Ristoratore sì, ma a caro prezzo Costi di gestione alle stelle in Italia

04 settembre 2016 | 10:02
di Matteo Scibilia
Tempo di conti, l’estate è alle spalle, il turismo in Italia ha vissuto, forse, una buona stagione (complice la paura del terrorismo nei paesi stranieri) in ogni caso, come è ormai tradizione, le polemiche sui costi elevati del nostro sistema turistico è un argomento di normale conversazione, e in tanti sottolineano il costo elevato della nostra offerta rispetto ad altri paesi come la Spagna o la Grecia.



È inutile, soffermarsi sulla questione dei costi elevati del nostro paese, sulla tassazione ben diversa da quella dei paesi sopra citati, sul costo del lavoro, il più alto a livello mondiale, sul Tfr (Trattamento di fine rapporto), sulle ferie e i permessi sindacali pagati. Lo stipendio annuale del sistema dell’ospitalità corrisponde quasi sedici mensilità, unico al mondo. Pochi ristoratori se ne lamentano o tentano di intervenire anche a livello associativo, perché in fondo le scappatoie sono parecchie: voucher, lavoro in nero, stagisti e altre formule sul filo del rasoio fanno sì che eludere l’enorme costo del nostro lavoro non sia indispensabile; nel frattempo però il paese non cresce, anche se parlarne non è “politically correct”.

La qualità costa cara, così come le materie prime eccellenti. Molte persone credono che il costo di un piatto corrisponda alla somma degli ingredienti della ricetta. L’esempio arriva anche da trasmissioni televisive come La Prova del Cuoco, dove evidenziando il costo della spesa per i cuochi in gara si lascia intendere che solo il piatto costi, dimenticando però che il food cost è qualcosa di molto diverso. Il gas, l’energia elettrica, il detersivo, il lavaggio in genere, il tempo e altro ancora, comportano dei costi, anche per le trasmissioni di cucina; costi che però spesso sono dimenticati o volutamente non sottolineati. Con il risultato che sia il cuoco sia il ristorante vengano influenzati da questa non informazione.

C’è qualcosa che non quadra. In genere nella ristorazione i costi vengono suddivisi in maniera tale che il personale non incida per oltre il 30/35% e che il food cost non superi il 30%. Certamente in questo momento di stagnazione e di consumi al rilento, si possono fare sconti, promozioni, omaggi particolari, come i bambini che non pagano, brunch domenicali a costi ridotti per attirare le famiglie, serate a tema dove qualche azienda sponsor omaggia il vino, feste di anniversari della attività per premiare i clienti fedeli e molto altro, sorgono però delle perplessità enormi quando si legge che la piattaforma di prenotazione “The Fork”, azienda del gruppo TripAdvisor, riesce a proporre attraverso ristoranti e pubblici esercizi aderenti uno sconto del 50% sul conto. Come è possibile?

Non è nostro compito fare i conti in tasca a qualcuno; ogni azienda o imprenditore è liberissimo di attuare la propria politica commerciale, semplicemente ci chiediamo quale sia il segreto di tale politica commerciale. Per esempio in un ristorante che mediamente può costare 40 euro a persona, con lo sconto del 50% grazie a The Fork, il cliente paga 20 euro. Ma un ristorante può sostenere una marginalità così bassa? Si può fare senza incidere sulla qualità dei piatti proposti? Sapendo di alzare un vespaio, mi chiedo se i ristoranti abbiano margini di guadagno così elevati da potersi permettere questi sconti. In questo modo si trasmettono al mercato messaggi che non fanno trasparire una chiarezza; si può mangiare pesce freschissimo con il 50% di sconto? Attendiamo risposte e riflessioni.

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Alberto Lupini


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