Ristoranti in crisi, ecco come rilanciarsi puntando su cibo e territorio

Il cibo è qualcosa di più di quanto è scritto in un menu. È infatti difficile dividere il cibo dalla storia, dall'arte e quindi dalla cultura. Per Giacomo Pini, consulente nel marketing della ristorazione, per un locale trovare il modo di collegare cibo, cultura e territorio potrebbe rivelarsi un'arma vincente per il suo rilancio

03 ottobre 2022 | 05:00
di Martino Lorenzini

In Italia, da sempre agricolturaviticoltura e allevamento si intrecciano con la storia, la geomorfologia e le tradizioni del suo territorio. E i frutti di questo triplice intreccio sono i prodotti agroalimentari; vere e proprie unicità che testimoniano la millenaria tradizione culinaria italiana, rappresentata dal cosiddetto Made in Italy. Prodotti che non soltanto all'estero, ma anche in Italia vengono ricercati sempre di più. E a dirlo sono i numeri.

Incrociando i dati condivisi dall’Osservatorio Confimprese-EY con quelli riportati da Unione Italiana Food si può notare che i consumatori, che nonostante l’inflazione non hanno mutato il loro paniere a livello di quota di spesa dedicata all’alimentare, prediligano la qualità alla quantità quando si parla di ingredienti, con una scelta che si sposta sempre più verso i prodotti che promuovono sostenibilità ambientale.
Tra questi, tra l'altro, ci sono i cosiddetti plant based (a base vegetale), il cui mercato vale ora 200 milioni di euro.
Un altro aspetto interessante è che i prodotti a base vegetale, tra cui burger, piatti pronti, salumi e bevande vengano scelti anche al ristorante. Infatti un italiano su due acquista prodotti a base vegetale per il consumo a casa ma due su dieci (22%) li sceglie anche al ristorante.

Può quindi la promozione di cibi tipici e locali, prodotti a km 0, costituire un’opportunità per i ristoratori, data la difficile situazione attuale?

A porsi questa domanda e a provare a dare una risposta insieme al suo staff è stato Giacomo Pini imprenditore, Ceo e fondatore di GpStudios, azienda di consulenza e formazione in ambito ristorazione e turismo, nonché autore dei fortunati libri "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale", "L’Arte del Breakfast" e "Il marketing territoriale dell'Italia che non ti aspetti. Come vendere i luoghi magici fuori dai circuiti turistici commerciali".

Partiamo dal principio: cosa lega il cibo a un territorio?
Il cibo che consumiamo è il frutto di un territorio. È la sua espressione più autentica, in quanto racchiude in sé molteplici elementi che ne identificano univocamente l’anima: la componente naturalistica geotipica, quindi fattori climatici, conformazione del territorio e risorse naturali; l’alimentazione, quindi le abitudini delle persone che abitano il territorio; infine, la tradizione, con tutti i riferimenti culturali tipici e i contesti sociali che ne hanno permesso lo sviluppo. Il fattore principale è che la nostra mente da consumatori nel tempo ha imparato a creare delle connessioni tra un territorio e i prodotti tipici della zona, spingendoci anche a raggiungere mete lontane per provare i sapori e gli abbinamenti propri della cultura culinaria locale. Sì, perché è di cultura che in fondo si tratta: il cibo è una lingua di comune condivisione e facile comprensione quando utilizzata per raccontare un territorio.

Si potrebbe quindi parlare di tendenza?
Assolutamente sì, e per vari motivi. Da un lato, a vantaggio di un turismo più esperienziale, che è quello che i viaggiatori cercano sempre più frequentemente. Dall’altro, per un concreto sostegno economico, etico e sociale alla filiera corta, con risvolti positivi per tutto il comparto, dai piccoli produttori ai ristoratori e agli albergatori.

 

 

Potresti essere un po’ più specifico?
Portando a tavola cibi locali, che raccontano il territorio in cui è localizzato il locale, è possibile innanzitutto costruire un forte elemento di differenziazione e unicità. Tante sono le iniziative che hanno promosso il rilancio di una zona con la promo-commercializzazione dei prodotti tipici, che passasse dallo storytelling per rendere tutto più emozionale e arrivare direttamente al cuore delle persone. È manifestazione anche di un impegno etico e sociale per la conservazione del proprio patrimonio culturale nonché per la promozione della sostenibilità e la tutela della biodiversità locale.

 

Cosa significa nel concreto per gli operatori del settore dell’ospitalità?
Significa rivedere i propri menu cercando di aggiungere alla propria carta prodotti a km 0 e, se il format lo permette, qualche grande "classico" anche rivisitato, capace di richiamare il turista che viene dall’estero tanto quanto la persona che abita vicino al ristorante, ma che rimane incuriosito dall’assaggiare una nuova versione del piatto che preparava la nonna ogni domenica. Se ci troviamo di fronte a un format che propone cucina etnica certamente questo non è possibile, per questo la declinazione dipende da format a format. Mi viene in mente però il caso degli hotel che offrono un servizio di ristorazione. Il legame tra cibo e territorio può palesarsi tanto nel buffet per la prima colazione, quanto nella carta del pranzo e della cena. E con risultati positivi: lo abbiamo visto in un progetto seguito dai consulenti GpStudios, legato alla rivisitazione di una carta colazione con forte sbilanciamento su cibi prodotti localmente. L’operazione si è rivelata vincente anche a livello di marketing, con attività di co-marketing con altre imprese per la promozione del territorio.

Si può coniugare questo trend  con la necessità attuale di ridurre i costi?
Assolutamente sì! Il tema è caldissimo e ci stiamo operando per trovare tutte le soluzioni innovative che i ristoratori e gli albergatori che offrono servizio di ristorazione in struttura possono implementare per non lasciar morire la propria attività sotto la pressione dei rincari e dell’inflazione. Tra queste sicuramente vengono risaltate quelle che permettono l’ottimizzazione dei processi di approvvigionamento, la rivisitazione della proposta e il contenimento dei costi, aumento qualità e rispetto equilibrio. Ne parleremo anche in occasione di Hospitality Food Innovator, il percorso formativo esclusivo che partirà in anteprima assoluta al SIA Hospitality Design il prossimo 12 e 13 ottobre. E lo faremo con uno chef di fama internazionale che ha sposato fin dal’inizio della sua carriera questo concetto di voler proporre una cucina naturale, che preservasse ed esaltasse il territorio grazie alle specialità locali e all’utilizzo di materie di grande qualità. Parliamo di Paolo Teverini, con cui affronteremo il tema del food costing e della creazione di una carta vincente.

 

 

Come può il km 0 aiutare a migliorare gli incassi di un ristorante?
Innanzitutto, con l’inserimento in carta di una proposta culinaria che rispetta la stagionalità, il che permette una maggiore soddisfazione del cliente finale per la qualità della materia prima utilizzata nel piatto, al massimo del suo gusto e della sua ricchezza in termini nutrizionali.
Poi, con la promozione del proprio impegno sociale, ambientale ed etico, a supporto della filiera corta e a favore della comunità locale. Il che favorisce la creazione di un network coeso che, grazie allo sforzo collettivo, è in grado di elevare il proprio territorio ad elemento attrattivo per turisti e viaggiatori, senza dimenticare le esigenze e la curiosità di chi quel territorio l’ha sempre vissuto.
Infine, a livello di abbattimento dei costi: se è vero che il cliente è pronto a pagare di più per una qualità più elevata e un’esperienzialità che solletica i sensi e se è vero che acquistando localmente (o in alcuni casi addirittura producendo internamente) è possibile eliminare sprechi grazie a un approvvigionamento più frequente e comprare a un prezzo migliore, allora il risultato finale sarà un incremento di margine e un miglioramento della percezione di marca legata al locale.

Conosci realtà che si sono rilanciate puntando sui prodotti locali?
Cito l'esempio di Casetta Rio del Sol a Forlì, che fa del territorio e dei suoi prodotti il biglietto da visita per dar vita ai frequentatissimi "agriaperitivi contadini": dalla frutta fresca con cui vengono create confetture, centrifughe e succhi alle golosità locali, passando per birre artigianali e vini del territorio.
Oppure Larky, a Milano, dove la frase ricorrente è “sapore di casa” e l’intento è quello di mangiare cose buone, stare in compagnia e costruire ricordi in un ambiente accogliente, familiare e accessibile. Qui il menu è fisso ma cambia proponendo piatti diversi ogni giorno: una “cucina d’emozione”, fatta di genuinità, gusto e freschezza.
Spostandoci all’esterno, troviamo Honest greens in Spagna. Cibo “reale” come dicono loro, cioè organico, coltivato in maniera etica senza conservanti o additivi, un menu che punta tanto su piatti plant-based e cereali e che premia la stagionalità. L’idea è quella di creare una community, insieme anche ai produttori artigianali locali e ai coltivatori, che predilige uno stile di vita sano nel rispetto dell’ambiente e della vita stessa in generale.

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Alberto Lupini


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