È praticamente più di un anno, tutto cominciò a marzo 2020, che il potere esecutivo mediante abusato ricorso ai Dpcm ha emarginato il potere legislativo, dando effetto di legge a norme emanate dalla Presidenza del Consiglio: il concitato imperio. E il celere ubbidir? Vanificato da una circostanza che per gli effetti che procura è nociva per le generazioni giovani soprattutto: non si ubbidisce.
Feste private alla faccia del Covid
Politica autoritaria, non autorevole
E così, ahinoi, assistiamo, ed avremo a
dolercene come Paese,
all’autorità che diviene autoritaria lambendo i limiti costituzionali ed al contempo smarrendo la necessaria autorevolezza. Da qui, appunto, un concitato imperio (Dpcm) a cui non fa seguito il celere ubbidire. L’autorità della decretazione (hard skill) è
arma spuntata quando ad essa non si accompagna l’autorevolezza (soft skill).
L’autorevolezza langue,
sbiadisce e poi scompare del tutto quando “il popolo”, quello dell’articolo 1 della Costituzione (
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione) intuisce e poi capisce, a fronte di inconfutabili dati di fatto, che le idee di quanti governano sono poche e... ben confuse. Come altrimenti spiegare, se non con la
pochezza e la confusione, lo scenario che va prefigurandosi a partire dalla prossima settimana nell’ambito della
ristorazione?
Ristoranti presi di mira, gente stanca
Il settore è stato preso di mira all’inizio del lockdown (tredici mesi fa) quando, al cospetto di una situazione di emergenza cagionata anche dall’oggettiva “ignoranza” del nuovo virus, si ragionò in termini di “meglio eccedere in prudenza che non”. Tutto sommato, a fronte di queste impreviste condizioni emergenziali,
fu decisione ragionevole. Ma poi, dovrebbe essere corredo prezioso di quanti governano, ci sono le osservazioni degli andamenti, ci sono dati ed informazioni che supportano le decisioni successive. Ne sortirono
provvedimenti volti ad adeguare igiene, a garantire, insomma, una tranquilla fruizione dei locali che avessero attuato il “celere ubbidir”, ovvero si fossero adeguati alle norme. Di tutte, facciamo caso alla norma che stabilisce la distanza minima di un metro tra un tavolo e l’altro.
Nel mentre si sviluppa fenomeno sottaciuto. E qui, non andiamo indietro di due secoli esatti, bensì
“solo” di un secolo. Terzo decennio dello scorso secolo, il
proibizionismo negli Stati Uniti. Per un decennio circa fu vigente il divieto costituzionale, sulla produzione, importazione, trasporto e vendita di bevande alcoliche. Ovviamente qui non si entra nel merito del divieto, sarebbe trattazione a sé e ce ne guardiamo bene dall’affrontarla in questo frangente.
Vogliamo solo cogliere l’
effetto collaterale di tale proibizione: il fiorire del contrabbando, le riunioni allegre e rumorose nelle case private per bere alcolici. Analogia per fortuna non precisamente calzante ma comunque funzionale a sufficienza per descrivere
quanto sta accadendo nelle nostre case. Suvvia, non ci si
riunisce tra amici e parenti? Non si fa la cenetta disinvoltamente fruendo della (benvenuta) delivery? E in quanti siamo?
Manteniamo il metro di distanza e ci accomodiamo, poniamo di essere una dozzina, in tre tavoli da quattro? E nel portare i piatti a tavola, abbiamo la mascherina?
Aprire i ristoranti per avere più controllo della situazione
Plutarco diceva che ci si siede a tavola, non per mangiare ma
per mangiare in compagnia. Questo diritto ci appartiene da sempre. L’emergenza può, si arriva a dire “deve”, straordinariamente impedircelo mediante mirata decretazione d’urgenza (il concitato imperio) ma non può commutarsi in comportamento aduso: sarebbe delittuoso. E allora, ha senso, semina autorevolezza, impedire la
riapertura delle sale interne dei ristoranti, con tavoli da quattro commensali, distanti due metri l’uno dall’altro (prima era un metro ma... melius abundare) e poi non potere (ma anche non dovere e non volere) impedire le riunioni domestiche con una dozzina di
amici intorno al tavolo?
Nasconde cosa, l’inazione ad una
comunicazione chiara circa la ragionevole sicurezza nell’andare in un ristorante che si sia adeguato allo scenario pandemico, come da norme emanate? Nasconde cosa, non dire che è più sicuro ai fini della propagazione del contagio, pranzare e cenare in un
ristorante, all’aperto o al chiuso che sia, laddove i tavoli siano da 4 commensali e la distanza tra essi sia di due metri? Non nasconde nulla, ma proprio nulla?
E allora il non dirlo fa perdere autorevolezza.
E ciò mette a repentaglio le regole stesse del convivere civile, si rischia la desuetudine al “celere ubbidir”. Nasconde qualcosa? Ma non si era detto (art. 1) che il popolo è sovrano e quindi, almeno ha diritto di sapere? Il nascondere fa perdere autorevolezza, con quanto ne consegue. Come procede il piano vaccinale? Come procedono i controlli negli esercizi, sapendo (e ciò va responsabilmente detto) che alcuni tra essi latitano sull’osservanza delle norme?
Per timore di movida che di per sé, indipendentemente dalla pandemia, non è fenomeno commendevole, vorremo mica penalizzare ristoratori seri e diligenti e, con costoro, decine di milioni di clienti per i quali andare al ristorante è vivere sana esperienza conviviale? Vorremo mica disattendere l’
impegno a salvaguardare la salute di noi tutti ed al contempo far ripartire l’economia sulle basi nuove che il Pnrr sta tratteggiando? Dopotutto, altro non si chiede se non diligenza e coerenza.
Altrimenti, e saremo tutti a patirne le conseguenze, la
forbice tra autorità ed autorevolezza si divarica ulteriormente. Ciò è da scongiurare perché è più sicuro stare in un ristorante, tavoli da
4 e distanti magari 2 metri, che non in casa in 12 a un tavolo... si è più sicuri in un locale… vanno riaperti anche all’interno… anche perché fino a un mese fa erano praticabili all’interno a pranzo con
1 metro di distanza.