Numero uno per stile e formazione Tutta l’Italia onora Gualtiero Marchesi

Del Divino ci resta senza dubbio il grande esempio, il suo amore per l’arte, la sua vitalità inesauribile. Un invito a tutti i cuochi che venerdì parteciperanno ai funerali a Milano: indossate la giacca bianca e la toque , Gualtiero la portava sempre con orgoglio, simboli di un mestiere a cui ha dedicato tutta la sua vita

27 dicembre 2017 | 16:44
di Alberto Lupini
Per sapere che fosse il numero uno (il più originale, il più elegante e il più noto) non servono certo le parole dei troppi che oggi lo incensano, anche se fino a poche ore fa cercavano magari di sminuirne il ruolo nella storia della Cucina italiana (da politici a giornalisti e guidaioli, è lungo l’elenco ai quali era sgradito). Ma per fortuna Gualtiero Marchesi, uno dei pochi di cui si possa dire che era realmente “un uomo libero”, è sempre andato per la sua strada, incurante dei giudizi (che peraltro erano il suo humus) o dei punteggi, ricercando quell’ideale connubio fra il bello e il buono che per lui non poteva non avere il ritmo di quella musica che è sempre stata la passione che, grazie alla moglie, ha trasferito alle figlie e ai nipoti. Solo un grande cuoco come lui poteva fare cominciare una cena ufficiale in ritardo per dare tempo ai suoi nipoti di esibirsi in un concerto davanti ai suoi ospiti. Già, perché per lui l’arte era più importante della Cucina, che è grande solo se sa farsi ispirare dalla prima.


Davide Oldani, Bruno Muratori (Villa Crespia), Alberto Lupini, Annamaria Tossani e Gualtiero Marchesi, quest'ultimo insignito dell'Award "per il contributo determinante al rinascimento della Cucina italiana" (Firenze, marzo 2013)

È nell’amore per il pianoforte o i violini, e in genere in tutta l’arte figurativa, che si possono del resto cogliere le radici profonde del suo essere Maestro di cultura, prima ancora che di tecnica, tant’è che dalle sue brigate sono usciti molti professionisti di fama che oggi fanno i cuochi sperando di imitare il Divino nell’essere anche un po’ artisti. Formati ovviamente con il rigore e la disciplina che solo un grande Direttore sa dare alla sua orchestra. Basta poi rivedere certi suoi piatti, nati ben prima che si cominciasse a parlare di “food design”, per capire come Marchesi fosse un “Cuoco colto”. Cosa non proprio scontata 40 o 50 anni fa. E lo stesso vale per i piatti o i bicchieri da lui firmati per valorizzare l’enogastronomia.

Ma come succede nella vita, di grandi uomini il destino ne favorisce pochi e per almeno un po’ di tempo la figura di Gualtiero non potrà essere facilmente rimpiazzata. Resta però il suo esempio, con la sua passione che, nonostante l’età e il male che da tempo lo affliggeva, non gli impediva di andare nella cucina del Marchesino per proporre nuove idee o di partecipare ad eventi e convegni dove le sue argomentazioni erano spesso più fresche e frizzanti di quelle di chi “se la tirava” più di lui senza averne titolo.

Totalmente libero nei giudizi anche sui colleghi, se lo poteva permettere, per non parlare del gran rifiuto nei confronti della “Bibbia” della cucina mondiale, quella Michelin che lo aveva incoronato come primo tristellato italiano, ma di cui aveva poi contestato i criteri di valutazione, guadagnandosi il malumore di molti guidaioli italiani. Uno spirito libero che gli permetteva anche di porre qualche raro veto all’ingresso di qualche ristorante o collega in una delle tante associazioni in cui era iscritto o che aveva fondato insieme ad altri grandi cuochi europei. Pensiamo a Euro-Toques e a Paul Bocuse, l’ultimo grande “vecchio” degli artefici della grande rivoluzione della cucina europea di cui Gualtiero è stato uno dei protagonisti assoluti.

Chi scrive è cresciuto, anche professionalmente, col mito dell’uomo che ha importato la Nouvelle Cuisine prima ed è stato poi l’artefice del Rinascimento della Cucina italiana. Bonvesin de la Riva sembrava un santuario dove si celebravano riti che ai più non piacevano, salvo poi diventare il faro a cui tutti hanno guardato. Sperimentava come valorizzare materie prima e tradizione e certe sue contestate “fughe in avanti” sono poi diventate la regola per dare futuro alle nostre ricette antiche, in barba alle troppe deviazioni tecniche e alle mode che non lasciavano spazio alle materie prime e alle sue essenze.

Ci sono tanti episodi personali che si potrebbero citare, ma uno è il più indelebile e mi capita di citarlo spesso. Era un anniversario di matrimonio di alcuni anni. Gualtiero stava nel suo “esilio dorato” dell’Albereta. Quando scopre l’evento che ci aveva portato lì, cambia menu e invece di portare il suo risotto alla foglia d’oro o il raviolo aperto, ci prepara un’anatra al torchio che ci fa direttamente al tavolo. Il re della nuova Cucina italiana si sostituisce ad un maître in una preparazione fra le più tradizionali. Una lezione di stile ed umiltà che in pochi finora hanno saputo dare e che per questo resterà per sempre un ricordo prezioso. Almeno quanto le discussioni sulla preminenza del cibo sul vino (in qualche periodo preferiva accompagnare i piatti all’acqua) o l’emozione di conferirgli l’Award 2012 di Italia a Tavola con la motivazione del “contributo determinante al rinascimento della Cucina italiana”. E non casualmente in 33 anni di storia Italia a Tavola, per scelta, ha dedicato la sua copertina solo a due cuochi, uno dei quali è appunto Marchesi.

Ci restano alcune tristezze per una scomparsa che sembra comunque prematura vista la sua vitalità che sembrava inesauribile. La prima è che non potrà vedere la realizzazione di quella casa di riposo per cuochi anziani (che dovrebbe comunque vedere la luce il prossimo anno) a cui aveva dedicato gli ultimi generosi impegni. La seconda è che nessun politico abbia mai accolto la proposta che abbiamo più volte lanciato di nominarlo Cavaliere del lavoro, per onorare con lui la Cucina italiana e i tanti cuochi che contribuiscono all’immagine e allo stile di vita del nostro Paese. Ma vogliamo essere ottimisti e lanciare una proposta alle maggiori associazioni di cuochi. A Fic, Apci, Euro-Toques, Le Soste, Jre, Chic, Buon Ricordo e Ambasciatori del Gusto: organizziamo al più presto un concorso di Cucina italiano dedicato a lui. I francesi hanno il Bocuse d’or, perché noi possiamo avere il “Marchesi d’oro”? E per chiudere, un invito a tutti i cuochi che venerdì parteciperanno ai funerali del Maestro: indossate la giacca bianca e la toque. Gualtiero le portava sempre con orgoglio.

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Alberto Lupini


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