I ristoratori non ci stanno e non accettano l’idea di dover restare chiusi mentre altre attività, tipo cinema e teatri, sanno già quando dovrebbero riaprire (il 27 marzo). E sale il livello di irritazione col ministro della Cultura, Dario Franceschini, che è passato in pochi giorni dall’essere fra i sostenitori delle chiusure ad oltranza all’essere un aperturista ma, guarda caso, solo per il settore degli spettacoli. Come dire: se ci si può sedere in una sala al chiuso per ore, dove sta la ratio perché nei ristoranti con adeguati separi e le stesse misure di sicurezza (anzi di più) non si potrebbe? E stavolta, a giudicare almeno dalle reazioni della più importante associazione del settore, Fipe-Confcommercio, non ci sarebbe più da aspettarsi certo comprensione o collaborazione. Anzi. Siamo ormai quasi al muro contro muro.
Sale l'irritazione per la bocciatura dell'apertura serale nelle zona gialleAl centro di un’irritazione che potrebbe diventare rabbia sociale e non essere controllabile c’è la scelta dell’ala oltranzista del Governo di bocciare la possibilità di aprire a cena almeno nelle zone gialle. Una possibilità che è stata già autorizzata di massima dal Cts (anche se Speranza ha finora secretato il verbale di quella riunione) ed è poi stata rilanciata come mediazione anche dalle Regioni che hanno proposto, invano, di lasciare ai gestori la possibilità di apire a cena o a pranzo. Anche perché non si capisce perché il virus dovrebbe colpire di sera ma al ristorante, ma non al cinema, nè a pranzo.Scordamaglia: Una discriminazione illogicaA opporsi nettamente all’orientamento di Franceschini e Speranza è Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, che commenta duramente le prime anticipazioni del nuovo DPCM che sembrano stabilire il perdurare dell’obbligo di chiusura a cena anche per i ristoranti in zona gialla. «Basta girarsi dall'altra parte - dice senza mezzi termini - mentre il settore della ristorazione continua ad annaspare. Siamo lieti che cinema e teatri tornino ad aprire le porte al pubblico, ma non possiamo non evidenziare la discriminazione illogica con un comparto, quello della ristorazione, che invece si lascia affondare e portare con sé anche l’agroalimentare».
Luigi Scordamaglia
Stoppani: Il settore condannato a morte
Una posizione più che chiara, che viene rafforzata da Lino Stoppani, presidente di Fipe, che pone di fatto al Governo di fronte alla scelta di condannare a morte l’intero comparto. «Sarebbe - dice - un provvedimento incoerente e punitivo verso la ristorazione che sta pagando un prezzo altissimo alla pandemia, con oltre 200 giorni fra chiusure e restrizioni, per non parlare di alcune categorie come il catering o l'intrattenimento chiusi di fatto da un anno. Senza lavoro si chiude, ma non per qualche settimana, si chiude per sempre».
Fra le righe traspare come detto un’irritazione profonda anche perché, giusto nei giorni scorsi il Governo, attraverso il ministro dello Sviluppo economia, Giancarlo Giorgetti che, come il suo predecessore Stefano Patuanelli, aveva abbozzato un primo parere favorevole anche perché le richieste di Fipe - come di consueto - sono state da tempo avvalorate e rafforzate dalle considerazioni espresse nei giorni scorsi dal Cts e dal fatto che nessuno studio scientifico ha mai dimostrato la pericolosità di bar e ristoranti ai fini di una maggiore diffusione del contagio.
La disponibilità a riaprire, ovviamente, sarebbe consentita solo nelle zone dove la situazione sanitaria rassicura e in quei locali che potranno garantire il necessario distanziamento. Ed è questo il punto, se si può nei cinema, secondo il Cts, perché nelle stesse condizioni non si può anche dei ristoranti come analogamente aveva autorizzato sempre lo stesso Cts?
Dove sono i Ristori 5?
Non dimentichiamo poi che il mondo dei pubblici esercizi attende ormai da troppo tempo di avere riconosciuta dignità ad ogni lavoratore, dipendente o autonomo, come ricorda Lino Stoppani. Ciò che infastidisce è che fra l’altro si parla di nuove restrizioni mentre da un lato non sono stati ancora varati i Ristori 5, né sono stati indicati i nuovi criteri per distribuire in modo selettivo e progressivo gli aiuti attraverso la nuova formula degli indennizzi. E come aveva ricordato Stoppani pochi giorni fa «si devono destinare risorse alle imprese davvero in difficoltà e in misura pari alle dimensioni del singolo bisogno perchè un conto è denunciare una perdita di fatturato del 20% e un altro è di denunciarne una dell'80%».
Lino Stoppani
Gli stessi errori del precedente Governo?
Che è poi il tema centrale su cui il Governo Draghi è atteso ad una prima scelta di svolta rispetto al recente passato fatto di approssimazione e assistenzialismo. Non dimentichiamo che le aperture non sono fini a se stesse, ma sono anche funzionali a ristabilire un’immagine di locali che una becera propaganda governativa mese dopo mese trasformato quasi nei luoghi del contagio. Ma qui non ci sono proprio untori, ma solo capri espiatori che Conte, Speranza e il resto di quel Governo avevano utilizzato per coprire le inadempienze sugli altri fronti, dai trasporti lasciati a sè stessi alla tardiva organizzazione della campagna vaccinale. Ora Mario Draghi non può ripetere lo stesso errore di Conte...
Perdite per oltre 40 miliardi di euro
Anche perché, da una stima Filiera Italia fra ristorazione e industria a rischio ci sono a oggi ormai 400mila posti di lavoro, mentre le perdite economiche hanno ormai superato i 40 miliardi di euro. «Ci auguriamo che quanto anticipato non si concretizzi e che sui ristoranti si cambi indirizzo – ha detto ancora Scordamaglia - l'auspicio è che la politica traduca in fatti le raccomandazioni del Cts che escludono che i ristoranti siano luogo di contagio (prendendone in considerazione la riapertura serale a differenza dei bar) e ne renda finalmente possibile l'apertura anche cena in zona gialla». Una misura che consentirebbe a quegli esercizi di recuperare fino all’80% del fatturato, tanto, infatti, incide la cena sul loro bilancio.
«Siamo convinti - concludono da Filiera Italia - che questa sia davvero l'ultima chance per consentire ai tanti imprenditori che hanno investito in misure di sicurezza di non abbassare definitivamente le saracinesche dando il via a un effetto domino che coinvolgerà, come già abbiamo sperimentato in questi mesi, anche il settore agroalimentare che sarebbe così privato di un canale di valorizzazione fondamentale per le sue eccellenze con danni inimmaginabili sia dal punto di vista del fatturato che dell’occupazione».