Fra
maltempo e polemiche tra i politici, la riapertura di bar e ristoranti non avviene nel migliore dei modi. È vero che si potrebbe traslare il detto “
sposa bagnata, sposa fortunata…”, ma in questo momento terribile, con molte imprese ormai in ginocchio, e tante che hanno gettato la spugna, ci saremmo aspettati un clima ben più sereno e all’insegna di certezze. E invece, anche stavolta,
la politica ci sa dare solo il peggio di se stessa, incapace di prendere decisioni chiare e tirata per la giacca dalla burocrazia, dai tecnici o dalla demagogia.
Dalla gestione del
coprifuoco ai consumi vietati al bancone, è purtroppo tutto un rincorrersi di polemiche, smentite e prese di posizione che lasciano stupiti. Sembrano discorsi fra marziani, oppure litigi fra giocatori di Risiko che considerano i pubblici esercizi come pedine o territori da conquistare a Risiko.
I politici fra demagogia e mancanza di idee per il mondo dell'accoglienza
Perché distruggere la poca speranza che si sta ritrovando?
È ben vero che la situazione è ancora più che complicata e qualunque cosa si decida si rischia di sbagliare, ma un po’ di chiarezza e unità d’intenti non guasterebbe. Certo serve prudenza perché fra morti, contagi e ricoveri in ospedale siamo ai livelli di novembre (quando si decise di chiudere, non certo di allentare i vincoli...). Ma è anche vero che andiamo verso la bella stagione e giorno dopo giorno cresce il numero dei vaccinati. Insomma, se si comincia a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel,
perché rovinarci anche quel minimo di speranza che possiamo ritrovare?
Ci sono in gioco il nostro stile di vita e il futuro di centinaia di migliaia di famiglie
In gioco non c’è solo il futuro di decine di migliaia di aziende e di centinaia di migliaia di famiglie che in molti casi sono alla disperazione. C’è in ballo un mondo di attività e professionalità che rappresenta, più di ogni altra realtà, lo spirito dello
stile di vita italiano. I nostri bar, i ristoranti, le pizzerie o le pasticcerie non sono solo “locali”, sono il simbolo di una nostra cultura antica dell’accoglienza e del vivere “bene”. Sono i terminali della filiera agroalimentare di qualità, i custodi delle nostre tradizioni famigliari o di comunità, i simboli di territori, arte e paesaggio. E insieme agli hotel sono l’esercito di quel turismo che da solo è la più importante “industria” del nostro Paese.
Un mondo senza referenti istituzionali
Questo mondo però, come andiamo denunciando da anni, non ha un referente istituzionale. Le sue competenze sono frazionate fra troppi ministeri e amministrazioni regionali, ognuno dei quali pensa più ai divieti o alle sanzioni che non a fare funzionare meglio il comparto. Ne abbiamo avuta la dimostrazione esplicita in questi giorni: oltre ad uno scontro politico fra destra e sinistra su come e quando allentare i vincoli, abbiamo assistito all’
esplosione del caos più totale, senza che ci fosse una sola sede in cui definire regole e protocolli. Nessuno si è preso questa responsabilità, nemmeno il ministro del Turismo, la cui nomina aveva acceso tante speranze. Ed ecco che i partiti sguazzano in questa palude, in questa terra di nessuno...
Tutto parte dalla
scelta, scellerata, di permettere di riaprire in zona gialla “solo” ai locali con spazio all’aperto. Possibile che nessun Ministro si sia posto ad esempio il problema di
cosa fare in caso di maltempo? Silenzio di tomba. Eppure molti gestori hanno deciso di non aprire perché non vogliono rischiare multe se i clienti, in caso di temporale, chiedono di ripararsi all’interno del locale... E lasciamo perdere la questione dell’uso dei servizi igienici (che sono ovviamente all’interno...).
All'interno non si può lavorare fino all'1 giugno
E comunque all’interno i clienti non dovrebbero proprio poter entrare fino al 1° giugno. Che senso avrebbe altrimenti la
circolare del ministero degli Interni che vieta ai bar che non hanno dehors di servire al bancone, anche se pochi clienti, distanziati, per evitare che si ammassino sul marciapiede? E ciò ovviamente vale anche per chi ha lo spazio aperto, ma magari piove. E ancora più sconcertante è che non si può servire al bancone nemmeno all’aperto. Sarà curioso capire come potranno lavorare adesso i bar di piscine o stabilimenti balneari... E soprattutto, chi controllerà se lì si rispetta la circolare del Viminale?
Ma nonostante queste aberrazioni
ai politici piace litigare sul coprifuoco (in vigore tuttora anche a Londra...). E qui la politica sembra dare il peggio di sé.
Salvini e Letta si invitano reciprocamente ad uscire dal governo (quasi che “riaprire” sia obiettivo di destra o di sinistra, assurdo!). La ministra Gelmini dice che per il Governo le 22 sarebbero da intendersi come l’ora limite in cui lasciare un locale con la ricevuta che lo comprova, e poi da lì andare a casa. Il Comune di Roma per parte sua fissa in 15 minuti la tolleranza dopo le 22 per farsi trovare in strada. Come dire, armatevi di Google Maps e programmate quando lasciare la forchetta per correre a casa... Tentativi all’italiana subito stroncarti però dal solito ministero degli Interni (che non ha personale, né vuole rogne con i cittadini da controllare) che fissa
irrevocabilmente l’inizio del coprifuoco alle 22, salvo che per i lavoratori di bar e ristoranti che devono avere il tempo di finire di sistemare il locale. E chissà che non nascano ora autocertificazioni farlocche per attestare che un giovane avvocato, che magari si era fatto per primo il vaccino, dichiari di essere un lavapiatti...
Enrico Letta e Matteo Salvini
Così non si crea un clima favorevole per far tornare la gente nei locali
E siamo solo agli inizi... Rispetto zero per chi lavora in questo comparto e nessuna attenzione a creare un clima favorevole
perché la gente torni serenamente nei locali e programmi anche le prossime ferie. Speranza apre teatri e cinema, ma sparge olio sulla strada per i ristoranti. E intanto
ci sono i gestori che, esasperati, aprono nonostante i divieti o tollerano clienti ammassati senza mascherina, alla faccia dei distanziamenti e dei divieti di assembramento.
Eppure, sarebbe bastato, come detto, affidare ad un unico Ministro la gestione di questa “riapertura”. Le diverse associazioni hanno fatto inutilmente il giro delle sette chiese fra i vari palazzi del Governo per presentare proposte e trovare soluzioni concordate. Alla fine nessuno se ne è fatto carico e il risultato è stato un decreto contestato da tutti e che rischia di affossare il nostro turismo. Ora, purtroppo,
non ci resta che aspettare il “tagliando” fra 2-3 settimane. Nel frattempo Draghi, licenziato il Recovery Plan, potrebbe porre mano a questa
questione urgente delle competenze e delle responsabilità unificandole in un’unica figura istituzionale che si occupi di questo comparto, dalle autorizzazioni ai controlli.