Nardella-Stoppani: «Dai pubblici esercizi parte la valorizzazione del centro storico»
20 dicembre 2016 | 17:13
Quale futuro per i pubblici esercizi nei centri storici? Dopo molte discussioni, e dopo un disinteresse generale di anni da parte di sindacati e istituzioni, qualcosa si muove. Una scelta per la valorizzazione del centro storico, e per conseguenza la promozione dei pubblici esercizi, che non coprono esclusivamente la mera funzione di attività commerciali, ma contribuiscono all'identità e all'attrattività del contesto in cui si trovano, è ad esempio l'obiettivo condiviso da Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe, e da Dario Nardella, sindaco di Firenze. Il capoluogo toscano, determinato in questa direzione, si fa fra l'altro da tempo battistrada per una riforma a livello nazionale che riassegni la giusta importanza al patrimonio culturale italiano. Su questi temi il dibaddito è più che mai aperto anche dopo una recente assemblea di Fipe sull'identità attrattiva dei centri storici.
La prima mossa della giunta comunale di Firenze a favore dell'identità del centro storico e della salvaguardia della qualità delle attività in esso ben radicate, ma a rischio, è stato il Regolamento Unesco, una serie di misure per la tutela e il decoro del patrimonio culturale della città. Ad essere stati colpiti sono prima di tutto quei locali che non sono in linea col concetto di qualità, come i minimarket: «A Firenze negli ultimi dieci anni - dice Dario Nardella - hanno aperto 260 minimarket, l'80% nel centro storico, senza che noi potessimo fare nulla, con un conseguente svilimento dell'anima della città». Ecco allora la proibizione di aprirne altri, così anche per fast food, money change, distributori automatici ecc. Inoltre, «abbiamo ridotto - ha proseguito il sindaco di Firenze - l'orario di vendita degli alcolici: niente alcolici d'asporto dopo le 21.00».
Questa contromossa di Firenze ha come prima e fondamentale ragione quella di tutelare il centro storico, i borghi, e con essi i principi sacrosanti di vivibilità, sicurezza e sostenibilità: «la vivacità e la trasversalità dei centri storici - spiega per parte sua Lino Stoppani - con le botteghe, i commerci, i bar e i ristoranti, gli angoli appartati che stanno per scomparire sostituiti da minimarket per la vendita esclusiva o prevalente di alcolici, rivendite di cianfrusaglie spesso orribili, artigianato alimentare con prodotti non tradizionali, pub improbabili, rivenditori abusivi di merci false, insegne fantasiose o esteticamente impresentabili».
Questo elenco di attività commerciali hanno un impatto negativo sull'identità cittadina, anzi, per Nardella, ne hanno cinque. Il turismo, «Nessun turista è stimolato a visitare una città dove tutto è massificato e standardizzato»; la qualità, «svilita da queste attività che soppiantano quelle più tradizionali»; la legalità, perché «com'è possibile che un minimarket resti aperto 24 ore al giorno, e lì al banco c'è sempre la stessa persona?»; il lavoro, da intendersi come «servizio, perché anche questo può incidere sull'offerta in generale»; e la salute: nei minimarket «vengono venduti un sacco di pasta, un litro di latte, dell'acqua, e poi scaffali su scaffali stra colmi di superalcolici».
E, correlato a tutto ciò, c'è anche il problema della mala-movida, «con lo sviluppo di patologie gravi (alcolismo o ludopatie) - sottolinea Lino Enrico Stoppani - con professionalità svalorizzate e qualità della vita, sicurezza, igienicità con forti criticità».
Firenze, con questa rivalorizzazione dei pubblici esercizi a scapito di una massificazione delle attività commerciali e una conseguente perdita di valore di quello che è un Patrimonio Unesco, ha dato il via a una serie di iniziative a livello nazionale, quale ad esempio il cosiddetto Scia 2, un Decreto Legislativo «che introduce la norma - ha dichiarato Stoppani - che attribuisce ai Comuni la possibilità, sentite la Regione e la Sovrintendenza competenti, di vietare o limitare determinate forme di commercio, nei centri di particolare pregio storico e artistico, per ragioni non altrimenti risolvibili, di sostenibilità ambientale, sociale e di mobilità», o, in altre parole, quelle del sindaco Nardella, «una norma che attribuisce ai Comuni il compito di introdurre limitazioni per salvaguardare il commercio tradizionale e l'artigianato di qualità».
In quest'ottica, non solo i pubblici esercizi in generale, ma precisamente «il ruolo del turismo della filiera enogastronomica - prosegue il presidente Fipe - di cui il modello del Pubblico esercizio italiano, diffuso e di qualità, è l'elemento caratterizzante. Infatti molti piccoli paesi, spesso dimenticati o sconosciuti, sono diventati famosi proprio grazie alla presenza di ristoranti di qualità, che li hanno fatti diventare mete turistiche». Da sempre Fipe, in linea con Nardella, sostiene il valore dei pubblici esercizi come strumento di valorizzazione del Food in Italy.
Per concludere, il pensiero, condiviso da Lino Stoppani e già perseguito più volte dal ministro ai Beni culturali Dario Franceschini, che guida la rivalorizzazione del centro storico e dell'identità culturale italiana, è espresso al meglio dalle parole ancora di Nardella: «Consideriamo il commercio alimentare, ristorazione e bar non solo aziende ma attori di una comunità, con un tuolo socialmente e culturalmente rilevante. Salvaguardare i palazzi, sì, ma anche quello che accade al loro interno».
La prima mossa della giunta comunale di Firenze a favore dell'identità del centro storico e della salvaguardia della qualità delle attività in esso ben radicate, ma a rischio, è stato il Regolamento Unesco, una serie di misure per la tutela e il decoro del patrimonio culturale della città. Ad essere stati colpiti sono prima di tutto quei locali che non sono in linea col concetto di qualità, come i minimarket: «A Firenze negli ultimi dieci anni - dice Dario Nardella - hanno aperto 260 minimarket, l'80% nel centro storico, senza che noi potessimo fare nulla, con un conseguente svilimento dell'anima della città». Ecco allora la proibizione di aprirne altri, così anche per fast food, money change, distributori automatici ecc. Inoltre, «abbiamo ridotto - ha proseguito il sindaco di Firenze - l'orario di vendita degli alcolici: niente alcolici d'asporto dopo le 21.00».
Questa contromossa di Firenze ha come prima e fondamentale ragione quella di tutelare il centro storico, i borghi, e con essi i principi sacrosanti di vivibilità, sicurezza e sostenibilità: «la vivacità e la trasversalità dei centri storici - spiega per parte sua Lino Stoppani - con le botteghe, i commerci, i bar e i ristoranti, gli angoli appartati che stanno per scomparire sostituiti da minimarket per la vendita esclusiva o prevalente di alcolici, rivendite di cianfrusaglie spesso orribili, artigianato alimentare con prodotti non tradizionali, pub improbabili, rivenditori abusivi di merci false, insegne fantasiose o esteticamente impresentabili».
Dario Nardella
Questo elenco di attività commerciali hanno un impatto negativo sull'identità cittadina, anzi, per Nardella, ne hanno cinque. Il turismo, «Nessun turista è stimolato a visitare una città dove tutto è massificato e standardizzato»; la qualità, «svilita da queste attività che soppiantano quelle più tradizionali»; la legalità, perché «com'è possibile che un minimarket resti aperto 24 ore al giorno, e lì al banco c'è sempre la stessa persona?»; il lavoro, da intendersi come «servizio, perché anche questo può incidere sull'offerta in generale»; e la salute: nei minimarket «vengono venduti un sacco di pasta, un litro di latte, dell'acqua, e poi scaffali su scaffali stra colmi di superalcolici».
E, correlato a tutto ciò, c'è anche il problema della mala-movida, «con lo sviluppo di patologie gravi (alcolismo o ludopatie) - sottolinea Lino Enrico Stoppani - con professionalità svalorizzate e qualità della vita, sicurezza, igienicità con forti criticità».
Lino Enrico Stoppani
Firenze, con questa rivalorizzazione dei pubblici esercizi a scapito di una massificazione delle attività commerciali e una conseguente perdita di valore di quello che è un Patrimonio Unesco, ha dato il via a una serie di iniziative a livello nazionale, quale ad esempio il cosiddetto Scia 2, un Decreto Legislativo «che introduce la norma - ha dichiarato Stoppani - che attribuisce ai Comuni la possibilità, sentite la Regione e la Sovrintendenza competenti, di vietare o limitare determinate forme di commercio, nei centri di particolare pregio storico e artistico, per ragioni non altrimenti risolvibili, di sostenibilità ambientale, sociale e di mobilità», o, in altre parole, quelle del sindaco Nardella, «una norma che attribuisce ai Comuni il compito di introdurre limitazioni per salvaguardare il commercio tradizionale e l'artigianato di qualità».
In quest'ottica, non solo i pubblici esercizi in generale, ma precisamente «il ruolo del turismo della filiera enogastronomica - prosegue il presidente Fipe - di cui il modello del Pubblico esercizio italiano, diffuso e di qualità, è l'elemento caratterizzante. Infatti molti piccoli paesi, spesso dimenticati o sconosciuti, sono diventati famosi proprio grazie alla presenza di ristoranti di qualità, che li hanno fatti diventare mete turistiche». Da sempre Fipe, in linea con Nardella, sostiene il valore dei pubblici esercizi come strumento di valorizzazione del Food in Italy.
Dario Franceschini
Per concludere, il pensiero, condiviso da Lino Stoppani e già perseguito più volte dal ministro ai Beni culturali Dario Franceschini, che guida la rivalorizzazione del centro storico e dell'identità culturale italiana, è espresso al meglio dalle parole ancora di Nardella: «Consideriamo il commercio alimentare, ristorazione e bar non solo aziende ma attori di una comunità, con un tuolo socialmente e culturalmente rilevante. Salvaguardare i palazzi, sì, ma anche quello che accade al loro interno».
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Alberto Lupini
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