La start up israeliana Remilk, fondata nel 2019, ha annunciato di aver raccolto 120 milioni di dollari che le serviranno per aprire un'enorme fabbrica a Kalundborg, in Danimarca, dove verrà prodotto in larga scala latte sintetico. Badate bene, non una bevanda vegetale alternativa al latte vaccino, ma un vero latte di vacca, realizzato però interamente in laboratorio.
Non si tratta di una novità assoluta, visto che da anni si parla di carne, pesce e uova sintetici, ma di un ulteriore passo verso una nuova idea di cibo. Emblematiche in questo senso le parole di Aviv Wolff, amministratore delegato e fondatore di Remilk, che non si limiterà a produrre latte, ma anche una serie di prodotti a esso collegati: «Intendiamo aumentare enormemente le nostre capacità di produzione per produrre latticini nutrienti, deliziosi e convenienti che manderanno le vacche in prepensionamento».
Latte sintetico: a chi piace?
L'episodio ha puntualmente acceso il dibattito. Il tema è sicuramente tra quelli sentiti, soprattutto in un Paese con un'importante componente agricola e con una tradizione casearia unica, come l'Italia. E chiaramente non tutti vedono nella produzione sintetica di carne e latte il futuro dell'alimentazione.
Le criticità evidenziate per il latte in queste ore sono simili a quelle che puntualmente vengono a galla anche quando si parla di carne. Interrogativi importanti e spesso ancora senza risposta. C'è chi chiede, per esempio, quale sia l'effettivo impatto sulla salute umana di questi alimenti. Impossibile saperlo, senza la possibilità di analizzarli nel lungo periodo. C'è poi chi si chiede se l'impatto ambientale del cibo sintetico sia davvero così positivo. Se è chiaro ed evidente che si ridurrebbero in maniera notevole consumo di suolo, allevamenti intensivi e macellazioni, con il risultato di un minor spreco di acqua e minori emissioni, è altrettanto importante valutare che impatto avrebbero sui terreni, nel caso di una produzione su larga scala, ormoni e sostanze chimiche utilizzati.
L'aspetto culturale
Dicevamo dell'Italia e della sua tradizione agroalimentare. Una tradizione che mal sembra sposarsi con l'avvento di carni e latte sintetici. Un tema che ha evidenziato Luigi Scordamaglia di Filiera Italia, realtà associativa che riunisce il mondo agricolo e la filiera agroalimentare italiana con l'obiettivo di difenderla e valorizzarla. «Il nuovo impianto rappresenta, dopo quello altrettanto grave della carne in provetta, un pericolosissimo ulteriore step in avanti da parte di chi vuole distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola, con i diversi territori, cancellando ogni distinzione culturale spesso millenaria nell’alimentazione umana e proponendo un unica dieta omologata e mondial - ha detto a GreenMe - Senza parlare delle ricadute sociali sui piccoli agricoltori che di allevamento vivono».
Qualcosa bisogna fare
Insomma, i dubbi di chi si oppone al "sintetico" sembrano poggiare su basi solide. Allo stesso tempo, è pur vero, che soprattutto in un ambito delicato come l'alimentazione è normale che una novità di così grossa portata implichi dibattito e non trovi, almeno inizialmente, grande entusiasmo.
Una cosa però va detta: novità come la carne e il latte sintetici non sono calate dal cielo, ma sono anzi la risposta a una sempre maggiore attenzione da parte del consumatore all'impatto della produzione di cibo sull'ambiente e al tema dello sfruttamento animale. La tendenza è ormai evidente da anni e non si può fare finta di niente. Serve rispondere a questa pulsione e trovare una soluzione, se possibile, che riesca a conciliare due anime apparentemente distanti.
Una che deve fare i conti con il Pianeta e guardare al futuro, l'altra che è ancorata al passato, nell'accezione positiva, che significa tradizione e territorio. «Ai cibi sintetici e a chi propone l'arrivo sulle nostre tavole della carne artificiale mi piace rispondere: mangiamo meno carne, di miglior qualità, difendiamo la biodiversità, l'origine ed il territorio, salvaguardiamo la tradizione e la tipicità, rispettiamo il benessere degli animali, sosteniamo l'allevamento sostenibile e promuoviamo il consumo responsabile», diceva il professore di Medicina veterinaria e produzioni animali dell'Università Federico II di Napoli, Vincenzo Peretti. Sicuramente un ottimo punto di partenza per cercare una soluzione.
La strada da seguire
Una linea, quella del professor Peretti, condivisa anche da Matteo Scibilia, cuoco e consulente scientifico di Italia a Tavola. «Qui non si parla soltanto del latte, ma di cibo in generale - ha spiegato - Basta guardarsi in giro, nelle città, per vedere ovunque pubblicità che raccontano cibo alternativo a quello tradizionale. Questo va bene: è giusto che la scienza elabori prodotti nuovi e infatti le alternative ci sono. Arrivare al prodotto sintetico mi sembra a livello etico e morale un'esagerazione».
E qui si torna ai quesiti senza risposta. «Si tratta di soluzioni che hanno sicuramente molta forza dal punto di vista del marketing - ha aggiunto Scibilia - Promettono di salvare il Pianeta. Ma chi ci garantisce che il prodotto sia davvero migliore, per noi e per l'ambiente? Ancora non possiamo saperlo. Allora io dico, non sarebbe meglio prestare maggiore attenzione a ciò che si compra? Scegliere la qualità, avere un occhio critico sulla materia prima, educare la gente a fare la spesa. Spendere di più, se serve. Mangiare meno carne o formaggio, se necessario. Ma mangiarne di qualità migliore».