Stellato dal 2018 con il suo ristorante che ha voluto chiamare Casa, lo chef Lorenzo Iozzia è riuscito ad affermare la sua cucina di stampo siciliano nel centro dell’Italia, in un piccolo borgo di origine etrusca come Vitorchiano, in provincia di Viterbo. Abbiamo incontrato lo chef nella non lontana Farnese, in occasione di uno show cooking di cui è stato protagonista e organizzato per l’evento Una Selva di Calici e di Oli, nella Riserva Naturale del Lamone.
Lo chef Lorenzo Iozzia - foto di Paolo Lanzi
Lorenzo Iozzia, dalla Sicilia alla Tuscia per raccontare la sua storia
Attualizzando e un po' adattando i racconti epici sembra in parte un moderno Ulisse, Lorenzo Iozzia, perché la sua storia è stata ed è tuttora un eterno e continuo, seppur metaforico, viaggio fino a casa. Parlando di Lorenzo non si può non parlare della sua Sicilia, quella stessa Sicilia che a centinaia di chilometri da casa ripropone nella sua cucina, cercando di narrare costantemente una storia. La sua. E cercando costantemente, nella lontananza, di mantenersi vicino alla Regione dalla quale proviene.
Lorenzo è uno che ha lasciato la Sicilia all’alba della maggiore età (ci tiene a dirlo: “nato, cresciuto e pasciuto” nella sua terra) per raggiungere il Centro Italia e apprendere qui tutto ciò gli sarebbe servito per la sua carriera. Una carriera che ha avuto il suo culmine, almeno per ora, a fine 2018 con l’assegnazione della Stella Michelin. Un siciliano trapiantato in Tuscia insomma, uno chef che è riuscito a portare la sua gastronomia in un territorio così diverso da quello della sua Lentini, in provincia di Siracusa. Proprio quel territorio in cui, usando direttamente le parole dello chef, il giovane Lorenzo è “cresciuto e pasciuto”, per l’appunto.
Lentini, Siracusa, paese natale dello chef
Un moderno Ulisse, dicevamo, perché come l’eroe greco Iozzia ha sì lasciato la sua terra in un viaggio che l’avrebbe forse rivoluto a casa dopo pochi anni, ma che per lui alla fine (almeno per ora) si è rivelato di sola andata. Un viaggio intrapreso non certo per combattere una guerra bensì per vincere una sfida materializzatasi anche un po’ inconsapevolmente. Quella cioè di affermare la sua cucina, la sua Sicilia, in un luogo dove il mare più vicino dista un’ora e mezza di macchina. A primo impatto, non proprio un territorio che ricorda casa.
Casa Iozzia, la sala - foto di Paolo Lanzi
E se l’eroe narrato da Omero ha viaggiato in mare (altro punto di contatto con Lorenzo) per quasi 10 anni, è da quasi due decenni che Lorenzo è lontano dal suo, di mare, nel mezzo del personale viaggio. Un costante e metaforico, in questo caso, viaggio verso la sua terra. Ogni sera, all’ora del servizio, lo chef nel suo ristorante riaccende i fari della sua Sicilia, rivivendola ogni volta, riassaporandola ogni volta, tornandoci ogni volta attraverso un altro tipo di viaggio, sensoriale e gustativo, e proponendola ai suoi clienti che, per una sera almeno, sono ospiti e passeggeri di questo ritorno verso i lidi di casa.
E non a caso, Casa Iozzia, forse sta a significare un po’ anche questo. Casa che non sia solo sinonimo di accoglienza per il cliente, ma Casa anche (e soprattutto?) per lo chef, che può tornarci sull’onda dei sapori della sua terra. La sua personale Itaca, riabbracciata seppur metaforicamente ogni volta si accendono le luci e i fuochi della cucina.
Lorenzo Iozzia: «Stella Michelin? Onore e pressione»
Lorenzo, sei ormai stellato dal 2018. A circa un mese dalla presentazione della nuova Guida Michelin, si sente la pressione della conferma della stella?
Si sente molto. Ogni anno c’è pressione e anche se tu sei convinto di essere cresciuto sotto alcuni aspetti, vedendo comunque il cliente che esce dal ristorante sempre soddisfatto, c’è sempre il dubbio, la preoccupazione della conferma o meno della Stella. Ogni anno la riconferma è stata una festa e più passa il tempo e più c’è un po’ di timore, perché o si va avanti o si va indietro. In ogni edizione tutto può succedere: di esempi, in passato, ce ne sono stati dopotutto e anche se tu pensi di far bene, tutto è sempre possibile.
Lo chef Lorenzo Iozzia - foto di Paolo Lanzi
Con la Stella e con il passare degli anni l’asticella si alza sempre di più. Tra maturazione personale, cambi menu, conferme o cambiamenti come si tiene alto il livello generale?
Tralasciando il discorso legato alle tecniche o ai piatti, per me la crescita sta nel concetto di racconto. Oggi io propongo piatti che davvero raccontano la mia infanzia, la giovinezza, la baia in cui sono cresciuto. Per me sta tutto qua, nell’espressione di sé stessi, e io cerco di perseguire questo obiettivo perché così facendo riesci anche ad esprimerti meglio.
La sala del ristorante - foto di Paolo Lanzi
Dopo la Stella viene un po’ la pazza idea legata alla seconda o si lavora più per confermare la prima, e per la seconda si vedrà?
Credo che bisogna sempre avere la consapevolezza di quale sia il livello dei ristoranti con due stelle in Italia. Un livello che si raggiunge con una grande squadra accanto, perché uno chef può essere bravo quanto vuole, ma se non ha un team adeguato a supportarlo e seguirlo non farà molta strada. Se si ha una brigata che crede in questo allora lo chef, con la giusta maturità, può arrivare anche a traguardi più elevati, ma non bisogna puntarci in modo fine a sé stesso. Io prima della Stella ero già segnalato in Michelin dal 2012, poi nel 2018 quando il riconoscimento è arrivato per me è stato davvero l’anno della maturità. È stato effettivamente l’anno in cui mi sono sentito pronto. Io così come la mia brigata.
«Cucina siciliana in Tuscia? Il segreto vincente»
Da cosa è nata l’idea di proporre cucina siciliana di mare in un luogo così diverso dal tuo di origine?
Io metto sul piatto cose che mi piacciono e cose che parlano di me e della mia storia. Quando tu sei convinto e ti piace ciò che proponi il risultato è quasi automatico. Il concetto di fare pesce in questo territorio è stata forse una delle armi giuste per potermi distinguere. E, tornando al discorso del racconto di sé stessi, per me essendo cresciuto in una località di mare non sarebbe stato veritiero proporre una cucina lontana da questa identità. Quello che sei, secondo me, va raccontato, e la gente viene al ristorante per ascoltare quel racconto. Quindi è come se il cliente già sia predisposto verso quel tipo di proposta.
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Conferme Michelin a parte, se dovessi augurarti qualcosa per il futuro quale sarebbe?
Quella di trovare la giusta serenità, di lavorare con persone di cuore, carattere, consapevoli del mestiere e consapevoli che è uno dei lavori più belli del mondo, per quanto sia stato in parte logorato da trasmissioni tv e social che lo hanno quasi snaturato. Io spero di trovare persone alle quali piaccia fare questo mestiere nella sua essenza più vera, autentica e reale. Il gruppo giusto per essere più forti di prima.