Il mondo dei ristoranti è in continua evoluzione, e lo è ancora di più oggi dopo il passaggio della "tempesta perfetta". Il Covid ha cambiato per sempre il modo di concepire la ristorazione, basti pensare anche solo al concetto degli spazi o all'uso sempre più diffuso del delivery. I locali per sopravvivere dovranno diventare sempre più delle vere e proprie aziende strutturate, con strategie mirate e organizzazioni impeccabili.
Per questo, sempre più persone desiderose di aprire un'attività si rivolgono ad agenzie di consulenza specializzate.
Lo sa bene Giacomo Pini, imprenditore e Ceo di Gpstudios, azienda di consulenza e formazione in ambito ristorazione e turismo. Nel suo studio fanno capolino un po' tutti, imprenditori, investitori, Vip, ma anche persone che hanno messo da parte un po' di soldi e vorrebbero incominciare una nuova vita lavorativa nel mondo della ristorazione.
Giacomo Pini, che è anche autore del libro "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale", ha deciso di raccontare come sta evolvendo un mondo che ha sempre esercitato un grande fascino per gli imprenditori, ma che è sempre ricco di insidie.
«La pandemia ha reso tutti gli investitori, dai superfamosi agli sconosciuti, molto più consapevoli - ha spiegato Pini - Hanno capito che il margine di manovra e di errore si è ristretto tantissimo. La competizione è diventata più aggressiva e il potere di acquisto è calato. Una volta si andava più facilmente a colpo sicuro; penso a zone come viale Ceccarini a Riccione dove c'erano i buttadentro, mentre adesso la situazione è cambiata. Oggi l'offerta è superiore alla domanda, bisogna quindi stare molto attenti prima di aprire un'attività nella ristorazione. Anche perché è cambiata la fiscalità, i costi sono aumentati in tutta la filiera e poi è diventato sempre più preponderante il settore della comunicazione. Oggi, grazie alle recensioni online, senza essere mai entrato in un locale posso sapere com'è la sua location, quale è il suo menu e come si mangia».
Giacomo Pini
I ristoranti del futuro nelle parole di Giacomo Pini
Che tipo di clientela viene nel tuo studio?
C'è l'imprenditore che di solito ha un'idea oppure la vorrebbe replicare e poi c'è l'investitore che ha ben presente che investire nel food si ha marginalità di guadagno e quindi è in cerca di un format vincente. Vengono da noi perché sanno che un'attività di successo non nasce per caso; dietro c'è un grande lavoro di conoscenze e di studio. Poi c'è chi vede che la sua attività non funziona perché è calato il numero di clienti o i costi sono saliti e vorrebbe migliorarla. Ognuno ha la sua storia e il suo percorso, c'è chi cerca un franchising da mettere in piedi in 18/24 mesi e chi invece ha un locale con cento anni di storia e vorrebbe ottimizzarlo. Tutti però di solito hanno in comune sempre la stessa cosa, ovvero non hanno in testa un preciso cronoprogramma, o meglio, una pianificazione di quello che dovrà succedere in un arco minimo di 18 mesi, ovvero nel momento in cui si andrà ad aprire la nuova attività. Non basta andare dalla banca, presentare il progetto e ottenere il finanziamento. Una cosa pensata a freddo non può funzionare; per questo è necessario immaginare il "film" di quello che potrà succedere. È un aspetto molto importante che fa la differenza tra successo e fallimento. E il nostro team di consulenti è qui per questo.
Qual è è il primo passaggio fondamentale della consulenza?
Una completa analisi di fattibilità dei costi. I numeri sono fondamentali e vanno contestualizzati; non basta avere i conti in regola e l'ok del commercialista, bisogna analizzare ogni voce in dettaglio. Capire, per esempio, che tipo di clientela abbiamo o vorremmo avere, quanto è disposta a spendere, a che ora viene a pranzo o a cena e ogni quanto vorrebbe tornare nel nostro locale. Bisogna anche capire se il format che abbiamo in mente può funzionare. Se vuoi fare la pasta in Emilia Romagna la gente si mette a ridere dove tutti in casa hanno qualcuno che lo sa fare, mentre lo puoi fare a Berlino o in Moldavia, dove con dei costi relativamente bassi puoi anche dare vita velocemente a un franchising di successo, anche volendo anche senza servizio al tavolo come succede a Starbucks.
E il secondo?
Si mette in atto un vero e proprio studio approfondito degli spazi del locale per capire se ci sono zone male o poco sfruttate. E poi, che lo si voglia o no, l'area di comfort zone dei clienti è inevitabilmente aumentata. Se un ristorante che prima faceva 100 coperti e adesso ne fa 70 bisogna capire se può recuperare il margine di guadagno perso facendo una maggior rotazione o aumentando i prezzi, oppure decidendo di perderlo scientemente. Ma oltre agli spazi interni è importante anche la posizione del locale nel contesto urbano per capire se ha delle potenzialità, come una terrazza sul mare, da sfruttare al meglio. Ripeto, l'analisi dei dettagli è fondamentale. Pensiamo per esempio ai Social; ormai non possiamo di certo ignorarli. Bisogna fare attenzione anche agli impiattamenti e alle tovaglie, perché è probabile che finiscano sui Instagram insieme al piatto che è stato fotografato.
Qual è il budget minimo per aprire un'attività?
Di solito con 50mila euro, i vecchi cento milioni, riesci a prendere in mano un franchising e a farlo funzionare. Invece, se si tratta di un ristorante è difficile ipotizzare una cifra. Ci sono tanti fattori che intervengono; basti pensare anche al costo al metro quadrato degli spazi.
Giacomo Pini con il maestro Iginio Massari
Dove consiglieresti di aprire una nuova attività?
Tenderei inizialmente a escludere le grandi città come Milano, Venezia e Roma perché lì si gioca un altro Campionato. Punterei piuttosto sulla Provincia, città come Siena, Faenza, Treviso e Forlì, dove ci sono centri storici attivi. Ho visto nascere locali in luoghi impossibili che poi hanno ben funzionato. Dopodiché, una volta che è andato a regime, puoi anche fare il grande salto e andare in una grande città. Perché se un format funziona in provincia allora funziona dappertutto.
Anche le storiche trattorie possono avere bisogno di consulenze?
Ovviamente; tanti ristoratori sono venuti nel nostro studio per chiedere una mano e la risposta che diamo loro è molto semplice. Bisogna mantenere un front office artigianale e dare vita a un back office industriale. Ovvero tutto quello che succede in cucina e nella preparazione degli ordini deve essere ottimizzato al meglio. Il front office ti offre un'esperienza vera, di cucina autentica, ma dall'altra parte, nel back office, devo avere tutto sotto controllo, in maniera scientifica. Va infatti ottimizzato tutto, dal processo di gestione delle materie prime, dal carico e dallo scarico delle merci. Posso per esempio pesare i ravioli prima di metterli nel piatto, standardizzare le ricette. Una volta si diceva che un bravo cuoco non butta via niente. Adesso dico che non deve trovare più niente nel frigo, perchè sa già che cosa vuole il cliente e ottimizza le sue preparazioni affinché non si sprechi nemmeno un grammo di cibo.
Quali sono invece le nuove tendenze di locali?
In questo momento stanno andando molto le pokerie. Sono molto appetibili perché le materie prime costano relativamente poco e non richiedono preparazioni complesse. Per aprire una pokeria basta avere un budget limitato. Poi ci sono le bakery, ovvero, non un semplice forno dove fare il pane, ma un locale "ibridato" che offre anche la possibilità alla clientela di prendersi un caffè o di bersi un aperitivo. E poi ci sono le pizzerie, che sono tornate nuovamente di moda, perché con dei costi relativamente bassi e senza necessariamente avere un maestro pizzaiolo, si può avere un prodotto di qualità medio alta usando materie prime e attrezzature di qualità. Infine, sta andando bene anche il sushi gourmet, mentre l'all you can eat ormai è in caduta libera, ha fatto il suo tempo.
Quali sono invece le tendenze in voga all'estero?
Va molto il finger food, il cibo di strada. Lì si è abituati a mangiare a qualsiasi ora del giorno, mentre in Italia siamo ancora "incastrati" dalle normative a tenere la cucina aperta soltanto in certi orari prestabiliti, chiudendo sistematicamente alle 14.30. Ma è ovvio che per mettere in atto questo cambiamento bisognerebbe rivedere anche il meccanismo di tassazione del personale. Ci vorrebbe quindi un cambiamento radicale su più fronti.
E cosa all'estero vorrebbero copiare all'Italia?
Il modo in cui facciamo stare bene le persone quando entrano nei locale. Di norma noi siamo nati prestando attenzione al cliente e poi abbiamo costruito intorno il resto, all’estero stanno crescendo tanto, ma sul servizio si ispirano molto a noi.