivelarsi utile, anche in relazione al cambiamento climatico? - si chiede Aldo Lorenzoni, raccontando la nascita dell’associazione - Si tratta di vitigni un tempo considerati troppo acidi o tannici, che oggi possono dare vini piacevoli, esattamente nel posto dove già sono coltivate le vigne, senza dover andare a piantare le viti in zone, ad esempio, più alte o più fredde».
Nel "mare magnum" della Penisola trovate centinaia di varietà
L'Associazione Graspo ha pescato e trovato nel "mare magnum" della biodiversità viticola centinaia di varietà di antica coltivazione, che popolano in abbondanza l’antica Enotria e dove il Veneto rappresenta un bacino importante. Ma credere che sia un progetto di sola ricerca vinicola limitato ai confini regionali sarebbe fuorviante. La verità, infatti, è che questo è un progetto culturale del terzo settore che si basa anche sulla solidarietà e ha già coinvolto attori a livello nazionale e internazionale.
«L’azienda toscana Sassotondo, ad esempio - ha spiegato Aldo Lorenzoni - investirà sull’Etna, producendo un vino la cui vendita finanzierà la ricerca sui vitigni perduti del vulcano. E a Capo Verde aiuteremo padre Ottavio Fasano a gestire 23 ettari di vigna piantata anche con vitigni dimenticati».
Le antiche viti sostenute da monumentali Pilun a Carema (Piemonte). Foto: Gianmarco Guarise
Magrè custodisce una vigna monumentale piantata 422 anni fa
Parlando di vitigni antichi, autentici patriarchi, Graspo ha inviduato decine e decine di vigne centenarie. A Magré, in Alto Adige, il vignaiolo Robert Cassar custodisce un'antica vigna addossata alla sua casa. Fu piantata nel lontano1601 si legge in una lastra posto a fianco della monumentale vigna. «Nell'ottobre dell'anno di grazia 1601 fu messo a dimora questo tralcio di vite dell'antico ceppo Feichter di proprietà di Clement Feichter, tramite il vittavolo Domenig do Valentini originario della Val di Sole».
Il suo nome è impronunciabile: Hörtröte o Roter Hörtling e domina la piazza del paesino altoatesino. L'antico vitigno - non sappiamo se esistano altri esemplari - l'anno scorso ha prodotto 43 chilogrammi di uve che sono state vinificate ottenendo 35 bottiglie. "Uniche, rare e preziose" ha commentato Aldo Lorenzoni. La pianta è protetta dalla Provincia autonoma di Bolzano come Monumento Naturale, ma solo la cura e la passione del custode e proprietario della vite, Robert Cassar, hanno fatto sì che a distanza di 422 anni la storica vigna goda ancora ottima salute. È una varietà di uva dal colore rosso tenue, molto zuccherina, il grappolo è compatto di forma conica con piccoli racimoli come ali, gli acini rotondeggianti, la polpa croccante quasi carnosa, il sapore è fruttato con note di susina, albicocca e lampone.
Altro monumento vivente la vigna Versoalen a Castel Katzenzungen
Un un altro monumento vivente è, sempre in Alto Adige, la vecchia vite Versoalen di Castel Katzenzungen a Prissiano, nel Burgraviato meranese. La pergola si estende per 300 metri quadrati addossata al muro di cinta dell'antico maniero. È considerata - racconta Josef Terleth, ricercatore del Centro sperimentale di Laimburg - la vite più grande d'Europa e tra le più antiche in assoluto: oltre 360 anni di vita sulle spalle. Attorno alla pianta, tutelata come monumento naturale dalla Provincua autonoma di Bolzano, sono state piantate altre viti della stessa varietà a bacca bianca con il risultato di ottenere un piccolo vigneto di grande suggestione. L'anno scorso sono stati raccolti due quintali di uva. La vendemmia, la vinificazione e la commercializzazione delle bottiglie è affidata alla Cantina di Laimburg. Il vino ha un colore vivace, giallo verdolino. Il bouquet è delicato e regala sentori fruttati di lime e mela Golden Delicious. In bocca è molto fine con una spiccata acidità.
Le vigne da muro di Arquà Petrarca, di Saccola e di Badia Calavena sui Lessini
Il professor Attilio Scienza ha dedicato un intero capitolo a quesi monumenti viventi che costituiscono la memoria storica della nostra civiltà vinicola. E cita le "vigne da muro" di Arquà Petrarca sui Colli Euganei, di Saccola nel Vicentino, di Badia Calavena sui Monti Lessini, di Begosso nel Veronese, di Pombia nel Novarese, di Clos de Vougeot in Borgogna, di Castel Katzenzungen, di Magrè in Alto Adige e di Maribor in Slovenia.
A Maribor (Slovenia) un'antica vigna da muro del '600 produce 80 chili d'uva
A Maribor, nell'antica Marburg an der Drau, capitale della Stiria slovena, da centinaia di anni vive sulla riva destra del fiume Drava una spettacolare vigna: la Stara Trta (Vecchia Vigna), forse la Vitis Vinifera Sativa più longeva al mondo. Iserita nel Guinness dei primati. L'età di questa antica vigna addossata alla parete di una casa è stata determinata da test scientifici e convalidata da un dipinto datato tra il 1657 e il 1681 dove questa monumentale pianta è raffigurata aggrappata al muro della palazzina dove ancora oggi è ubicata.
La varietà di uva è a bacca rossa: la Modra Kavcina che ogni anno produce 80 chili d'uva il cui vino viene valorizzato con delle artistiche ed esclusive bottiglie. Disegnate dall'artista sloveno Oskar Kogoj, vengono regalate a mo' di souvenir dal sindaco di Maribor ai personaggi in visita alla città.
La vigna centenaria di Maribor, in Slovenia, sulla riva destra del fiume Drava. Foto: Gianmarco Guarise
Un'opera fondamentale sulla biodiversità: i custodi, i vitigni, i vini
L’associazione Graspo ha presentato alcuni dossier per l’iscrizione dei vitigni più interessanti al Registro delle varietà della vite del Ministero. Tutta questa articolata attività è testimoniata da una pubblicazione fondamentale per gli studiosi di ampelografia dal titolo: "La biodiversità viticola, i custodi, i vitigni, i vini". Una pubblicazione che sintetizza il lavoro fatto fino ad oggi e che diventa uno strumento ideale per accompagnare le degustazioni di questi originalissimi vini.
Il Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano ha deciso di appoggiare il progetto Graspo, perché l’idea è quella di estendere la ricerca a tutto il territorio nazionale. «È interessante la possibilità di poter recuperare il patrimonio genetico, la biodiversità della vite e averla, sia nella collezione, ma anche come possibile progenitore di incroci futuri - sostiene Riccardo Velasco, direttore del Crea - considerando che questo materiale genetico contiene resilienze a quelle difficoltà climatiche con cui ci stiamo confrontando noi oggi. Sono vitigni antichi con pregi importanti che possono aiutarci nel miglioramento genetico».
In Lessinia trovato il Gouais Blanc, padre dello Chardonnay e del Riesling
In Lessinia i ricercatori di Graspo hanno trovato in un vecchio vigneto, a 700 metri, il Gouais Blanc, padre dello Chardonnay, del Gamay, del Riesling e di 80 vitigni moderni, insomma la quasi totalità dei vitigni bianchi importanti. «Vino dalla grande acidità e freschezza - racconta l’enologo Luigino Bertolazzi - il Gouais era presente anche nello Champagne, poi sostituito dallo Chardonnay. Dopo un periodo molto caldo, nel 250 dopo Cristo, durato oltre 200 anni in Europa, il Gouais Blanc venne piantato in Germania e nei Balcani, arrivando addirittura in Scozia, perché da varietà cruda e acerba riuscì finalmente a maturare bene».
Quella vite, franca di piede, maritata al salice: la Bianchetta di pianura
Vitigni scomparsi in vigneti abbandonati, sia in alta quota che in pianura. «La pianura ci ha portato fortuna - continua Luigino Bertolazzi - con una pianta di Bianchetta trevigiana di 200 anni, franca di piede: vite maritata al salice, tradisce la sua origine collinare perché figlia di Brambana e di Durella. Sempre in pianura abbiamo trovato una varietà particolare che abbiamo chiamato Leonicena. Non è fra i vitigni permessi, ma 30 anni fa era coltivata su una superficie di 40 ettari a Lonigo. Resistette al gelo del 1985 e tollera bene la flavescenza dorata. Ecco perché ha senso parlare di "vitigni del passato per i vini del futuro».
I vitigni del passato per i vini del futuro... eccoli nel bicchiere
Caratteristica interessante di Graspo è che non si parla solo di vitigni, ma anche di vini: a Vinitaly 2023, l’associazione Graspo ha presentato alcuni vini in degustazione. Per adesso si tratta di una sperimentazione con l’obiettivo di misurare le loro potenzialità per un loro futuro inserimento nella produzione vera e propria. Fra i tre bianchi e i tre rossi presentati, questi ultimi sono risultati più intriganti, specialmente nel caso del Roter Hörtling, accanto alla Corbina e alla Marzemina Nera Bastarda.
Molto semplici e ancora alla ricerca di una loro espressività i tre vini bianchi: Pedevenda, Dor e Gouais Blanc, quest’ultimo ottenuto da rifermentazione in bottiglia. Fra gli altri vini in assaggio, interessanti, tra i bianchi, la Leonicena, molto sapida e agrumata, dall’aderenza quasi tannica; la Moschina, molto fresca e citrina, dal sapore di mandorla bianca; la Dorona, piacevolmente sapida; la Pedevenda con quel tocco di pera antica. Piacevoli anche i quattro rossi: la Cambugiana dalle note di piccoli frutti di bosco e dal sorso vivace; l’Uva Gatta, appassita per 25 giorni, decisamente concentrata; la Cavrara, dal naso intrigante e beverina in bocca; infine, la Corbina, versione dolce, dal colore impenetrabile e organoletticamente complessa.
Degustazione di sei etichette del cuore alla Fondazione Edmund Mach
Analoga presentazione con degustazione di sei etichette del cuore ha avuto luogo nei giorni scorsi nella sede di Proposta Vini, splendido anfitrione Gianpaolo Girardi, e successivamente nella sede istituzionale della Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige durante un incontro con Marco Stefanini, responsabile del Dipartimeno Unità genetica e miglioramento genetico della vite e con Tiziano Tomasi del Centro Ricerca e Innovazione, presente l'equipe di ricercatori del Dipartimento trentino.
Emozionanti gli assaggi di tre vini bianchi: Brepona, Leonicena e Liseiret
Emozionante l'assaggio del primo vino presentato: la Brepona, un vino bianco di buona struttura e sapidità messo all’angolo nella zona di Soave dalla grande plasticità della Garganega, ma che merita almeno la medesima dignità. Il secondo vino è figlio della Leonicena, una varietà quasi scomparsa caratterizzata dalla straordinaria resistenza al gelo e con un'ottima tolleranza alla peste viticola: la flavescenza dorata, un fitoplasma trasportato dallo Scafoideus Titanus che sta facendo strage in Veneto e non solo. Il vino prodotto da questo vitigno è estremamente sapido con una grande freschezza.
Il terzo vino viene dai Monti Lessini, in un vigneto a 700 metri dove Graspo ha individuato alcune viti di Liseiret/Gouais Blac/Weisser Heunisch, una delle varietà fondanti della moderna viticoltura, genitore - come abbiamo detto - di vitigni illustri: lo Chardonnay, il Gamay, il Riesling, il Furmint ed altre 80 varietà. Questo vitigno rivela una straorinaria capacità di conservare l’acidità, il che ci induce a pensarlo in chiave spumantistica e di coltivazione a quote più basse. Interessante per la freschezza, la sapidità e la piacevolezza.
Marco Stefanini e l'enologo Luigino Bertolazzi versano alcune rarità. Foto: Gianmarco Guarise
I vini rossi della memoria: la Burgan, la Pontedera e la Pattaresca
Per i rossi sono stati presentati tre vini iconici: in primis la Rossa Burgan, una vite di ottima produttività estremamente tollerante alle fitopatie in genere. L’analisi del Dna parla di un fortuito connubio fra Cavrara e Garganega che ha saputo trarre dai due genitori il meglio e, pur non mostrando doti di colore straordinarie, ha un'ottima evoluzione e piacevolezza nel tempo. Il suo custode assicura che come lavorazioni sono sufficienti la potatura, lo sfalcio dell'erba e la coltivazione sotto chioma.
Sorprendente la Pontedara, franca di piede, figlia della Lessinia. Da sempre considerata uva per vini di alto lignaggio nei territori montani, possiede colore, acidità e una buona tessitura tannica che con il tempo tende ad assumere l’eleganza del Pinot Nero pur avendo espressioni più marcate. Da ultimo una varietà veneta trevigiano/euganea: la Pattaresca che ha da poco ottenuto l’iscrizione al registro dei vitigni del Ministero. Il vino ha una sua piacevolezza innata e bene ha fatto la commissione a ridare dignità enologica a questo vitigno.
In alto i calici. Prosit!