Home restaurant, dopo la multa a Torino si attende l'intervento del Ministero

15 ottobre 2015 | 10:19
Riflettori puntati sulla ristorazione social. Per la precisione a Torino, dove dopo il blitz dei carabinieri dei Nas, è stata emessa una multa da 6mila euro nei confronti del “Porta Susa home restaurant”. La motivazione? Mancava la documentazione necessaria, ovvero la dichiarazione sanitaria di inizio attività per il locale cucina e per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande da inviare al Comune, oltre al manuale di autocontrollo Haccp, garanzia di qualità degli alimenti.



Il fenomeno degli home restaurant - che si basa sull'organizzazione di cene in case private che si prenotano online e si pagano come in un comune ristorante - i sta diffondendo a macchia d'olio anche in Italia. Ma l'assenza di una chiara regolamentazione in merito crea lo stesso scompiglio suscitato dal caso Uber e da Airbnb per il settore ricettivo.

La questione è una sola: aprire un ristorante “regolare” comporta il rispetto di molte norme, dalla sicurezza all'igiene fino al pagamento delle tasse; gestire un home restaurant è ben diverso, se si pensa che non sono contemplate ispezioni, costi di gestione né, per il momento, tasse. Quello di Torino è il primo caso di multa, e ci si aspetta un ricorso. Nel frattempo questa sanzione ha dato una scossa al dibattito sulla regolamentazione degli home restaurant.

Sulla questione della sicurezza alimentare è intervenuto l'istituto profilattico di Piemonte e Valle d'Aosta: «Il fenomeno - sostiene il direttore Maria Caramelli - può comportare molti rischi. Non essendo ancora incardinato nei canali ufficiali visto che l'aspetto normativo e fiscale è ancora nebuloso, il fenomeno può avere dei pericoli. Da chi viene valutato l'aspetto igienico sanitario? Mentre ristoranti e bar sono sottoposti a continue ispezioni, chi controlla queste attività? Inoltre un ristoratore professionista ha una funzione certificata in materia di sicurezza alimentare e di buone pratiche di igiene».

Lontana dal voler creare allarmismo il direttore dell'Istituto zooprofilattico tiene comunque a precisare che stando ai dati ufficiali, il 39% delle intossicazioni alimentari ha origine in casa. Ora si auspica un intervento del ministero della Salute, che si consulterà anche con i ministeri delle Politiche agricole e dello Sviluppo economico.

Sul caso di Torino interviene anche l’Appe di Padova, l’Associazione degli esercenti, che già a maggio aveva scritto una lettera a tutti i sindaci dei Comuni della provincia di Padova, per sensibilizzarli sul problema. «Lo avevamo preannunciato e denunciato fin dall’inizio - attacca soddisfatto Erminio Alajmo, presidente dell’Appe di Padova - che le attività di home restaurant sono illegali: adesso arrivano le prime multe a certificarlo. Stesso mercato, stesse regole è il motto che dovrebbe guidare le Autorità nei controlli verso le tante, troppe, attività di somministrazione parallela o, sarebbe meglio dire, illegale: mi riferisco non solo all’home restaurant, ma anche ai finti circoli privati, alle sagre, ai finti agriturismo, alle parrocchie, alle feste in villa e tanti altri».

«Scriveremo ancora - conferma Alajmo - affinché questo fenomeno abusivo e illegale venga stroncato prima che possa svilupparsi a danno delle regolari attività e, soprattutto, dei consumatori, che devono potersi recare in locali autorizzati, in regola con le norme igieniche, fiscali, amministrative, di sicurezza e di ordine pubblico».

Soddisfazione, ma anche amarezza, sono i sentimenti che vivono gli esercenti padovani. «Soddisfazione - dichiara Alajmo - perché le nostre segnalazioni vengono sempre confermate dai fatti, ma anche amarezza perché in occasione dei pochissimi controlli che vengono effettuati, emergono sempre pesanti irregolarità. Mi riferisco, ad esempio, all’operato dell’Agenzia delle Entrate dell’Emilia Romagna che ha smascherato vere e proprie attività commerciali che, utilizzando lo schermo del “no profit”, beneficiavano ingiustamente di privilegi tributari: tra imposte e sanzioni, sono state richieste dall’Erario diverse centinaia di migliaia di euro».

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Alberto Lupini


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