E che damnatio memoriae sia per un ministro della Repubblica che nell’anno 2010 ebbe sfrontatamente a dire che «con la cultura non si mangia». Affermazione palesemente falsa e, difatti, fu autorevolmente argomentato, ne sortirono anche pubblicazioni in merito, che è proprio l’esatto contrario. È senza cultura che non si mangia nel senso che né vi è la crescita della società civile, e l’assenza di crescita è già di per sé una mesta, insidiosa e dolorosa decrescita, né si innesca quel volano socioeconomico tale che, redde rationem, un euro investito in cultura ne porta quasi due negli altri settori satelliti.
I ristoranti sono da includere nel settore culturale e creativo?
Il legame inscindibile dell’Italia (e degli italiani) con la culturaE che con la cultura noi
italiani si sia in confidenza, lo dimostrano alcuni dati del post lockdown estivo e qui ne citiamo solo due: tutto esaurito alla mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale, tutto esaurito alle visite notturne dei mosaici a Ravenna.
Siamo pur sempre, insieme con la Cina, che però è appena appena più vasta e più popolosa dell’Italia (!) il Paese con il maggior numero di
siti Unesco: 55.
La cultura parte integrante dell’economia italianaL’Italia, lo sappiamo bene e dovremmo perciò detenere quel pride country che sovente smarriamo, è tra i primi Paesi al mondo per influenza culturale grazie anche al nostro straordinario
patrimonio storico e
artistico. Le imprese del settore culturale e creativo sono componenti importanti della nostra economia, incrementano il valore economico e sociale del Paese e incrementano l’immagine di qualità che l’Italia ha nel mondo, quindi anche il
Made in
Italy.
Ristoranti come scrigni di culturaLa domanda diviene: sono i
ristoranti da includere nel
settore culturale e
creativo? È domanda, giusto per stare in tema con la stressante attualità di questi giorni, a cui non dare risposta (ci stiamo capendo, vero?) con codici
Ateco alla mano, qui non si tratta di concedere
ristori! È domanda la cui risposta è suggerita dai comportamenti susseguenti alla proclamazione di
Procida capitale della Cultura nell’anno 2022.
In gradita evidenza, la componente di
cultura materiale costituita dallo scrigno delle
produzioni agroalimentari dell’isola e della sua propaggine in terraferma (i Campi Flegrei, di cui Procida è parte) e, ancor di più, il suo pescato secondo stagionalità e sostenibilità delle tecniche di pesca.
Da qui l’omaggio alla cucina procidana/flegrea fatto sia dal cuoco procidano
Gabriele Muro, chef del ristorante
Adelaide annesso all’hotel Vilòn in Roma, sia dalla brigata di cucina del ristorante-pizzeria “
Ieri, Oggi, Domani” di
Napoli (Procida ricade nella Città Metropolitana di Napoli). In alcuni ristoranti si celebra e si festeggia Procida, la Capitale della Cultura Anno 2022. Bene!
Da Procida a Parma dove il cibo è culturaE cosa sta accadendo alla Capitale della Cultura Anno 2021? Innanzitutto, sappiamo di quale città trattasi? È una città che proprio in questi giorni ha avuto il coraggio di comunicare le date di
Cibus 2021 (da martedì 31 agosto a venerdì 3 settembre). Sì, la Capitale della Cultura Anno 2021 è
Parma.
E anche Parma, ne siamo ragionevolmente certi, inserita in quella che è denominata la
Food Valley, ha eccellenze gastronomiche tali da consentire molto agevolmente e ghiottamente celebrazioni e festeggiamenti negli ambiti della
ristorazione. È accaduto, sta per accadere e di certo con apice a settembre in concomitanza con il Cibus, accadrà.
Fondamentale creare occasioni di scambioMa saremmo portati a dire, tra l’incredulità e la delusione: “è tutto qui?” Ma come, neanche ti sta bene, sembra di ascoltare le dissonanti voci critiche (sempre benvenute) che due capitali italiane della cultura si trovino adeguatamente e creativamente celebrate in quei templi della
cultura materiale che sono i
ristoranti?
Nì, a voler dire sì e no. Mi sta benino, ma non mi sta bene! Mi starebbe bene se
pandemia non ci fosse stata, se punto di flesso non stesse permeando il nostro vivere quotidiano e non ci stesse, di conseguenza, inducendo a produzioni di
pensiero nuovo e a riflessioni su come si esce da questa fase dura e tenebrosa. Si esce consapevoli che la rinnovata qualità della vita passa anche attraverso un modo ampio ed elevato di intendere la comunità. Il
salto digitale cagionato dalla pandemia, di cui il Paese aveva bisogno, abilita nuove
conoscenze, nuove
comunità, fertilizza
saperi e
culture.
Entriamo nel merito: trionfo della
cucina di mare (e di piccoli orti) quella procidana; trionfo della
cucina terragna, con il circolo virtuoso di
vacche e
maiale (e tanto ancora, paste fresche incluse) quella parmigiana. La piacevolezza di incontro, di conoscenza reciproca, di contaminazioni virtuose.
Vorranno i
cuochi procidani ed i cuochi parmigiani, dalle loro strutture ristorative supportati ed assistiti, pensare e realizzare insieme ghiotti
incontri a tavola affinché le due culture vivano comuni e gioiosi momenti di scambio?!
Ecco, ci siamo. È mondo nuovo. Mondo che ci sollecita nuove
visioni, nuovi
traguardi e coerentemente a ciò, un nuovo agire anche nel quotidiano, laddove l’imprinting è quella parola “insieme”, non metabolizzando la quale saremo solo mesti nostalgici di un passato che non torna.
E stiamo tacendo delle due città (eccezionalmente due e non una) designate Capitali della Cultura Anno 2023. Sono le due città lombarde maggiormente colpite dalla pandemia:
Bergamo e
Brescia. Ci ricordiamo vero di
Matera che fu nel recente Anno 2019 Capitale Europea della Cultura (chiedetelo ai materani, a proposito, se con la cultura si mangia oppure no!)? Ecco, nel non lontano 2025, questo onore toccherà nuovamente ad una città italiana. Italiana di confine; al confine con la Slovenia:
Gorizia.
Il dopo pandemia passa anche dalla tavolaFacciamo reset perché è troppa roba. È troppa roba adesso, figuriamoci se solo facessi cenno al fatto che questo anno corrente è
Anno Dantesco (700 anni dalla morte del Grande Fiorentino) ed è anche l’anno in cui ricorre il 160° anniversario
dell’Unità d’Italia.
Torniamo, in medias res a Parma e Procida. Saprà quel nobile fattore collante che è la tavola, e dietro di essa la cucina, e dietro alla
cucina tutto
l’agroalimentare, attuare quella visione d’insieme che tanto ci farà stare bene e ci farà serenamente affrontare il “nuovo” del
dopo pandemia?
Con la cultura si mangia è affermazione veritiera quale che sia l’angolo di interpretazione. Sta agli attori della cultura materiale, ben consapevoli di quale clientela sarebbe da ciò gioiosamente attratta, diligentemente e creativamente interpretare il nuovo ruolo nello scenario venturo.