Le preoccupazioni legate al caro bollette e all'aumento esponenziale dei costi delle materie prime hanno momentaneamente raffreddato il dibattito intorno a uno dei temi centrali per il futuro dell'accoglienza e della ristorazione: la carenza di personale. La questione, più centrale che mai, è però destinata a riaccendersi con vigore, è solo questione di tempo. Nel frattempo, ancora si cercano soluzioni concrete.
Già nei mesi scorsi noi di Italia a Tavola avevamo realizzato un ampio reportage, dando voce a decine di professionisti del settore, nel tentativo di far emergere punti di vista e spunti per dare finalmente una svolta al mercato del lavoro nell'Horeca. Lo facciamo di nuovo oggi, dando spazio a qualcuno che nel mondo della ristorazione ha passato tutta la sua vita, convinti che il suo racconto possa essere una fotografia nitida di ciò che tanti vivono nella loro quotidianità professionale e che questo aiuti a capire perché sia così difficile trovare chi voglia lavorare nella ristorazione e nell'accoglienza.
Lo facciamo anche perché il racconto di M., di cui abbiamo scelto di tutelare l'anonimato, tocca temi delicati, come quelli contrattuali. Questioni delicate che purtroppo la politica, in questa campagna elettorale, sembra aver completamente dimenticato, nonostante l'importanza che il mondo del turismo e della ristorazione rivestono in Italia.
L'alberghiero e le prime esperienze
La storia di M., che oggi ha 40 anni, è quella di tanti lavoratori nel mondo della ristorazione. «Ho fatto l'alberghiero e poi sono partito per Londra, per fare un po' di esperienza - ci racconta - Ero giovane, carico di energia, e avevo voglia di imparare. Per farlo, per crearmi un bagaglio di esperienze importanti, non ho mai pensato troppo a orari e stipendi. Mi avevano insegnato l'umiltà e l'ho messa in pratica».
Dopo l'esperienza Oltremanica, arriva il ritorno in patria, a Milano. Nel capoluogo meneghino M. matura esperienze in contesti importanti, soprattutto alberghi, fino al primo contratto a tempo indeterminato, proprio nel ristorante di un importante hotel cittadino, dove lavora ancora oggi, più di dieci anni dopo.
«È la passione che mi tiene ancora qui, ma non mi sento minimamente ripagato per gli orari e l'impegno che ci metto», aggiunge.
Cosa intende?
Che continuo a svolgere il mio lavoro e lo faccio volentieri, ma con pensieri pesanti nella testa. Anche perché, in altri settori i sacrifici vengono ripagati, mentre nella ristorazione non è più così.
Ci faccia un esempio...
Potrei farne diversi, con tanti dei miei compagni di alberghiero sono ancora in contatto e la situazione è simile per tutti. Faccio però quello di mio fratello. Ha voluto anche lui seguire la strada della ristorazione. Dopo aver studiato e fatto esperienza si trova nella cucina di un ristorante stellato: impegno fisico, mentale e tecnico importante. Eppure il compenso economico non è minimamente adeguato, ancor di più considerando il costante aumento del costo della vita. E poi...
Continui...
Poi c'è un esempio che ho vissuto sulla mia pelle. Mi è stato negli ultimi anni negato più volte il mutuo, nonostante avessi un contratto a tempo indeterminato dal 2006. Con la pandemia la ristorazione è diventata un settore precario e io sono rimasto in balia di questa cosa per due anni...
E di chi è la colpa, se una colpa esiste?
La colpa è soprattutto di un contratto collettivo che dovrebbe essere stracciato e riscritto da capo, sentendo la voce di chi lavora nel settore e non soltanto degli imprenditori. Non c'è mai stato un adeguamento che tenesse conto del costo della vita e nemmeno del carico di lavoro con cui dobbiamo fare i conti. E poi l'ambiente della ristorazione ha una bassissima presenza sindacale che spesso porta come conseguenza una bassa tutela.
Lei che orari fa?
Da contratto sono 40 ore a settimana, ma non è mai così. Faccio ogni genere di turno. Posso fare dalle 7 alle 15, dalle 16.30 all'1, ma anche il doppio turno se serve. Ora il mio contratto prevede che io possa lavorare su sei giorni e quindi non mi fermo quasi mai: domeniche, festivi, notti. Questa è la mia realtà, ma è quella di tutti...
E che impatto ha sulla sua vita?
Questo è un tema di cui si parla troppo poco. Gli orari di chi lavora nella ristorazione hanno un effetto molto pesante sulla vita personale. Io conosco i miei turni la settimana prima. Sono sempre nel tunnel del lavoro. Non sono mai riuscito a pianificare con anticipo due settimane di ferie. Come si può pensare che qualcuno scelga di lavorare in questo modo? È normale che non si trovi gente... Riposiamo 54 giorni in un anno.
E i risultati della carenza di personale si notano?
Sì, sono già evidenti. La questione in questo caso è molto semplice: senza garantire condizioni migliori, i professionisti si perdono. Si cerca personale qualificato, ma non se ne trova, accade anche dove lavoro io. Il risultato? Si abbassa il livello.
Allora perché rimane?
Perché, come ho detto, sento ancora dentro la passione che avevo quando ho cominciato. Anche se così è davvero difficile andare avanti...