In tempi di ripartenza, forse è il caso di analizzare una componente del servizio di ristorazione fino ad ora non investigata quanto il tema meriterebbe. Parliamo della cantina, intesa come modalità di approvvigionamento dei vini, del loro riordino e dei pagamenti ai fornitori. Ma la cantina è anche uno spazio fisico attrezzato, con occupazione considerevole di spazi di back-office ed è ciò che poi il cliente percepisce, last but not least, come la cosiddetta “carta dei vini”.
L'approccio alla vendita del vino al ristorante deve cambiare
E a proposito della carta dei vini, r
ibadiamo che questa, intesa come oggetto cartaceo, sarà velocemente sostituita da un software che ne consenta un apiù agevole consultazione sullo smartphone del cliente.
Ora vogliamo affrontare il criterio per cui si indica un numerino sulla colonna destra della schermata: quel numerino con il simbolo “€” accanto,che indica il prezzo della bottiglia. Ci riferiamo a quanto io cliente devo pagare affinché quella bottiglia, si spera correttamente servita (temperatura quella giusta, calici quelli idonei, stappata al tavolo...) valorizzi ulteriormente le portate dell mio pranzo/cena e concorra a rendere piacevolissima l’esperienza che sto vivendo.
In scenario ante lockdown da Coronavirus, la tacita regola applicata, un vero e proprio algoritmo, era tale che il suo (suo del ristoratore) costo di acquisto (il prezzo del fornitore) veniva moltiplicato, talvolta per due, talvolta per tre... E così ad andare. E sempre di moltiplicazione si trattava.
Ne derivava un prezzo “oggettivamente esoso”: un prezzo che si genera per una forbice eccessivamente ampia tra il prezzo della bottiglia che si può trovare in enoteca ed il prezzo al tavolo. Attenzione: il prezzo in enoteca vale per un negozio specializzato, con personale qualificato e magari, chicca importante, con un package non banale. Ma da alcuni anni a questa parte, quella bottiglia di fascia media, se non medio alta, ha cessato di essere la vezzosa frequentatrice in esclusiva di enoteche e ristoranti ed è ben presente, con appropriata dignità di posizionamento,
anche nelle ben fatte aree della Gdo, con un prezzo generalmente inferiore rispetto all’enoteca e quindi con una forbice ulteriormente ampliata rispetto al prezzo del ristorante. Una situazione che si è andata ulteriormemnte allargando in questi mesi quando alcune cantine hanno cercato quel canale nuovo in alternativa ai ristoranti chiusi. Ed abbiamo taciuto dei prezzi praticati dai migliori players di wine e-commerce, un mondo la cui visibilità si è fortemente ampliata e sufficientemente radicata in fasce significative di nuovi acquirenti in rete.
Cosa ne consegue? Che è necessario prendere atto dello scenario mutato, con un post coronavirus che sballa e rende obsoleti i paradigmi su cui si è retta, almeno per quanto riguarda l’offering del vino, la ristorazione italiana dal terremoto del metanolo in poi.
Fondamentale dopo la riapertura, l'accordo tra ristoratore e produttore
Per compendere meglio la situazione riflettiamo su sei fenomeni:
- A causa del lockdown, sono due mesi che il ristorante (chiuso) non vende vino e quindi non incassa neanche i soldi per pagare il fornitore;
- Il fornitore non solo non incassa i soldi dal ristoratore che, duole dirlo, si accinge magari a divenire insolvente, ma non gli vende ulteriore prodotto e quindi non emette ulteriori fatture con le quali, a mezzo del servizio bancario, poteva prendersi sorsi di liquidità;
- I produttori vitivinicoli vedono approssimarsi, mancano circa 100 giorni, i tempi della vendemmia, con la conseguente problematica dello spazio fisico in cantina per allocare i nuovi vini laddove i “vecchi” non sono usciti;
- Durante il lockdown, non è che il consumo di vino sia cessato, tutt’altro! Ciò significa che il consumatore si è abituato ad acquistarlo on-line oppure alla Gdo o all’enoteca di prossimità, e ha potuto constatare come nel nostro Paese, prelevandola da scaffale, non è che poi una buona bottiglia di vino costi così tanto!
- A lockdown terminante ed a riapertura imminente, il ristoratore ha esigenza impellente di vendere bottiglie di vino sia per avere entrate cash e sia perché buona parte di quelle bottiglie potrebbe anche non essere più vendibile nell’arco di una stagione, si pensi ai bianchi di cosiddetta pronta beva;
- Alla riapertura, il ristoratore si ritroverà i suoi fornitori che per metà fungeranno da esattori volti al recupero del credito e per metà fungeranno da venditori dei nuovi vini.
C’è un modo per uscirsene?
Ma certo! Chi è che diceva che dove c’è il problema c’è anche la soluzione?!
Il virus non ce lo siamo scelti noi, non ci siamo messi il vestito della domenica per andarcelo a comprare e non abbiamo festeggiato quando arrivò. È una pandemia, è una catastrofe, ci cambia la vita e... ne prendiamo atto!
Nuovo il problema, nuova la soluzione.
Tutto parte dall’aritmetica.
Sì, proprio così. Cominci il ristoratore, che non dimentichiamolo, è oramai il ristoratore nuovo del ristorante nuovo, a dimenticare i tempi del “
moltiplicato per” e ad affrontare i tempi del “
addizionato a”.
Il “
+” invece del “
x”.
Ed un numero a destra del più, l’addendo, che sia obbligatoriamente ad una cifra! Che poi questa cifra giri nell’intorno del 5 è molto meglio che non che tenda al suo limite 9.
Un ricarico nell’ordine di qualche euro con un’operazione trasparenza che oltre ad una sua encomiabile valenza etica, arreca anche (soprattutto) un tangibile vantaggio economico nel volgere di poche settimane.
Si trat adi avviare un'
operazione trasparenza in cui il ristoratore, nel porgerti virtualmente la carta dei vini, a te cliente, ti comunica anche il criterio con il quale è arrivato la prezzo.
In più - ed è questa la novità su cui insistere - il ristoratore con quel prezzo convenientisismo ti dice che ogni bottiglia presente in carta è anche vendibile in asporto al prezzo in carta, o addirittura con un paio di euro di sconto.
I vantaggi sono immediati:
- si vendono più bottiglie di vino,
- i clienti scelgono i vini adatti alle portate che giungono in tavola, nel dubbio di “chiamarne” un’altra o non “chiamarla”, la si chiama e, ma quanto è buono questo vino, poi me ne porto una a casa ed anzi la prossima volta passo a prenderla anche se poi non mi fermo a cena,
- il ristorante che diviene anche la nuova enoteca personale.
Si dirà che i ricarichi fatti con il segno “
x” dovevano anche servire a cautelare il ristoratore dall’invenduto. È vero.
E allora?
E allora si coinvolge il produttore, il produttore in filiera corta, gli si racconta per bene, dettagliatamente, il nuovo progetto e gli si dice: «Io il vino da te non lo compro». Aspettate che gli passi lo sbigottimento e poi suadentemente gli dite: «Me lo dai in conto vendita». Gli ritorna lo sbigottimento, attendete che gli passi pure questo e gli dimostrate che è approccio “win win win”: si vince tutti, tutti e tre i player. Produttore, ristorante e cliente.
Il
ristoratore vince perché non costituisce più un’uscita tanto cospicua e dall'esito incerto, con costi per costruzione e la manutenzione della cantina.
Il
cliente vince e voi con lui, perché a fronte di una bella cena si ritrova un conto da pagare di cui la parte vino non diviene per lui la componente di “salasso”, anzi ne è contento ed è spronato a bere meglio ed a portarsi anche qualche bottiglia a casa.
Il
produttore vince perché alla fine anche lui fa maggiore sell-in, essendosi incrementato il sell-out.
Il tutto può funzionare se e solo se si verificano contemporaneamente due condizioni.
- La prima, intangibile quanto indispensabile, è imperniata sul rapporto fiduciario tra produttore e ristoratore.
- La seconda, alla prima saldamente correlata, è la piena trasparenza delle operazioni cantina / sala in virtò di utilizzo sapiente della tecnologia abilitante.
All’istante, ci sarà un software che ingloba la gestione fisica della cantina con la sua gestione contabile; la gestione contabile con i pagamenti in automatico al produttore di quanto dovuto a fronte delle vendite effettuate. Giorno dopo giorno. Ne consegue che anche i riordini e le connesse contabili avvengono in automatico. Meccanismo oliato, perfetto, che non genera fraintendimenti e discussioni.
Domanda: «
Si può?»
Risposta: «
Non è che si può, si deve!».