Carlo Cracco contro le guide gastronomiche. O meglio, contro il sistema delle guide gastronomiche le quali, però, in tempi non sospetti hanno favorito e contribuito al suo successo. Al punto da farlo diventare uno dei maggiori chef italiani che, nonostante con una società in perdita (soprattutto a causa dell'affitto monstre del ristorante in Galleria pari a un milione annuo), riesce a rimanere a galla grazie a pubblicità, consulenze, ospitate televisive e altre attività che bilanciano le pesanti uscite che "escono" dalle sue cucine. E dalle cucine di gran parte dei ristoranti che propongono offerte gourmet, come ha anche ammesso recentemente Giancarlo Morelli, spiegando come l'alta ristorazione (o meglio, alcuni esempi di gestione di fine dining) abbia talmente tante spese e "poche" entrate che di fatto viva sui debiti.
Se Carlo Cracco sarebbe diventato Carlo Cracco senza il “sostegno”, o forse meglio dire (termine più neutrale), le menzioni nella maggior parte delle guide gastronomiche italiane e straniere (leggi Michelin, che gli aveva anche assegnato due macaron prima del declassamento di qualche anno fa) non lo sappiamo, e la prova non possiamo averla.
Ma che cosa è successo? Partiamo dalla recente cronaca: al Gambero Rosso l’imprenditore veneto ha rilasciato alcune dichiarazioni degne di nota, rivolgendosi in particolar modo a giovani aspiranti chef e colleghi evidentemente fin troppo condizionati da un giudizio espresso da qualche riga di critica gastronomica e una mera valutazione numerica. Un voto, in sostanza, come se fossimo tra i banchi di scuola. Come se si potesse ridurre tutto ciò che avviene in un ristorante, alle sue dinamiche, i ritmi, e fattore umano, a un numero.
Ma che cosa ha detto Cracco? Di non lasciarsi abbagliare dagli splendori (non poche volte effimeri) delle guide, delle stelle, di forchette luccicanti e compagnia bella. «Una volta non si lavorava per prendere le stelle, ma si lavorava per essere bravi, per essere creativi, per essere innovativi». E già questo basterebbe, apriti cielo, ma Cracco poi continua: «La mission di chi stava in cucina non era avere queste cazzo di stelle, di forchette, di piatti o cappelli o quello con cui ti valutano … Quando ho iniziato io, c’erano solamente il passaparola e il telefono fisso. Era tutto molto semplice e molto vero, diretto; nessuno parlava di cucina, l’unico giornale era Grand Gourmet che usciva una volta al mese. Arrivare non voleva dire fermarsi, ma continuare a dire la propria ogni volta e non c’era tutta questa aspettativa come adesso. Il panorama era diverso».
Invettiva contro le guide o semplice monito di un imprenditore ormai navigato che nella sua carriera tante ne ha passate, viste e sentite? Di certo Carlo Cracco è un personaggio divisivo, forse lo chef-divo più divisivo che ci sia, e ogni sua parola viene pesata con il misurino, analizzata al microscopio, smontata e poi rimontata. Ma quanto vale rilasciare ora una dichiarazione del genere? O meglio, quanto vale dire ora, più o meno comodo sui propri allori, che le guide non vanno considerate, quando proprio le guide hanno rivestito un importante ruolo nella creazione del proprio successo? Successo poi ingigantito, nutrito da oltre un decennio a questa parte ormai, da comparsate televisive, sponsor, pubblicità e programmi sul piccolo schermo? Un po' come se tra qualche anno Messi dicesse alle nuove leve che traguardi come campionati, Champions o Palloni d'Oro non devono essere l'obiettivo di un calciatore, il quale deve pensare a divertire il pubblico. Ma campionati, Champions e altri premi individuali contribuiscono, al contempo, ad accrescere non solo la propria fama, ma soprattutto il proprio conto in banca attirando sponsor e accordi commerciali vari.
Proprio al mondo della televisione poi Cracco fa un riferimento, ammettendo (ma forse nemmeno troppo) come sia importante (fondamentale, anzi, direbbe qualcuno) per tenersi a galla: «Il segreto del nostro mestiere è stare in cucina; stare in televisione è solo un modo per arrotondare o per fare qualcosa di divertente. Per andare avanti la passione per la cucina deve rimanere quella dell’inizio. Ancora oggi io controllo se il lavandino è pulito e punto gli altri piccoli dettagli: è il modo migliore per rimanere umili». Dopotutto secondo qualche teoria Cracco nel 2018 perse una delle due stelle proprio perché troppo impegnato in televisione (al tempo era giudice di Masterchef e Hell’s Kitchen) e fin troppo poco presente nella sua cucina.
Guide e sponsor: quanta trasparenza?
Sulle guide, poi, ci sarebbe da aprire un capitolo a parte. Sono davvero così influenti? Beh qui la risposta è semplice: sì, influiscono decisamente sulle scelte dei clienti. Ma sono davvero così limpide, chiare, trasparenti? Quanto sono realmente a disposizione del consumatore, dei costumers come dicono quelli studiati, e quanto invece sono “figlie” di sponsor e accordi commerciali? Per quale motivo le principali guide gastronomiche hanno come main partners dei brand di cucina, e come mai i prodotti di quegli stessi brand li ritroviamo, puntualmente, nei ristoranti segnalati nelle guide?
San Pellegrino sembra essere una costante dei ristoranti stellati, e in effetti è anche l’acqua ufficiale della Guida francese, così come Maison di Champagne le cui bottiglie puntualmente sono conservate nelle cantine dei locali che espongono la famosa targhetta rossa. Per non parlare della 50 Best poi, la quale non è una guida cartacea ma si “limita” a essere una mera classifica dei migliori ristoranti al mondo, secondo canoni che onestamente non capiamo. Non capiamo, infatti, come nell’ultima graduatoria, e nel giro di appena un anno, sia stato possibile veder sprofondare grandi ristoranti italiani. Come quello di Uliassi, dalla 12 alla 34 posizione, ma soprattutto Massimiliano Alajmo ed Enrico Crippa, rispettivamente chef delle Calandre e di Piazza Duomo: quest'anno piazzatisi 41° e 42° scendendo dal decimo e dal diciannovesimo posto. Che si siano dimenticati come si cucina, tra l'altro nel giro di pochi mesi?
Fatto sta, qui sono San Pellegrino e Acqua Panna i main sponsor, e nemmeno a dirlo le bottiglie del brand non faticano a entrare sulle tavole dei locali in classifica. Il dubbio quindi sorge legittimo: quanto sono trasparenti le valutazioni fatte dai grandi movimenti di critica e giudizio enogastronomico? Quanta è invece, effettivamente, questione di soldi e accordi commerciali? Lasciamo la domanda con la risposta in sospeso, almeno per ora, lasciando a ognuno le proprie valutazioni.
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Alberto Lupini
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