La notizia è fresca, l'abbiamo raccontata ieri: la start up israeliana Remilk, fondata nel 2019, ha annunciato di aver raccolto 120 milioni di dollari che le serviranno per aprire un'enorme fabbrica a Kalundborg, in Danimarca, dove verrà prodotto in larga scala latte sintetico. Non una bevanda vegetale alternativa al latte vaccino, ma un vero latte di vacca, realizzato però interamente in laboratorio.
Non una novità assoluta, spiegavamo, ma un ulteriore passo nella direzione di una tendenza che ormai da anni sta sempre di più crescendo, pur non trovando sempre grande appoggio, anzi...
Tra i più strenui oppositori della carne e, ora, del latte sintetici c'è senza dubbio la Coldiretti. Ne abbiamo parlato con il presidente Ettore Prandini.
Coldiretti contro il latte sintetico
Ettore Prandini
Presidente, qual è la vostra posizione riguardo al latte sintetico?
Non solo siamo ovviamente contrari, ma siamo pronti a dare battaglia sul latte prodotto in laboratorio che con la carne finta, a nostro avviso, fa parte di una strategia delle multinazionali che puntano con operazioni di marketing a distruggere la sana alimentazione fondata su prodotti di qualità e frutto della tradizione di generazioni di agricoltori.
Non è la prima volta che trattate il tema...
Abbiamo diffuso qualche mese fa un dettagliato dossier per smontare le fake sugli alimenti realizzati in laboratorio. Abbiamo dimostrato che non salva gli animali perché viene fabbricata sfruttando i feti delle vacche, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare, non è accessibile a tutti poiché per farla serve un bioreattore e non è neppure carne ma un prodotto sintetico e ingegnerizzato.
Che impatto potrebbe avere il latte sintetico sulla filiera del latte?
Sicuramente metterebbe in discussione il futuro del settore che già è in grave difficoltà per l’impennata dei costi, dall’energia ai mangimi. Oggi è a rischio un allevamento su dieci. Dobbiamo aumentare la produzione, tenuto conto che dipendiamo dalle importazioni per il 16%, non ridurla per dare spazio a prodotti finti. In gioco c’è il destino di 26mila stalle da latte che producono 12 milioni di tonnellate di latte per un valore della filiera lattiero-casearia di oltre 16 miliardi e il coinvolgimento di 100mila addetti.
C'è poi il made in Italy con le sue eccellenze...
Dobbiamo tener ben presente che quando una stalla chiude si perde un sistema complesso costituito da animali, prati per il foraggio, formaggi tipici. L’Italia patria delle eccellenze alimentare e della Dieta Mediterranea non può accettare l’imposizione di una dieta universale omologata. Noi continueremo a sostenere in tutte le sedi, così come stiamo facendo, la tutela dei sapori e dei territori che il made in Italy incarna. Con fatti concreti.
Se non attraverso i prodotti sintetici, quali sono le alternative per far fronte per far fronte a una sempre maggiore sensibilità da parte dei consumatori sul tema dello sfruttamento animale e dell’impatto ambientale?
Vorrei subito chiarire che chi tutela davvero gli animali sono gli allevatori. Anche nella annosa vicenda dei cinghiali, per esempio, abbiamo dimostrato con chiarezza che gli unici ambientalisti sono coloro che sulla terra e nelle stalle ci vivono. E che devono assistere ai raid di cinghiali, ma non solo, che danneggiano le coltivazioni e uccidono gli animali. Il vero ambientalismo non si declina distruggendo l’agricoltura e chiudendo le stalle, ma preservando i territori con la presenza degli uomini e degli animali. Solo così si contrasta lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in aree svantaggiate che portano poi anche per effetto dei fenomeni estremi prodotti dai cambiamenti climatici a disastri ambientali.
La zootecnia italiana è quindi già sostenibile?
Siamo in prima linea nel rispetto della sostenibilità, abbiamo ridotto più di altri partner Ue l’uso di fitofarmaci e teniamo al benessere dei nostri capi. La zootecnia italiana è sempre più sostenibile, grazie all’impegno dell’Associazione italiana Allevatori (AIA) con il Progetto LEO, acronimo di ‘Livestock Environment Opendata’, ad esempio si stanno valorizzando ben 58 razze bovine per un totale di oltre 3 milioni e 130 mila animali, 46 ovine (oltre 52 mila e 800 animali) e 38 caprine (121 mila animali). Purtroppo per troppi anni sono state raccontate bugie ai cittadini creando così un atteggiamento sfavorevole nei confronti degli agricoltori e degli allevatori in particolare.