Una mole di informazioni che è ormai impossibile rielaborare con i sistemi tradizionali. Eppure sono un vero e proprio tesoro, perché al loro interno hanno un altissimo potenziale che se viene sviscerato è capace di migliorare drasticamente le prestazioni delle aziende, comprese quelle della ristorazione.
I big data sono uno degli aspetti principali della rivoluzione digitale che da qualche anno sta drasticamente cambiando il modo di fare impresa. Dall'arrivo della pandemia anche il comparto della ristorazione e dell'accoglienza ha iniziato a sfruttare queste nuove risorse per evolversi, rimanere quindi al passo coi tempi, aumentando al tempo stesso le possibilità di fare profitto ottimizzando il business. Ma per funzionare i Big data, lo dice la parola stessa, hanno bisogno di un'enorme mole di informazioni che un singolo ristorante o un bar sono comunque in grado di generare? Lo sa bene Giacomo Giacomo Pini, consulente ed esperto di marketing della ristorazione e fondatore di GpStudios.
Secondo l'autore dei volumi "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale", "L’Arte del Breakfast" e "Il marketing territoriale dell'Italia che non ti aspetti. Come vendere i luoghi magici fuori dai circuiti turistici commerciali", anche baristi, ristoratori e albergatori possono usufruire di dell'enorme potenziale tecnologico offerto da questa tecnologia per trarne un cospicuo beneficio economico.
Senza che ne accorgiamo, dalle nostre scelte e azioni derivano moli consistenti di dati eterogenei
Big data e ristorazione: legame imprescindibile
Per il fondatore di GpStudios il legame tra big data e ristorazione è ormai diventato «imprescindibile».
«Ogni giorno, e il più delle volte senza che ne accorgiamo, dalle nostre scelte e dalle nostre azioni derivano moli consistenti di dati eterogenei - ha spiegato l'esperto di marketing della ristorazione - Hanno il grande potenziale di diventare estremamente rilevanti per chi fa impresa per dare una direzione strategica alla gestione di un locale di ristorazione. Recensioni, reazioni, commenti, video e foto condivise sui social, ma anche scontrini emessi, fatture, contapersone. Ognuno di questi può essere trasformato in un dato che, se aggregato ad altre informazioni, organizzato e inserito nel giusto contesto, può portare a facilitare i processi decisionali, rendendoli al contempo più funzionali al raggiungimento di obiettivi ben definiti».
Grazie ai big data è possibile analizzare le comande e rivoluzionare il menu tagliando gli sprechi
Big data e ristorazione: l'utilità dei numeri
Secondo Pini «il corretto utilizzo dei big data, dalla raccolta alla riclassificazione fino alla lettura, permette di rimanere al passo con le nuove esigenze del mercato, di non rimanere indietro rispetto alla concorrenza, ma soprattutto di cogliere ogni possibile nuova opportunità di guadagno. I big data permettono di cogliere connessioni di concetti e dare vita a pensieri e visioni non direttamente esplicite, individuando così diverse possibili strade e disegnando molteplici scenari di sviluppo per un’attività che opera nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità. In altre parole, i big data possono aiutare i ristoratori oggi a rendere il proprio business competitivo, sostenibile e replicabile. E quindi a vincere sul mercato».
L‘analisi dei dati emessi dai pagamenti Pos può far capire dove il cliente sceglie di spendere le sue risorse
Big data e ristorazione: esempi vincenti
Pini spiega come i big data possono rispondere efficamente alle sempre mutevoli esigenze del mercato citando, come esempio, le grandi catene alimentari.
«Un’azienda come Heinz (nota azienda produttrice di salse e condimenti, ndr) per esempio, ha prodotto un ketchup al gusto di cetriolo in salamoia proprio per rispondere alla cosiddetta picklemania (cetrioli sottaceto, cibo icona della Generazione Z, ndr) che sta divagando tra le nuove generazioni - ha ripreso Pini - Poi, format come Old Wild West (nota catena di ristorazione fondata su menu a base di carne alla griglia, ndr) e Pescaria (catena di fastfood specializzata in panini farciti col pesce, ndr) sono la testimonianza reale ed effettiva di come l’uso di assistenti virtuali, app, punti cassa touch-screen e software Erp (conosciuto come pianificazione delle risorse d'impresa, è un programma di gestione che integra tutti i processi aziendali e tutte le funzioni aziendali rilevanti come vendite, acquisti, gestione magazzino, finanza o contabilità, ndr) sia possibile raccogliere sufficienti informazioni per produrre la conoscenza necessaria allo sviluppo del business, alla replicabilità del modello e a un perfetto customer service».
Big data e ristorazione: i numeri del successo
Pini segnala i numeri più evidenti dall'analisi dei quali è più facile trarre profitti.
«È stato condiviso che l’introduzione di un sistema capace di prevedere la domanda e di ottimizzare la gestione del magazzino possa garantire una riduzione degli sprechi alimentari tra sala e cucina di circa un 15%. Questo perché permette un maggiore controllo sullo stoccaggio delle materie prime, che ruotano molto più velocemente, e una migliore lettura del mercato grazie alla precisione del forecasting».
I big data si possono utilizzare anche per analizzare il magazzino di un'attività ristorativa
Big data e ristorazione: come capire i numeri
Pini, a chi afferma che i big data sono troppo difficili da capire e comprendere e si affida solo all'esperienza e a un'attività consolidata negli anni per mandare avanti l'impresa, risponde con due concetti cardine che ama spesso sottolineare.
Referenze video e foto condivise sui social riferite a un determinato locale possono diventare degli efficaci dati aggregati
«Il primo è che l’affermazione “Ho sempre fatto così” costituisce uno dei limiti più grandi che un imprenditore possa darsi - ha spiegato - Il mercato evolve, le regole del gioco cambiano, la concorrenza può diventare sempre più spietata. Basta guardare il caso di Domino’s pizza e del suo fallimento in Italia per capire che anche i più forti possono cedere alle dinamiche di mercato e alle contingenze. Poi, in seconda battuta, c’è una frase che sintetizza l’approccio che i ristoratori dovrebbero avere con i big data: “Nulla è più oggettivo dei numeri, nulla è più soggettivo della visione di chi li legge”. È dall’era dei tempi che un ristoratore che fa bene il proprio lavoro raccoglie big data senza saperlo: guardare l’ospite e percepire dai suoi movimenti e da come parla cosa potrebbe preferire a livello di servizio e di prodotto, il modulare il tono rispetto al come si presentano i clienti che entrano dalla porta di ingresso del locale, i sorrisi in cassa una volta finito il pasto. I big data sono la lineare evoluzione, complice la tecnologia e la digitalizzazione, di un lavoro da sempre fatto dalle persone per le persone con l’obiettivo di portare ristoro attraverso un’esperienza quanto più possibile personalizzata e soddisfacente».
Big data utili anche alle piccole imprese di ristorazione
Per Pini i big data funzionano anche per le imprese più piccole.
Giacomo Pini, fondatore di GpStudios
«Un esempio positivo è un progetto che abbiamo seguito in GpStudios. Si tratta di una pizzeria con servizio al tavolo e da asporto. Grazie all’analisi dei dati raccolti da più fonti, allo studio del sentiment e alla misurazione delle quantità di prodotti venduti per referenza è stato possibile definire la popolarità di ciascuna voce sul menu; da qui ne è conseguita una revisione dell’offerta che ha permesso di eliminare il 36% di referenze in menu, riducendo quindi i costi derivanti dalla troppa varietà della proposta. Inoltre, ricostruendo il menu anche da un punto di vista grafico, è stato possibile riposizionare le referenze più popolari e redditizie sfruttando la teoria dei punti focali, aumentando così le vendite di un 14%. Questo è un esempio lampante di come i big data possono farci aprire gli occhi su quella che è la realtà delle cose e guidarci verso la soluzione più adeguata, quella con risultati certi».