Presidente e fondatore insieme ad altri colleghi nel 2014 dell’Abi Professional, associazione no profit nata come supporto per i barman professionisti che oggi annovera circa 400 soci in tutta Italia. Pluripremiato campione italiano, docente di scuola bar, per molti anni è stato fiduciario Aibes per la Valle d’Aosta, oggi bar manager presso un resort in Sardegna in estate e a Cervinia in inverno, nonché candidato al sondaggio Personaggio dell'anno di Italia a Tavola (clicca qui per votare).
Ernesto Molteni
Quale è secondo lei il successo delle barlady?Il
bar non è più un luogo solo maschile. Mia moglie, barman anche lei, ha avuto l’idea di fondare
Abi Professional in rosa. Un progetto a scopo benefico nato durante il momento particolare di emergenza per aiutare in modo concreto l’
Airc, Fondazione per la ricerca sul cancro. Ad oggi solo due iniziative, una in Toscana e l’altra in Veneto, ma molto presenti sui social. Le
donne sono molto adatte a questo mestiere. Hanno doti innate, quella dell’
accoglienza, poi il sorriso, la classe e l'eleganza. Senza dimenticare una maggiore
creatività e
sensibilità. Dotate di buon
dinamismo ed hanno una maggiore attitudine all’organizzazione del lavoro. Mi ha fatto molto piacere trovare molti giovani nella sezione Barman, soprattutto donne.
L’associazione da lei fondata nasce da un conflitto con Aibes, nell’ottica di questo momento di difficoltà. Pensate di collaborare?Abi Professional è nata
per riproporre lo spirito dell’Aibes storica che purtroppo si era progressivamente modificato puntando sul commerciale. Sono trascorsi molti anni, ci stiamo confrontando, in primavera abbiamo pensato di avere un incontro per cercare di raffreddare il clima di polemiche ed
iniziare a collaborare con dei nuovi contenuti. In Italia siamo circa una decina di associazioni ed ho anche proposto di
creare una sorta di confederazione per operare insieme con l’obiettivo di creare anche una figura professionale riconosciuta.
Lei parlava di Aibes diventata commerciale, ma oggi molti bartender sono anche brand ambassador... È diventata una posizione ambitaUn problema molto attuale. Ci scontriamo con questa figura voluta dai tempi attuali sia per motivi di
visibilità personale che economici. Stiamo cercando di trovare una soluzione anche mediante regole affinché tutto questo non si scontri con i nostri
valori associativi. Purtroppo si mescola un po' tutto, ci sono anche troppi brand manager.
La mixology continuerà ad essere di moda?La storia del
bartending classico ha vissuto nel corso degli anni dei cambiamenti epocali, dai
drink alle
tecniche. Negli anni '90 lo spettacolare
flair bartending, poi nel 2000 è arrivata la
mixology a cui alla creatività classica si è aggiunto un approccio "culinario". Il nostro settore è in
continua evoluzione e da tutti i cambiamenti abbiamo imparato qualche cosa. Ad esempio dal flair ad utilizzare le due mani, ad essere veloci. Siamo in piena epoca di sviluppo della mixology, ben venga utilizzare particolari attrezzi che si trovano solo in cucine di avanguardia, ecco perché viene definita anche
bar chef. La cosa sbagliata è trasformare il barman in produttore. Le persone che fanno
liquoristica hanno delle competenze diverse.
Progetti futuri per l’associazione?Essendo cresciuto in un’associazione, credo nei valori del confronto tra professionisti e nel
rispetto reciproco. Si parla di bere consapevole, mi piacerebbe riuscire a fare in modo che a
vendere alcolici sia un
professionista serio, che conosca la materia, che abbia frequentato dei corsi, che sia dotato di una
licenza. Per aprile tiamo organizzando il nostro convegno al Grand Hotel Billia di Saint-Vincent (Ao).
E la sua partecipazione al nostro sondaggio?Sono stato molto sorpreso soprattutto perché non utilizzando molto i social sto ottenendo un buon risultato. Per me un gioco carino, ma fa bene ai giovani, dovremmo fare in modo di dare la possibilità a giovani meritevoli di avere visibilità. Le associazioni potrebbero anche fornire dei nominativi.