E se, a breve, anche nei ristoranti italiani il pane iniziasse a esser stabilmente considerato una portata, con un prezzo a sé? Tra etica ed economia, con protagonista un prodotto che mai, probabilmente, avremmo pensato che sarebbe stato pagato al ristorante. Proprio quel pane simbolo di convivialità, condivisione, se vogliamo anche di rapporto e fattore umano, diventato da metafora del pasto in compagnia e accoglienza l’ennesimo mezzo “vittima”, per così dire, del capitalismo, dell’economia e della redditività. È giusto e corretto, anche alla luce dei rincari della materia prima, iniziare a considerare il pane una portata a parte? Oppure la storia ci obbliga, per così dire, a considerarlo parte integrante della tavola?
Mai, forse, si sarebbe creduto che anche al ristorante il cestino di pane l’avremmo pagato come una portata a parte: da sempre abituati a considerarlo parte integrante del servizio o, al più, incluso nel coperto, in un numero sempre crescente di realtà ristorative ha perso quel significato di convivialità, accoglienza, diventato alla stregua di una qualsiasi altra portata. E, in quanto tale, con un prezzo a parte sullo scontrino.
Giusto? Sbagliato? Comprensibile? Condannabile? Non sta a noi dirlo, anche se capiamo benissimo come in questo caso, anzi forse mai come in questo caso, il discorso si articola tra etica ed economia. Come abbiamo detto all’inizio, per l’appunto. Specifichiamo: il trend di far pagare il pane a parte si è diffuso negli Stati Uniti e ora, pian piano, sta interessando anche un numero crescente di locali del bel Paese. Non tantissimi, ma comunque più di qualcuno. E nell’estate degli scontrini pazzi e dei sovrapprezzi, di sicuro si tratta di un cambiamento non così apprezzato, o apprezzabile, dai clienti. Il tappeto rosso alla novità, insomma, rimane ben arrotolato su sé stesso.
Il pane da simbolo di accoglienza a spesa del cliente?
Il fatto è proprio qui: siamo sempre stati abituati a vedere il pane come un alimento così essenziale del pasto, al punto da arrivare a darne per scontata la presenza. Discorso valido anche per chi il pane, di fatto, non è abituato a mangiarlo.
A casa come al ristorante (dalle osteria all'alta cucina) si tratta di qualcosa che non deve (o non può) mai mancare, inteso come semplice stuzzichino in apertura del pasto oppure da accompagnare a un secondo, meglio se con sugo abbondante da richiederne la scarpetta. Nei locali il cestino è sempre stato gratis, gentilmente offerto, o comunque incluso o nel servizio o nel prezzo del coperto, ma di fronte a continui rincari della materia prima (fare il pane, dopotutto, rappresenta un costo), di fronte a tecniche di panificazione sempre più elaborate e ricercate, di fronte anche a commensali che si siedono, si riempiono lo stomaco con un importante numero di fette finendo con l’ordinare appena un primo o un secondo, come possono comportarsi i ristoratori? La soluzione più semplice, immediata, per l’appunto, iniziare a considerare il pane (o al più un certo tipo di pane) come portata a parte. Ordinabile a scelta, segnalato in menu, e con una voce dedicata sullo scontrino.
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Il pane si paga a parte: cosa ne pensano chef e ristoratori
Per cercare di chiarire al meglio la questione abbiamo voluto però chiedere un parere a vari ristoratori, da Nord a Sud Italia, per capire cosa ne pensano di questo argomento e se, in fondo, il fatto di far pagare il pane a parte non sia un’idea così peregrina e assurda come potrebbe sembrare all’apparenza. È giusto o no, quindi, iniziare a far cassa anche sul cestino del pane? È giusto, o quantomeno è comprensibile, trasformare un simbolo di accoglienza e convivialità all’italiana in un mero strumento di guadagno? Basterebbe calcolare tutto nel food cost oppure si necessita un’analisi più approfondita del fenomeno?
Gioacchino Sensale, Hotel Dolcestate (Campofelice di Roccella, Pa)
«Ogni visita a un ristorante che si rispetti comincia con la consegna da parte del personale del cestino di pane al tavolo. Si tratta di un vero e proprio primo “contatto” con il cliente, una ottima occasione per partire con il piede giusto. Al tempo stesso rappresenta un ottimo strumento di marketing ristorativo. Chi fa ristorazione sa benissimo di poter fidelizzare il cliente proprio cominciando dal cestino del pane, magari proponendo prodotti panificati di qualità prodotti personalmente dallo chef. Dai grissini fino ai biscotti salati, ai panini con farine particolari o alle focacce. In Italia portare il cestino di pane a tavola è segno di accoglienza di benvenuto, di quell’ospitalità che ci distingue nel mondo. Premesso ciò credo che un ristorante che serve un cestino di pane “comune”, non ha motivo di farlo pagare. Molto spesso però, il cestino del pane è accompagnato dall’olio d’oliva appena spremuto, con del burro di altissima qualità aromatizzato. La presentazione è diventata molto curata, utilizzando supporti molto particolari per valorizzare un prodotto che ha un grande valore simbolico nella nostra cultura. Fare “il pane” in un ristorante significa ricercare le farine migliori che il territorio offre, significa gestire il lievito madre, i tempi di lievitazione, la cottura ottimale ed essere in grado di servire in “nostro pane” caldo per esaltare la fragranza e farlo diventare una vera e propria coccola. In questo caso penso che sia giusto che venga pagato, e penso che gli ospiti siano disposti a pagare il pane servito come descritto sopra. È come se fosse un’ ulteriore portata, non è più un supporto al cibo».
Luca Vissani, responsabile di sala Casa Vissani (Baschi, Tr)
«Non credo sia giustificato presentare il pane, in ogni sua forma, come portata all’interno di un menu. Il pane fa parte di una convivialità, soprattutto in Italia, è cultura, è accoglienza. È una forma mentis, però ognuno fa le sue scelte e non voglio sindacare quelle altrui. Il tema è un altro: in difficoltà economiche capisco chi lo fa pagare, perché magari arriva il pane e il cliente si sazia con quello ordinando solamente un piatto. A fine giornata per ill ristoratore, se dovesse capitare in più di un’occasione, è una perdita economica importante. Le farine, come altro, sono aumentate esponenzialmente e quindi a maggior ragione il ristoratore ora inizia a farci caso. Se la gente si sazia con il pane e non con i piatti è un problema, dipende sempre dalla sensibilità di ognuno. Del cliente, di non approfittarsi del cestino o dei cestini gratis, e del ristoratore capire se può continuare a proporre il pane senza farlo pagare. Penso che si potrebbe risolvere la cosa offrendo magari i primi due cestini, quelli in più se richiesti diventano un extra da includere nel conto. Dico ciò fermo restando come da Casa Vissani non esistono più i prezzi legati al servizio, coperto e pane, tutto è incluso nel food cost. Ma di base far pagare il pane, ripeto, secondo me si perderebbe il senso dell’accoglienza e del servizio. Ma se si decide di farlo pagare, allora bisogna anche metterlo sul listino dei prezzi, per evitare spiacevoli sorprese al cliente. Penso però sia di cattivo gusto farlo pagare, specialmente nei locali importanti. In locali più commerciali diciamo che capisco i ristoratori, anche se potrebbero mettere una soglia di cestini gratis, il resto si paga».
Enrico Pistoletti, chef di Aldivino Bistrot (Corciano, Pg)
«Personalmente noi non facciamo pagare il coperto. Tantomeno il pane, sia in menu degustazione sia se il cliente ordini alla carta. Il pane da noi è considerato una portata a sé del menù degustazione. Lo serviamo sempre dopo le bevande e gli stuzzichini accompagnandolo a burro salato francese e olio perugino. C'è dietro tanto lavoro e studio, prove su prove. Il pane, ogni giorno è diverso. Noi utilizziamo esclusivamente lievito madre, che può essere considerato un essere vivente, il che comporta imparare a conoscerlo per poterlo lavorare al meglio. Utilizziamo grani antichi locali: verna, gentilrosso e frassineto che hanno un costo maggiore rispetto a farine commerciali. Quindi non mi stupisce se altri colleghi aggiungono una riga sullo scontrino. C'è dietro un mondo infinito. Il pane è la base della cultura Italiana. È la scarpetta della pasta al sugo della mamma, è il panino col prosciutto che portavi a scuola la mattina, è il panino dal paninaro fuori dalla discoteca. Il pane è parte della nostra storia e credo sia giusto rispettare questa storia».
Cristian Benvenuto, chef La Filanda (Macherio, Mb)
«Il discorso potrebbe essere davvero ampio e complesso. Per me si traduce in una cosa semplice, il pane acquista valore e viene fatto pagare al ristorante per un semplice motivo, perché il cliente ha scelto di farlo diventare una portata, e quando ciò avviene allora è giusto abbia un valore. È una sorta di provocazione ma di fatto così è: se il cliente si siede e si prende un primo e mangia 3 cestini di pane, in questo caso è lui stesso che fa diventare il pane una portata, in grado di saziarlo permettendogli di non mangiare un secondo. E in questo modo il ristoratore perde una portata e l’incasso che questa gli sarebbe valso. Secondo me quindi è da valutare più sotto questa forma. Al mio ristorante il pane non lo facciamo pagare ma mi rendo conto che molte volte quando il cliente decide di far diventare il pane una portata, allora deve anche essere disposto a pagarlo. Devo dire però che, fortunatamente, non sono tutto così. Se il cliente mangia due portate allora il pane può non essere messo nel conto, nel caso in cui ne dovesse mangiare solo una e magari due cestini di pane, allora credo sia giusto farlo pagare».
Nicoletta Franceschini, chef di Silene (Foligno, PG)
«Io considero il pane un bene primario che non dovrebbe esser mai negato, purtroppo negli ultimi anni i prezzi della farina, delle utente e quanto altro sono aumentati quindi purtroppo anche il nostro settore si è dovuto adeguare a tutto ciò. Soprattutto ultimamente c’è un grande studio dietro al pane e ai panificati, quindi come ogni professione che dietro ha uno studio, tempo e perfezionamento, penso che ad oggi sia giusto far pagare il cestino del pane. Bisogna però sempre considerare quale pane viene servito e a che prezzo chiaramente».
Danilo Ciavattini, già Enoteca La Torre e Ciavattini Ristorante
«È un discorso abbastanza vasto. Nella ristorazione il cestino del pane rappresenta un gesto di accoglienza, anche se per un ristorante in quanto azienda ogni cosa proposta ha ovviamente un costo, che si dovrebbe sviluppare in guadagno. Credo però come non sia corretto generalizzare: magari per un’osteria sarebbe giusto far pagare il pane, perché rappresenta una spesa che su scontrini medi di 25 o 30 euro alla lunga può pesare. Nel ristorante gourmet magari in cui la spesa del cliente è più alta è un po’ fuori luogo far pagare il pane. Il pane è un simbolo, è il gesto dell’accoglienza e renderlo strumento di guadagno può risultare antipatico, seppur comprensibile in alcuni contesti. A me non piace far pagare coperto e pane, ma di fronte a un generalizzato aumento dei prezzi e delle utenze, in un ristorante in cui c’è poco margine di guadagno questo può essere compreso».
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Alberto Lupini
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