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Tempo di enoturismo 4.0. Serve qualità per attirare visitatori

I viticoltori non possono più permettersi di accogliere sporadiche visite solo con l'obiettivo di vendere una bottiglia in più, ma devono organizzare e progettare esperienze nuove. Fare del buon vino non basta più, bisogna essere anche commercianti, story teller, utilizzatori delle tecnologie; oppure meglio lasciar perdere

 
08 maggio 2021 | 05:00

Tempo di enoturismo 4.0. Serve qualità per attirare visitatori

I viticoltori non possono più permettersi di accogliere sporadiche visite solo con l'obiettivo di vendere una bottiglia in più, ma devono organizzare e progettare esperienze nuove. Fare del buon vino non basta più, bisogna essere anche commercianti, story teller, utilizzatori delle tecnologie; oppure meglio lasciar perdere

08 maggio 2021 | 05:00
 

Interessante di per sé, e non vuole essere un gioco di parole, l’interesse che sta suscitando nella platea allargata degli addetti ai lavori e dei fruitori, il fenomeno dell’enoturismo. Vi sono pregevoli analisi al riguardo, molto autorevole tra le quali il pertinente quarto Rapporto curato dalla professoressa Roberta Garibaldi, presentato giovedì al Senato.

Tempo di nuovo enoturismo Tempo di enoturismo 4.0 Serve qualità per attirare visitatori

Tempo di nuovo enoturismo


Lo scenario di oggi

Osserviamo lo scenario con gli occhi del vitivinicoltore a suo agio nel terzo decennio del ventunesimo secolo. Vitivinicoltore ben consapevole che il suo prodotto di punta, il vino imbottigliato, ha la connotazione irrinunciabile della qualità. Sì, ma attenzione, considerazione importante: non solo qualità di prodotto ma anche qualità di processo. Per qualità di prodotto vogliono qui intendersi due requisiti facili facili:

  • vino buono nella sua pregevolezza organolettica
  • vino ben fatto che non procuri nocività alla salute se non, evidentemente ed ovviamente, in circostanze di scellerati abusi


Novità sulla qualità di processo

Ma è sulla qualità di processo che intervengono le novità, a dimostrazione di come sovente è la domanda di punta ad orientare l’offerta sensibile. Ergo, per qualità di processo si intende tutto il flusso di lavorazione che nel mettere capo al vino imbottigliato, impatta sulla coltivazione del vigneto, sulle tecniche colturali applicate, sulla lavorazione in cantina, sul packaging, fino alla presenza della bottiglia sui canali di mercato.

Insomma, mentre la qualità di prodotto è semplicemente qualità attesa, l’assenza della quale espelle quel vino dal mercato, la qualità di processo è frutto dell’accresciuta attenzione sociale (dalla pandemia catalizzata) verso la sostenibilità ambientale, la tracciabilità, e quindi in definitiva, verso la green economy. Sottintendiamo che queste considerazioni di base sono applicabili anche al food.

La qualità enogastronomica invoglia a viaggiare

La correlazione tra questi due elementi di qualità (qualità di prodotto e qualità di processo) innesca il food&wine come motivazione di viaggio. La qualità di prodotto è condizione necessaria ma da sola non è più sufficiente. Ad essa va abbinata, ed efficacemente e schiettamente comunicata, la qualità di processo. Per proseguire nella trattazione del tema ricorriamo alla matrice di Ansoff.

La Matrice di Ansoff
La Matrice di Ansoff


Lo sviluppo del viticoltore

Il riquadro 1, stabilità di prodotto e di mercato, è popolato dal vitivinicoltore dell’anno 2000. Sopravvissuto o sopraggiunto allo scandalo del metanolo, ha ben chiaro il concetto di qualità di prodotto ed esso gli funge da driver nella sua attività. Produce le sue (poche) etichette e le vende secondo canali consolidati.

Il riquadro 2, stabilità di prodotto e ricerca di nuovi mercati, è popolato dal vitivinicoltore che ben comprende quanto sia essenziale, ai fini dello sviluppo dell’azienda, espandere i suoi mercati e quindi strutturarsi onde vendere il suo prodotto all’estero. Quindi, frequentazione delle fiere che contano, relazioni utili con importatori e distributori, struttura interna con export manager.

Il riquadro 3, stabilità di mercato ed ampliamento prodotti, è popolato dal vitivinicoltore che, per via di ampliamento di vigneti e/o di uliveti, arricchisce la sua gamma di etichette e/o ad essa aggiunge l’offering di olio extravergine di oliva di qualità.

Ecco, soffermiamoci su questi tre riquadri della matrice e domandiamoci in tutto ciò dove si collochi eventuale attività di enoturismo. Non è detto che non ci sia; anzi è probabile che essa ci sia ma è “l’enoturismo di prima”: accogliere la visita spontanea di sparuti enoturisti in sala improvvisata, procedere a degustazione palesemente mirata alla vendita dell’istante e magari, va detto e sottolineato, comunque non richiedere ticket. Insomma, l’esistenza di un patto tacito: io vitivinicoltore ti accolgo, ti faccio assaggiare (cosa diversa dal degustare) qualche mio vino, ma tu poi qualche bottiglia te la compri, vero? Fenomeno del passato.


Come sarà l'enoturismo di domani?

E allora dove va a collocarsi, nella suddetta matrice che tanto bene ci sta supportando in questa analisi, l’enoturismo di oggi e di domani? Senza dubbio alcuno, nel riquadro 4. Il riquadro 4 è popolato dal vitivinicoltore che amplia, diversifica e sviluppa il suo mix di prodotto e di mercato. Qui, attenzione, per diversificazione di prodotto vuole principalmente intendersi il suo commutarsi da prodotto propriamente inteso, la tangibile bottiglia di vetro con il suo sorseggiabile contenuto, verso il servizio suadentemente erogato all’enoturista che ha al centro l’esperienza cognitiva ed emozionale, di cui la bottiglia di vino costituisce l’esito naturale ma non il fondamento. Nulla che ricordi il pioneristico passato. L’ospite è accolto non solo con gentilezza e garbo, ma anche con rigorosa professionalità, con competenza specifica di accoglienza, di tutoring, di comunicazione e relazione.

E’ mondo altro, è cosa altra rispetto al non rinnegabile passato. E la diversificazione di mercato? Qui più che altro è da intendersi come profilo di utenza. Non più o non solo differenziare per provenienza (Italia/Estero), bensì segmentare secondo le soft skills dei visitatori (mettere a frutto i big data) ed essere in grado, pertanto, di proporre visite adattive, di sicuro successo per quanto sorprendentemente gradite dai visitatori.

Visitatori che sono i buyer/end users dell’oggi e del domani. Lo teniamo sempre a mente: la bottiglia è per davvero venduta quando è bevuta (elogio del sell-out sul sell-in !). E allora, posto che offrire enoturismo significhi abitare il riquadro 4, di ciò essendo i vitivinicoltori i primi ad averne contezza, domandiamoci: è cosa facile? Risposta: no, non è mica facile. Allora è difficile? Assolutamente no, non è neanche difficile. Si tratta semplicemente di attrezzarsi all’uopo.

  • Abbiamo competenze di vigneto? Certamente sì, bravo agronomo e bravi suoi collaboratori che sanno fare il loro mestiere: competenti ed appassionati.
  • Abbiamo competenze di cantina? Certamente sì, bravo enologo e bravi suoi collaboratori che sanno fare il loro mestiere: competenti ed appassionati.
  • Abbiamo competenze commerciali? Sì, venditori, agenti, export manager.

E allora, suvvia, acquisiamo, formiamo persone atte a progettare, organizzare ed attuare l’erogazione di servizi volti soddisfare i bisogni espressi degli enoturisti di oggi e, irrinunciabilmente, a soddisfare i desideri ancora inespressi, sta a noi inseminarli, degli enoturisti del vicino domani. Non solo perché gli abbiamo trovato collocazione nel riquadro 4 della matrice, ma soprattutto per quanto trova allocazione nel mondo affascinante dell’Agricoltura 4.0 e del Turismo 4.0, non è che questo enoturismo dell’oggi/domani, vogliamo convenzionalmente e coerentemente denominarlo enoturismo 4.0?


© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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