Quanto sia anche dannosa l’idea degli
home restaurant per l’economia del Paese e per
garantire una concorrenza leale lo si era già denunciato in precedenza in diverse occasioni, ma ora che la piattaforma del cuoco-imprenditore
Gaetano Campolo va oltre, coinvolgendo anche il mondo dell’ospitalità e dell’accoglienza, urge ribadire quanto questa forma di “business” sia da condannare.
Il progetto è chiaro: creare un vero e proprio ristorante in casa, sposando il concetto dell'home sharing con quello del social eating e trasformando quella che può essere un'attività saltuaria in una regolare. «La nostra idea - spiega Campolo in una nota ufficiale - è di incentivare la nascita di nuove opportunità lavorative che permettano di sfruttare i principi della share economy. Con il franchising puntiamo a formare le persone perché possano inserirsi in un settore in fermento: il nostro è un Paese con un patrimonio storico e turistico unico al mondo, ricco di biodiversità e di tantissime tradizioni regionali, anche culinarie, che spesso nemmeno noi italiani conosciamo. Far sviluppare il settore dell'ospitalità diffusa rappresenterebbe la possibilità di mettere a frutto questa ricchezza e di creare dei posti di lavoro anche nelle zone più in difficoltà da questo punto di vista, come il Sud Italia».
Con il franchising, Home Restaurant Hotel offrirà, a 1.500 euro, 3 anni di abbonamento premium gratuito alla piattaforma e un corso in tre giorni in cui saranno spiegati tutti gli aspetti relativi al settore, dalla documentazione necessaria a come lavorare sul marchio per farlo rendere al meglio, creando una struttura di successo. Sul cosiddetto corso di formazione, forse, si gioca la partita tra i professionisti del settore e gli “amatori”. Ben venga l’idea di fare formazione - tutto il mondo dell’Horeca è convinto che gli addetti ai lavori debbano essere sempre più preparati e Italia a Tavola, con
#laureaaccoglienza, è un promotore convinto - ma come si può pensare di creare un “professionista” in grado di gestire un’attività così impegnativa, complessa e di responsabilità in tre giorni? Da una parte dunque chi vuole avviare un corso di 3 o 5 anni per una laurea, dall’altro chi pensa di farcela in 3 giorni. Qualcosa non quadra.
Roberto Calugi
Sulla vicenda la
Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi ha le idee chiare: «Noi non siamo contro l’innovazione - spiega il direttore generale
Roberto Calugi - noi siamo contro quelli che spacciano per innovazione un sistema che invece cerca scorciatoie creando attività che non rispettano le normative vigenti e che fanno della concorrenza sleale. Non possiamo pensare che il settore sia diviso in due, tra chi è tenuto a rispettare una lunga serie di leggi, a pagare una certa quantità di tasse, a sostenere determinati controlli e chi invece non è soggetto a tutto questo. Per questo tipo di attività non possiamo sapere in che regime fiscale lavorano, non sappiamo le condizioni di sicurezza garantite».
E a proposito di normativa e di formazione, Fipe aggiunge una questione ulteriore che coinvolge anche il Governo che col suo ruolo e la sua importanza (in queste ore fa sorridere parlarne, ma tant’è) dovrebbe fare da garante a questa situazione complessa e non del tutto controllata: «Al Governo chiediamo che le normative per i professionisti del settore siano più agili, più semplici, meno complesse e non interpretabili - spiega Calugi - perché altrimenti è difficile rispettare la legge. Occorre semplificare e occorre che i controlli siano uguali per tutti, anche più rigorosi, ma uguali, regolari. Se la legge fosse più chiara siamo convinti che anche i controlli sarebbero più efficaci e darebbero esiti più positivi».