Alberto Farina è un giovane, 34 anni, pizzaiolo marchigiano che, nel panorama locale, ha fatto e sta facendo la differenza grazie a professionalità, preparazione, sguardo critico e intelligente su un comparto in grande evoluzione negli ultimi 15 anni. Abbiamo conosciuto Alberto: era in giuria con noi alla Bit Pizza Generation per Molino Dallagiovanna e poi siamo stati da lui, ben due volte, al Lido di Fermo. Nella sua Alberto Farina, rosso nera, con due bocche di forni che accolgono gli ospiti all’entrata.
Dalle prime esperienze al ritorno nelle Marche
Alberto, da ragazzo, frequenta l’Istituto tecnico indirizzo Meccanico e finisce nel 2008. Le prospettive di lavoro come operaio, visto il periodo storico, sono quasi nulle; così, per puro caso, accetta la proposta di un bagno al mare in loco. Inizia così la sua passione per la pizza. Da ultima ruota del carro a entusiasta sperimentatore di impasti. Gavetta da autodidatta che allarga anche al pane. Dalle 15 alle 24 in pizzeria, dalle 24 alle 5 in panetteria, poi casa, letto e di nuovo pizzeria. Intanto studia, fa corsi presso Pizza.it, fa stage in giro per l’Italia, in Valle d’Aosta, in Campania, ecc… Poi rientra. È il 2010. Il pizzaiolo è visto come un cuoco mancato e la pizzeria il luogo dove mangiare senza pensare. Ma lui sente che sta tirando un vento nuovo che soffia da Caserta e Napoli e, soprattutto, da Verona.

Il pizzaiolo Alberto Farina
Comincia a concretizzare il nuovo corso nel Don Diego, sempre a Lido di Fermo. Acquisisce credibilità sul suo territorio. Poi nasce il Farina LB a Marina Palmense, con la stessa missione in mente. Due esperienze che gli fanno capire che è ora di fare “da solo”. Grazie all’imprenditore Marco Catalano e alla sua compagna, torna nella struttura del Don Diego e la trasforma nella Pizzeria Alberto Farina, in una parallela del lungomare. Grandi spazi fuori l’estate e molti coperti all’interno l’inverno. Subito il Gambero Rosso gli dà due spicchi, mette - con orgoglio e entusiasmo - il nome sull’insegna e forma il suo staff che si alterna fra sala e cucina in un turnover complicato ma che, a lungo andare, premia.
L’idea di pizza secondo Alberto Farina
Gli abbiamo fatto delle domande mirate a capire il significato delle sue pizze moderne/contemporanee, che piacciono sempre di più a una clientela esigente e preparata.
Come definiresti le tue pizze?
È complicato parlare di pizzeria moderna/contemporanea. Quando ha cominciato a soffiare il vento del cambiamento io c’ero ed ero attivo e attento anche a percepire l’approccio nuovo della clientela. La pizzeria, secondo me, ha preso il posto, oggi, della trattoria. Si va per provare ricette nuove: nuovi impasti, nuove cotture, nuove farciture. Una pizzeria molto più vicina alla cucina, dalla quale si distacca perché nella pizza c’è il valore aggiunto degli impasti, che insieme alla farcitura offre un complesso di sensazioni da toccare con mano, perché la pizza si mangia con le mani e si assapora in bocca.
Pizzaioli vecchia scuola e giovani con nuovi stili e tendenze. Ci sarà un ricambio generazionale che rispetterà sempre la tradizione?
La pizza è sempre la stessa dal 1800. La tradizione, stabilizzata e tramandata dagli anni ’60, è fondamentale ed è un nostro tesoro intoccabile e donato. Ma tradizione vuol dire tramandare, e tramandare vuol dire anche evolvere. Le nuove tendenze si avvalgono di tecnologie che lavorano sui forni e sul freddo per gli impasti. È necessaria una buona conoscenza delle farine, una preparazione biotecnologica, una preparazione pratica che raggiunga il livello di “non gommosità”. È il frutto di un lavoro lento e consapevole per mirare al “cornicione perfetto”. I due forni all’entrata mi hanno permesso di stabilizzare la napoletana che fa due passaggi. E poi sono spettacolari da vedere, per gli ospiti che si fermano a guardare.
Il cornicione, le doppie cotture e la filosofia dello staff
E veniamo al cornicione. Oggi tutti, bene o male, lo sanno fare. Perché? Piace ancora? Che resistenza deve raggiungere per essere apprezzato e mangiato?
Il mio motto fu, allora, “Prova il cornicione”. Nella mia zona non lo amavano e fu molto difficile farglielo apprezzare. Poi mi dicevano: “Vado a Napoli e lo mangio, ma qui no”. Il mio cornicione è il punto di arrivo di una ricerca che parte da prove, valutazioni, lavorazioni e impasti calibrati. Il mio cornicione è buono anche freddo. Così mi sono inventato il pentolino che viene portato in tavola verso la fine: un tegamino piccolo e fumante che contiene uno stracotto di pomodoro, ottima materia prima, che i clienti tirano su con il cornicione. Lo chiamano la “ciotolina” e lo chiedono anche all’inizio del pasto. È diventato un po’ il simbolo del mio locale. E mi tiene con i piedi per terra ricordandomi, sempre, da dove sono partito.
Ecco perché i tuoi cornicioni non tornano indietro…
Se il cameriere se lo dimentica, il cliente lo chiede perché ha imparato a giocare con le mani, con sapori e consistenze. Vuole la verità che vede, ogni giorno, sui nostri social. Le nostre pizze sono così come appaiono. I social bruciano tutto in un attimo. Noi vogliamo essere diversi. Li utilizziamo molto ma con lealtà.

Una delle pizze di Alberto Farina
Tu sei un sostenitore della biotecnologia e dello studio di farine diverse per impasti diversi. Lo scopo?
Dare alla pizza nuovi traguardi del gusto, che uniti alle farciture sempre più curate nella scelta degli ingredienti freschi, locali e stagionali ma che provengono anche da altre regioni d’Italia - che conosco e apprezzo nei loro artigiani - rendono il morso e la masticazione un’esperienza gastronomica sempre nuova.
E le doppie cotture? Hai fatto un video di ciò che spiega passaggi e motivi…
Voglio tornare alla croccantezza. Da me il 90% delle pizze sono di ispirazione napoletana, ma era necessario dare qualcosa di più. La doppia cottura, prima fritta a “pelo d’olio” al 75%, poi freddata, condita e finita in forno, ci dà una gestione più comoda dei tempi e un prodotto nuovo da gustare. Non è gommosa, non si attacca ai denti. Prendi ad esempio la Pizza a Padellino: è croccante fuori e soffice dentro e ci permette di giocare al meglio con i topping. Insomma, sono pizze anche più belle.
Da tempo ormai la pizza è sempre più protagonista in eventi importanti…
Molto radioso a livello alto, non di costo - che deve essere contenuto e accessibile - ma di notorietà. Non ci sarà più una Margherita di bassa lega e le cene a 4 mani saranno l’occasione per arricchire la cucina con un’altra parte della medaglia gastronomica importante che non si può più ignorare. Ben vengano eventi, incontri e occasioni di confronto popolari ma sempre all’insegna della qualità.
Staff, formazione e pizze del cuore
Nelle nostre due visite… il segreto?
In alta stagione, fra cucina/pizzeria e sala siamo una trentina. Li alterno. Così in sala sanno che si fa di qua e di qua sanno che si fa di là. Sono tutti muniti di cuffietta radio, in modo che alle richieste più difficili chiedono e comunicano in tempo reale. La sala è a conoscenza di ogni dettaglio e preparatissima sulla carta dei vini (molto ben fornita fra locali, nazionali e internazionali). A fine serata ci riuniamo per stappare un nuovo vino in carta e assaggiare un nuovo spicchio di pizza. Insieme poi si ragiona su come cambiare certe procedure e sulle criticità. Sono molto disponibile ad ascoltare e prendere consigli. Credo nella meritocrazia. Ben venga chi sa prendersi responsabilità più grandi: da me sarà ricompensato, sempre.
Dove si formano, oggi, i giovani pizzaioli?
Ci sono delle scuole di formazione, ma bisogna fare molta attenzione a selezionare quelle serie. Online c’è un’overdose di offerta, spesso di poca qualità. La bottega e la buona volontà, lo studio e la pazienza sono le armi vincenti. Purtroppo gli istituti alberghieri non sono più in grado di formare professionisti. Il livello è mediocre. Scrivete pure che non mi rivolgo più a loro da tempo.
“ Voglio dare alla pizza nuovi traguardi del gusto ”
Alberto Farina
Pizzaiolo
In conclusione, quali sono le tue pizze del cuore?
La prima, universale, ben fatta: napoletana o anche croccante, quella con le alici. Poi adoro le mie, tutte, al Padellino, e la “Royal Alberto”, che si legge con l’accento sulla “O’”. È la mia “i piedi per terra”: quando stavo cercando la mia strada, gli amici mi ricordavano la bontà di una vecchia creazione londinese, con cicoria ripassata con aglio, olio e peperoncino, guanciale croccante e topping di burrata. Buona pizza a tutti!