La vicenda, inquietante e grottesca, del cuoco bolognese Maurizio Landi, licenziato in Francia per essersi rifiutato di stracuocere la pasta e in recidiva di essersi opposto all’abbinamento spaghetti-ragù, ci offre alcuni spunti di riflessione. Landi, che fortunatamente ha trovato un’altra cucina dove esprimersi, ha ragione da vendere nel servire pasta al dente e le tagliatelle con il sugo a base di carne, ma il problema fatto emergere dalla tracotanza del suo ex datore di lavoro è un altro, sono altri.
Innanzitutto il delicato rapporto di equilibri tra un titolare solo d’impresa e un professionista dei fornelli. Il buon senso direbbe che i ruoli dovrebbero essere separati, a ognuno il suo mestiere. Non sempre però è così, come prova la case history di Landi. Certo, il fatturato è fondamentale, come le regole della buona cucina e la professionalità hanno un peso che sulla carta dovrebbe essere rilevante. Sono o non sono la forza motrice di un esercizio di ristorazione?
E poi l’eterno dilemma: la clientela ha davvero sempre ragione anche quando ha torto? La clientela, lo si ripete da anni, va educata. Lo fanno a monte le aziende, con determinazione, proponendo corsi di formazione dedicati ai professionisti dell’ospitalità per favorire il miglior utilizzo e la massima resa dei propri prodotti. Approfondimenti virtuosi che a valle vengono trasmessi ai consumatori, che escono dal ristorante arricchiti e fidelizzati.
A meno che in sala non ci sia la “bestia nera” di Landi, che non si interessa di cultura gastronomica e lascia la propria clientela affrontare spaghetti scotti con il ragù, magari armata di forchetta e coltello o cucchiaio. A questo punto a comandare sono il cassetto e l’ignoranza: un cul-de-sac!
E noi, a maggior ragione, continuiamo a credere che valorizzare i territori e le singole culture gastronomiche sia la strada maestra, che l’impegno, la formazione e lo scambio di informazioni tra aziende, ristoratori e clienti sia di giovamento a tutti, in ultima analisi al sistema ospitalità del Paese.