Alba del terzo decennio del terzo millennio. Insomma, di evocativo l’imminente anno 2020 non è che abbia poco. Accingiamoci pertanto a tratteggiare i trend dell’anno 2020 nel settore della ristorazione. Ne troviamo di originali e troviamo anche riproposizione più marcate e più vistose, di tendenze che appena appena si sono intraviste in questo anno 2019 terminante.
Differenziare l'offerta è sempre più consigliato
Notazione metodologica: l’esposizione dei trend non determina una classifica, ma neanche è casuale; ha un suo fil rouge, in ogni caso. Primo trend: ristorante Aao, acronimo che sta per Almost Always Open (ovvero, quasi sempre aperto). Un ristorante che permanesse nel pigro comportamento di stare aperto al pubblico soltanto negli orari tanto canonici quanto desueti di pranzo e cena, si voterebbe a un irriguardoso (irriguardoso per se stesso e per l’utenza) declino. Pranzo e cena permangono i cardini quotidiani di un modo di estinguere in maniera soddisfacente l’insorgere di appetito (non chiamiamola fame, sarebbe blasfemia!). Pranzare e cenare fuori casa comporta il valore aggiunto della sana e gioiosa convivialità.
Ma le tempistiche del vivere quotidiano, non ultimo il confine tra giorni feriali e giorni festivi che da netto e rigoroso diviene “liquido” ed indistinto, generano una domanda di fruizione di locali di ristoro ad elevato standing che laddove non presidiati dai ristoranti, diventano ulteriore territorio di conquista, più che meritata, da parte dei bar. Parliamo pertanto, se non proprio della prima colazione, del brunch, oggetto ancora misterioso la cui domanda è già ben presente soprattutto nelle città medie e grandi.
Parliamo di happy hour che sappiano avere contenuti di edutainment (educazione e intrattenimento) per i quali vi è domanda latente a fronte di offerta che non appaga. Si pensi, ed è solo un mero esempio, all’inserimento di
cheese corner (angoli dedicati ai formaggi) volti a rendere non banale i momenti preserali con abbandono del “prosecchino” di per sé bevanda inesistente e dei melanconici finger food di fattura industriale ammucchiati in ciotoline di ordinanza.
Tecnologia determinante nelle cucine e in sala
Per un attimo lambendo l’universo delle pizzerie, si pensi ad un nuovo abito mentale del patron pizzaiolo che in determinate fasce orarie sappia e voglia servire i cosiddetti “fritti” non come piatto iniziale in attesa della pizza, bensì proprio come la proposta adatta, insieme con appropriato calice di vino, al suo modo originale di “fare” happy hour. Ed ancora, si pensi nelle fasce orarie successive al cosiddetto pranzo ed alla cosiddetta cena, a proposte di dessert, in autonomia, ovvero non come il dolce chiusura del pasto completo, ma come momento a sé, con abbinato un buon passito o un buon rhum, o quant’altro possa esaltare la proposta.
Secondo trend: Lto. Lto è acronimo che sta per Limited Time Offer. Offerte limitate nel tempo da intendere, sia ben chiaro, come esatto opposto dello sconto. L’agevolazione, “l’offerta” non consiste nell’applicare prezzo scontato. Lto consiste, evidente ed interessante la commutazione paradigmatica, nel proporre “chiccherie” ai fortunati che siano lesti nel cogliere l’opportunità che gli si offre. Può essere la cena a tema dove è ospite in cucina solo per quella sera uno chef particolarmente bravo e famoso; può essere la cena imperniata su alcuni prodotti di difficoltosa reperibilità; possono essere momenti particolarmente interessanti di intrattenimento educativo.
Tra i trend l'ampliamento degli orari di apertura
Sia come sia, il concetto forte è che si sta erogando un servizio costituito da risorse carenti e perciò preziose, disponibili non per tutti, ahinoi, bensì per i clienti che tempestivamente aderiscono. Negli Usa, la si prenda come notazione di colore, all’acronimo Lto abbinano l’acronimo Fomo che sta per Fear Of Missing Out, ovvero la paura di rimanere escluso dalla Lto, il timore di non essere tra i prescelti.
Terzo trend: il take away nobilitato. È tendenza già in atto ed è in stretta correlazione con lo sviluppo della delivery a domicilio. Anche il ristorante di elevata reputazione, opportunamente equipaggiandosi sin dal ridisegno dello stile della cucina, eroga il servizio take away su ordinazione. E lo fa sia attrezzandosi per consegnare a un orario convenuto al cliente che passa nel locale a prelevare quanto ordinato, sia divenendo anello cardine di un flusso che ha a monte un soggetto che riceve le “comande” dai clienti ed a valle un soggetto che effettua la consegna a domicilio prelevando le pietanze, opportunamente sottoposte a doveroso package, dal ristorante. Realtà quali Deliveroo, Glovo, Just Eat, sono ben presenti nelle grandi città e il rider, ovvero colui il quale in bicicletta o in motorino effettua la consegna a domicilio, è comincia a costituire presenza abituale in determinate aree.
Quarto trend: gli store che diventano shop. Per nulla difficile a realizzarsi, sebbene neanche sia cosa semplicissima a fronte di eventuali complicanze burocratiche, si tratta semplicemente e pragmaticamente di commutare lo store in shop. Diciamo meglio. Il ristorante dispone di sua cambusa e di sua cantina. Sono “oggetti” sottoposti a continue di entrata (i fornitori che alimentano) e di uscita (le richieste dalla cucina e dalla sala). Orbene molti degli elementi costituenti cambusa e cantina posso essere messi a vista, graziosi ed accattivanti gli spazi idonei, per acquisti che il cliente può agevolmente effettuare. È fare leva sull’effetto emulazione. In convivialità si è appena degustata un’ottima pietanza (sovente un primo), sono resi noti gli ingredienti principali che, guarda caso, sono anche disponibili a scaffale.
Chiarezza e valorizzazione dei prodotti italiani, altro must
Si acquistano e ci si cimenta a casa. Soprattutto tra i Millennials, fruitori principali di questo nuovo servizio, è tendenza il considerarsi home chef. Oltre al vantaggio immediato dell’incremento degli incassi, il ristoratore si giova anche del vantaggio indotto di una migliore relazione con i suoi fornitori e di un ulteriore motivo di soddisfazione per la sua clientela.
Quinto trend: la
filiera corta. Abbondantemente alle spalle la stagione del cosiddetto km zero, tra i concetti più fatui ed assurdi che abbiano contaminato gli albori del secolo corrente, si sta divenendo consapevoli dell’importanza della filiera corta. Si acquista per quanto possibile direttamente dai produttori, saltando il ganglio intermedio del grossista/rappresentate, con benefici evidenti ed immediati sia per il ristoratore che, a conseguirne, per il cliente. Maggiore freschezza dei prodotti, incremento della valenza fiduciaria con fornitore che diviene partner, prerequisito al trend successivo.
Sesto trend: trasparenza, tracciabilità, blockchain. Fattori che dall’essere valori distintivi vanno velocemente commutandosi in elementi necessari la cui assenza mal depone. Rendere edotto il cliente su cosa c’è “nel piatto”, su come e quando gli ingredienti sono giunti in casa e sul come sono stati trattati è sfida che il ristoratore deve necessariamente accettare, a ciò adeguandosi. Non mal tollerato e fastidioso fardello burocratico, bensì l’intreccio cordonato di trasparenza e tracciabilità andrà a costituire il soddisfacimento immediato di un’esigenza cognitiva che il cliente giustamente ed opportunamente comincia ad avvertire come irrinunciabile. A tutto ciò è soluzione tecnologica di agevole fruizione la blockchain, ovvero l’insieme di trasparenza e di tracciabilità, senza timore alcuno di fake news e di malversazioni, a portata di app su smartphone. Casi interessanti di blockchain già esistono ed impattano sugli anelli a monte: la materia prima, la trasformazione, la consegna. Si tratta di ampliare la catena ad essa aggiungendo l’anello ristorante (a sua volta composto da cambusa/cucina-cantina/sala) fino ad arrivare all’anello cliente/end user.
Settimo trend: social media e reputation. Non esserci sui social media equivale a non esistere. Esserci e non presidiare e governare con la necessaria professionalità è come scendere in campo con l’obiettivo di fare tanti goal, sì, ma nella propria porta. Ne consegue che c’è un solo modo per trarre legittimo giovamento dai social media: essere proattivi, individuare linea di comportamento e ad essa essere coerenti. Uno studio recente e molto autorevole, a proposito di quella che oggi è chiamata “reputation economy” afferma che in un range da 1 a 5, essere valutati sotto il 4 preclude sostanziosi incrementi di clientela e addirittura mette a rischio anche frange di clientela consolidata. Come accettiamo una prenotazione? Come accogliamo il cliente? Come ci si accomiata dal cliente? Domande da porsi e risposte sincere da darsi, prima di recriminare sulla recensione negativa.
Ottavo trend: dal marchio registrato (trademark) all’originato. Tendenza già in atto, si tratta di dare accelerata ulteriore: a beneficio dell’utenza, a conseguente beneficio proprio, a vantaggio di tutto il Belpaese. Abbandono pervicace del trademark inteso come marchio, come brand di un’industria, a fronte di un’ancor più marcata attenzione e preferenza verso i prodotti di cui sia nota l’origine. Origine resa nota, opportunamente divulgata e protetta.
Stiamo parlando delle
Dop e delle Igp che nel nostro Bel Paese sono 299 (parliamo solo di food e non di vino). Comprare produzioni Dop e Igp, fermo restando la naturale preferenza che nell’ambito di un prodotto Dop o Igp si possa avere per un produttore piuttosto che per un altro, significa dare valore prevalente al concetto di “originato”, a quale storia c’è dietro quel prodotto: perché è nato, come lo si faceva e come lo si fa, quale la specificità del territorio, quali le abitudini alimentari che lo preservano, ed ancora altro. Evidenziare alla clientela (bambini inclusi) la scelta consapevole di dare priorità alle eccellenze del nostro patrimonio agroalimentare è attuare quel “patriottismo dolce” che è valore da recuperare e che innesca il volano virtuoso che induce a ragionare in quell’ottica sistemica troppe volte evocata vanamente.
Nono trend: articolo 9 della Costituzione. Sì, non desti meraviglia che funga da trend un articolo della nostra Costituzione, l’articolo 9 che così testualmente recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” È la nostra cucina attuale il portato di una cultura bimillenaria con sedimentazione accumulatasi nei secoli? Sono ben necessarie quanto talvolta non tempestivamente accolte le innovazioni che scaturiscono dalla ricerca e dalle sue applicazioni? Si potrebbe mai fare a meno delle nuove tecnologie a servizio dell’accoglienza, della ristorazione e nell’ambito di essa sia per il backstage che per la cucina e per la sala nonché per vivere meglio nella reputation economy? E quale strumento migliore per tutelare il nostro paesaggio se non supportando come è conveniente e doveroso che sia le colture che danno vita alle nostre Dop e Igp?
I segnali incoraggianti che vengono da autorevoli associazioni della categoria dei ristoratori rendono ottimisti circa l’idea che gli elencati nove trend siano recepiti ed efficacemente affrontati. Affrontati come challenge per acquisire quella linfa ulteriore che è a sua volta condizione necessaria per incrementare le competenze delle brigate e dei social media manager, per rivitalizzare e trasmettere ai più giovani quella passione evergreen in assenza della quale saremmo al cospetto di un mestiere gramo piuttosto che di una professione nobile quanto necessaria, per cantare in coro con tutti gli stakeholders affinché la scelta del dine out sia sempre più, per noi e per i tanti turisti stranieri, una deliziosa, piacevole e memorabile esperienza.