Il lavoro da solo non basta: serve garantire ai giovani un progetto di vita

I giovani non si riconoscono più nel nostro sistema: serve cambiare completamente il modello di lavoro nelle nostre imprese e garantire accesso a benefici che vadano oltre la semplice retribuzione

17 luglio 2024 | 13:03
di Aldo Mario Cursano

Ho svolto un ruolo importante per cercare di chiudere il rinnovo del contratto del nostro settore e per dare così un primo segnale di attenzione nei confronti dei nostri collaboratori e di un comparto che chiedeva riflessioni e attenzioni particolari. Ci siamo riusciti? Non lo so. Molto spesso i rinnovi contrattuali rimangano dei rituali più che delle profonde riflessioni rispetto a un mondo che è profondamente cambiato in tutte le direzioni. Cambiamenti che i contratti dovrebbero accompagnare o comunque stimolare, modernizzando i rapporti di lavoro, rispondendo ai bisogni e alle aspettative di lavoratori e imprese.

Al di là di questo segnale, che comunque abbiamo provato a dare, per esempio, attraverso un aumento di 200 euro in busta paga e il rafforzamento dell’assistenza sanitaria, la mia riflessione è più profonda, come uomo di impresa e rappresentante della categoria. Stando tutti i giorni a contatto con colleghi, persone, clientela, con ragazzi che si avvicinano al nostro settore, devo rilevare che oggi più che mai si debba prendere atto che i bisogni, le aspettative e i sogni dei nostri ragazzi non rispondono più al nostro modello di lavoro e della sua organizzazione. È come se i giovani di oggi non si riconoscessero nel nostro sistema.

Quindi, constatando questa difficoltà profonda rispetto a un cambiamento di priorità epocale, serve il coraggio di discutere di un nuovo modello produttivo e distributivo che metta al centro nuove priorità e bisogni. L'approccio al lavoro e alla vita è stato cambiato dalla pandemia, che ha accelerato un nuovo modo di vedere le cose. Una società che si fonda sul lavoro, sul raggiungimento di obiettivi come benessere, successo, business, soldi, è una società che ha obiettivi che non sono condivisi dalle nuove generazioni. Occorre, di nuovo, avere il coraggio di dire: dobbiamo ripensare il modello di lavoro.

I ragazzi vanno messi nelle condizioni di avere sogni, prospettive e un futuro che li veda parte importante di un progetto e non solo pedine. Io penso che oggi il solo lavoro non sia più sufficiente per avvicinare le persone al nostro mondo e ridare stimolo ai nostri comparti, che si fondano sulla relazione umana. Il solo lavoro, anche se meglio remunerato, non può creare una controtendenza rispetto a una disaffezione giovanile nell’avvicinarsi ai nostri mondi, mondi che richiedono impegno e sacrificio aggiuntivi. Serve dar loro un progetto di vita: legare al lavoro la possibilità di realizzare, per esempio, una casa. Il solo lavoro non è più sufficiente per trattenere e fidelizzare i ragazzi nelle nostre imprese, quindi bisogna trovare modalità, collaborando tra imprese, governo, amministrazioni locali, su come integrare, oltre alla retribuzione, un valore legato alla casa, che deve essere un costo deducibile dalle imprese, tramite un supporto istituzionale.

I ragazzi non vogliono e non devono più lavorare soltanto per vivere. Si trovano nella condizione, per esempio, di non potersi sposare perché non ci sono le condizioni per un progetto di vita solido. I ragazzi, oltre a vivere devono avere un sogno, che deve essere accompagnato in un modo diverso: bonus, welfare, qualcosa che, attraverso il lavoro, permetta di accedere a benefici, riservati a chi svolge attività impegnative, come lo sono quelle nel turismo e nei pubblici esercizi. Un valore aggiunto legato all'impegno lavorativo.

Dobbiamo pensare ai ragazzi come i nostri figli, dare loro sogni e motivazioni. Serve dare un vantaggio evidente che porti a scegliere il nostro mondo. Altrimenti, la nostra società è destinata a fare i conti con proposte anonime, tutte uguali tra loro, che saranno lontane dal modello che da sempre ci caratterizza, quello che mette al centro le persone grazie ad esperienza, qualità e capacità di accoglienza. Un'unicità che ci caratterizza da sempre e ci ha resi famosi nel mondo. Se, però, la componente umana, quella del vissuto, viene meno, abbiamo perso tutti. 

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Alberto Lupini


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