In un Paese come l’Italia, una penisola con sviluppo costiero di poco inferiore agli 8mila chilometri e in un momento in cui l’Unione europea lancia il New Green Deal, laddove due dossier strategici sono la Biodiversità e il Farm To Fork (F2F), non desta meraviglia che si chieda l’istituzione del ministero del Mare, bensì desta stupore che questo ministero ancora non esista.
Posto, ovviamente, che il suo esistere non debba significare mero e nocivo incremento di istanze e meccanismi burocratici, ma piuttosto funzionale ed efficace insediamento di organo di governo della risorsa “mare”. Una risorsa che “è” l’Italia, che “fa” l’Italia, nel senso che la connota praticamente da sempre come la storia millenaria ci insegna.
Il mare è motore primo di quella che viene denominata la “blue economy”
Fondamentale lo sviluppo della “blue economy”Il mare è motore primo di quella che viene denominata la “
blue economy”. E se per green economy nella sua accezione estesa vuole intendersi l’attenzione alla sostenibilità con quanto ne consegue in termini di lotta allo
spreco,
tutela dell’ambiente e innesco della cosiddetta
economia circolare, per blue economy si vorranno intendere pressappoco gli stessi concetti laddove la “green” ha culla di appoggio sulla terra, la “blue” sul mare.
E questo è un modo dolce e savio per ricordare a tutti noi che il nostro è pianeta terracqueo; ciò si riflette armoniosamente nel nostro Belpaese, per tre quarti dal mare contornato.
Un ministero del Mare per dare spinta al turismo e alla pescaE di come il nostro mare costituisca risorsa tanto preziosa quanto necessitante di costanti amorevoli cure, ne sono testimoni due settori vitali: la
pesca ed il
turismo. Giammai casualmente i due settori hanno robusto intreccio.
Dal peschereccio alla tavolaDa fonte
Federpesca, il comparto della pesca produce ogni anno beni e servizi per un valore di 34 miliardi di euro pari al 2% del Pil, fornendo occupazione a oltre 530mila addetti.
Gli attori del comparto, in coerenza con quanto si diceva a proposito di analogie tra green e blue economy, dovranno per forza ricondursi alla strategia “dal
produttore al
consumatore” ovvero anch’essi, poste le dovute differenze secondo “natura”, si convertono virtuosamente al “from Farm to Fork” che potremmo ribattezzare “from Trawler to Fork” (T2F) ovvero “dal
peschereccio alla
tavola” portando, tra le altre cose, gli
stock ittici a livelli di
pesca sostenibili. E già qui la ristorazione attenta, la
ristorazione nuova che nasce dalla lezione appresa durante la pandemia, gioca il suo ruolo di cui tra poco diremo (uno).
Il ruolo della ristorazione nella pesca locale e sostenibileIl pesce, secondo un saggio comune sentire mai smentito dalla medicina, fa bene. La
Dieta Mediterranea, con la sua trasposizione d’immagine mediante piramide, individua nel pescato una fonte di alimentazione sana di cui consiglia consumo frequente. Ma andiamo avanti e in ottica sistemica, diremmo meglio adesso in ottica di sostenibilità, la garanzia dell’alimentazione sicura e sana che può ragionevolmente garantire il pescato è maggiormente tale se parliamo di
pescato locale e se parliamo di una
pesca sostenibile che riconduca il consumatore a un’informazione basilare che è quella della “
stagionalità del pesce e quindi la correttezza del pescato”. Anche qui, e siamo già a “due”, deve svolgere il suo ruolo la nuova ristorazione di qualità.
Ed eccoci ad altra similitudine tra F2F e T2F: così come l’agricoltura sostenibile comporta un aumento del
reddito degli agricoltori, altrettanto accadrà, con l’adozione della pesca sostenibile, per i pescatori. Anche qui, e siamo già a “tre”, la nuova ristorazione di qualità ha ruolo delicato ed importante da ricoprire.
Prioritario governare l’acquacolturaÈ priorità anche
governare il settore emergente ed oramai vitale
dell’acquacoltura. Si tratta, da consumatori, di non commettere due errori contrapposti. Primo errore: mai e poi mai mangerei un pesce di allevamento; la carne non ha sapore, e chissà cosa gli hanno dato da mangiare e magari lo hanno anche riempito di medicine per portarlo a peso congruo. Secondo errore: che sia pescato a mare, che sia di allevamento, sono esattamente la stessa cosa. La verità risiede nella scala dei grigi tra il bianco e il nero delle due posizioni estreme. Un’acquacoltura ben fatta, con regole ben chiare e condivise e con
controlli rigorosamente attuati è soluzione adeguata ai fabbisogni di pesce fresco. Anche l’acquacoltura, giova ribadirlo, è sussunta alla regola dello
sviluppo sostenibile. Anche qui, e siamo a “quattro”, importante il ruolo della nuova ristorazione di qualità.
Verso un ripopolamento delle zone costiereE così come il F2F concorre, tra le altre cose, al
ripopolamento dei
borghi così innescando una nuova demografia ed un “nuovo vivere” la ruralità confortevole, parimenti il T2F concorre ad un vivere delle
popolazioni costiere che sia in sintonia con la risorsa “mare” ben aldilà del turismo balneare estivo. Insomma, anche la pesca contribuirà alla coesione territoriale.
E così come nell’agroalimentare si combatte la frode, anche “nel mare” si tratta di perseguire una politica di tolleranza zero nei confronti della
pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Ed anche qui, con il cadere di contiguità non proprio etiche tra ristoratori e fonti di approvvigionamento alquanto dubbie, il ristoratore nuovo di qualità svolge il suo ruolo (cinque).
Il ritorno alla “villeggiatura”Mare e
turismo è binomio fin troppo ovvio e magari è tornato maggiormente ad esserlo nell’estate 2020 ed è ragionevolmente certo che lo sarà anche nell’imminente estate 2021 allorquando, a causa della pandemia, c’è il ritorno alla “villeggiatura” ed alla fruizione della
seconda casa, la casa al mare.
Non essendo questo il momento di affrontare il tema del turismo balneare estivo, ma ci ripromettiamo di farlo a tempo breve, ci si limita qui a rivedere quei punti da uno a cinque che abbiamo prima annodato. Cinque punti di allocazione smart del
ristoratore che ha nel suo
offering proposte rese abilitate dal
mare.
- Uno: privilegiare la filiera corta, il T2F
- Due: ben correlato al precedente, privilegiare il pescato locale per quanto ciò possa comportare, in stretta conseguenza, anche il rispetto della stagionalità dei pesci, così garantendo il ripopolamento della fauna ittica e il “non depauperamento” dei nostri mari con alterazione dell’ecosistema marino.
- Tre: correlato ai due precedenti, incentivare, mediante individuazione e scelta del fornitore, coloro i quali per davvero fanno pesca sostenibile.
- Quattro: acquacoltura, né demonizzarla, né fruirne borderline, ovvero spacciando per pescato quanto invece è proveniente da allevamenti. Nell’ambito delle imprese di acquacoltura, privilegiare quelle che fanno acquacoltura sostenibile sia come benessere animale che come salvaguardia della salute dei consumatori.
- Cinque: irrinunciabile rispetto delle regole secondo la vision strategica dello sviluppo sostenibile, e bando perciò a forniture di dubbia provenienza.
L’Italia non può e non deve dimenticarsi del suo mareDue considerazioni finali frutto di attualità. Siamo il Paese che ha “scoperto” la Dieta Mediterranea di cui lo scorso anno è caduto il decennale del riconoscimento Unesco quale Patrimonio Culturale dell’Umanità. Come potremmo non coltivare e tenere ben desta la consapevolezza della preziosità della
risorsa “
mare”?
Da pochi giorni
Procida è stata proclamata
Capitale della Cultura per l’anno 2022. Procida, isola minore, quindi per definizione circondata dal mare, dove pesca e turismo armoniosamente convivono a beneficio dei residenti e dei temporary islanders.