Airbnb esce sconfitta dal Tar del Lazio che ha respinto le richieste della società di affitti brevi, la quale si rifiutava di applicare la legge di settore, in particolare quella sulla cedolare secca. La sentenza dice che Airbnb deve riscuoterla e comunicare i nomi degli host e i dati dei contratti.
Il tutto interfacciandosi con l’Agenzia delle Entrate, che deve avere sempre chiara la situazione degli incassi. «Non ci sono più alibi per chi,
da quasi due anni, si prende gioco delle istituzioni - spiegano da Federalberghi - Airbnb deve riscuotere la cedolare secca sulle locazioni brevi e comunicare all’Agenzia delle Entrate i nomi dei locatari e i relativi redditi. D’altro canto, non si vede quali motivi impediscano la riscossione, considerato che il portale già svolge, sia in Italia (per conto di alcuni comuni) sia all’estero, attività simili a quelle che vengono contestate, e che addirittura informa pubblicamente gli host italiani del fatto che potrebbe essere chiamata a riscuotere imposte e raccogliere dati».
Secondo quanto dichiarato in giudizio dallo stesso Airbnb, le somme da versare annualmente in Italia, rapportate ai ricavi del 2016, sarebbero state pari a circa 130 milioni di euro. Considerando che nel frattempo il numero di annunci pubblicato sul portale è cresciuto a dismisura (222.787 ad agosto 2016, 397.314 ad agosto 2018), si può stimare che nei primi diciotto mesi di (mancata) applicazione dell’imposta Airbnb abbia omesso il versamento di più di 250 milioni di euro.
Il Tar, nel dichiarare infondate le doglianze di Airbnb, ha rammentato che gli intermediari sono «sanzionabili per le omesse o incomplete ritenute da effettuare a partire dal 12 settembre 2017 e da versare entro il 16 ottobre 2017».
«Ci auguriamo - conclude Federalberghi - che la decisione del Tar faccia riflettere le amministrazioni locali che troppo spesso si genuflettono dinanzi ad evasori conclamati e stringono con loro accordi privi di trasparenza, che consentono agli abusivi di continuare a prosperare sotto lo scudo dell’anonimato. L’opera di bonifica del mercato è appena agli inizi e confidiamo che il Ministro del Turismo dia seguito in tempi brevi alle misure annunciate durante l’incontro con gli organi direttivi di Federalberghi, che prevedono l’istituzione di un registro nazionale degli alloggi turistici, assegnando ad ognuno di essi un codice identificativo e vietando ai portali di mettere in vendita le strutture prive del codice».
Pronta è arrivata la reazione di Airbnb che in una nota ufficiale ha spiegato: «Siamo delusi dal pronunciamento del Tar del Lazio e intendiamo fare ricorso presso il Consiglio di Stato, anche ai fini dell’eventuale interessamento della Corte di Giustizia Europea. In tema di imposte sul reddito, abbiamo sempre offerto disponibilità in tutte le sedi istituzionali per risolvere l'impasse e consentire alla community il rispetto della legalità e il pagamento delle imposte sul reddito senza discriminazioni. Le collaborazioni con le autorità di Spagna, Danimarca ed Estonia sono la dimostrazione di come ciò sia possibile. Il Tar ha invece inteso confermare nel merito l’orientamento già espresso in sede cautelare, non ravvisando differenze operative fra agenzie immobiliari con qualche decina di clienti e una piattaforma tecnologica con oltre 200mila utenti, di cui solo una parte sarebbe assoggettabile alla normativa secondo criteri mai stabiliti dal legislatore. Secondo la corte invece chi affitta tramite Airbnb non sarebbe discriminato rispetto ad altri sistemi meno trasparenti perché sarebbe logico imporre l’obbligo di ritenuta all’unica piattaforma online che intermedia i pagamenti con un modello innovativo. Poco importa se, come stimato da Banca d’Italia, si tratti dell’unico barlume di trasparenza in un settore in cui 7 pagamenti su 10 avvengono ancora in contanti».
«Una sentenza estremamente positiva - ha spiegato
Claudio Albonetti, presidente nazionale di Assohotel, associazione che riunisce le strutture alberghiere aderenti a Confesercenti - dobbiamo avere tutti le stesse regole. Noi non siamo di certo contrari al nuovo che avanza nemmeno in tema di modalità di commercializzazione nel settore ricettivo. È però assolutamente necessario che le normative - dagli obblighi fiscali a quelli relativi a sicurezza e salute pubbliche - valgano per tutti allo stesso modo».
«Molto bene - dichiara
Giorgio Palmucci, presidente di Associazione Italiana Confindustria Alberghi - che il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) con la sentenza n. 2207/2019, abbia respinto il ricorso di Airbnb inserendosi a pieno titolo nel quadro della lotta all’illegalità. Il pronunciamento del Tar del Lazio riconosce le criticità che roteano attorno ad Airbnb e getta le fondamenta per gestire, nel pieno rispetto delle regole già imposte agli operatori alberghieri, un fenomeno che altrimenti rischierebbe di causare annosi danni anche alle Casse dello Stato. Lotta all’evasione fiscale, modalità di riscossione delle imposte, registrazione dei contratti di locazione e gestione e trasmissione dei dati alle autorità competenti sono i punti su cui ci siamo sempre battuti per far si che venisse garantita uniformità di trattamento delle attività che caratterizzano il settore dell’accoglienza. Chi opera nel mondo dell’ospitalità è tenuto al rispetto delle regole e quanto stabilito ieri dal Tar del Lazio aggiunge un tassello importante ad un contesto normativo volto a favorire una concorrenza leale tra i tanti attori che operano sul mercato».