Nella gestione della pandemia la “politica“ ha dimostrato una totale non conoscenza del valore economico del comparto della ristorazione, il che si traduce in una scarsa considerazione non solo da parte della classe politica, ma anche per l’opinione pubblica. Ci sono almeno due fattori inspiegabili:
- l’incapacità del Governo e dei membri del Comitato scientifico a focalizzare e individuare gli ambiti di una attività ancora oggi governata da un regio decreto del 1926;
- la mancanza di una giusta attenzione, nonostante l’importanza economica e lo sviluppo registrato negli ultimi 10 anni e una identità riconosciuta nell’ambito dell’ospitalità e del più ampio “ made in Italy”.
Da WIKIPEDIA“Probabilmente il termine “ tecnico amministrativo “ di pubblico esercizio, con cui ricordiamo, la nuova legge italiana di pubblica sicurezza fu raccolta nella forma del testo unicocon il R.D. 6 novembre 1926 n. 1848, e il testo unico venne approvato con regio decreto 18 giugno 1931 n. 773. Con il regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 venne emanato il relativo regolamento di esecuzione (Regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza)“
Ristoranti vessati dai decreti
Decreti troppo restrittivi per i ristorantiE che dire della conoscenza reale di come si svolge una
attività di somministrazione, la gestione degli spazi e la presenza degli ospiti all’interno di una attività di
ristorazione? Basterebbe pensare che un
ristorante, una pizzeria o un pub con 50 posti a sedere, in seguito ai vari
Dcpm hanno limitato la presenza fisica con le distanze e la
diminuzione dei posti a sedere: di fatto nella pratica i 50 posti a sedere sono diventati 25/30. Ma per evitare i rischi di assembramento sarebbe stato molto meglio far aprire i pubblici esercizi la sera e non a pranzo: una decisione che dimostra una vera incapacità nel valutare i pro e i contro della situazione. Gestire la sicurezza per il Covid in un ristorante o una
pizzeria era ed è in realtà una cosa facile da fare.
In Italia ci sono oltre 300mila pubblici esercizi, a cui si aggiungono
mense aziendali sia interne che esterne alle aziende, gli alberghi, gli agriturismi, un mondo parallelo di eventi, catering e
banqueting, eventi fieristici e tutto il mondo della notte: diciamo grosso modo locali per almeno 2 milioni di
addetti. E che dire di tutti fornitori e della filiera
agroalimentare? Parliamo di danni enormi. Basti solo pensare che un piccolo comparto collaterale, come quello del Vending/distributori automatici, con oltre 3mila aziende in Italia e 800mila distributori sparsi nelle aziende, nelle scuole, negli uffici e negli impianti sportivi, grazie allo smart working, secondo
Massimo Trapletti di Confida/Confcommercio, ha perso oltre 16.000.000 di euro a settimana.
I segnali di ripresa ingannanoPensiamo a chi ha perso le forniture per oltre 300mila pubblici esercizi, dalle cantine ai produttori di
formaggio o le
lavanderie industriali. Facile fare un calcolo, diciamo un
caffè al giorno di auto-consumo? Diciamo una bottiglia d’
acqua giornaliera per ognuno? 100 gr di pasta e altrettanto di pane? Il detersivo per lavare le tazzine di caffè e lo zucchero, e i tovagliolini di carta? Già basta questa piccola analisi solo sull’autoconsumo degli addetti del settore per capire la crisi economica di tutta la filiera dell’
ospitalità.
Mentre, purtroppo assistiamo ad uno
show quasi giornaliero in cui l’informazione, ci racconta di come il settore
food, incredibilmente abbia avuto una crescita di oltre il 20% nei
negozi e nella grande distribuzione durante i mesi di
lockdown, quasi a giustificare che nonostante tutto una parte del
commercio si sia salvato, dimenticandosi di sottolineare che in realtà l’incremento è uno spostamento di consumi dal settore dell’
Horeca, chiuso, al retail tradizionale. Di fatto non c’è nessun incremento di consumo, la gente ha solo consumato in casa quello che normalmente consumava nei pubblici esercizi, che viene avvalorato dalle comunicazioni dell’Istituto di ricerca ISMEA che riportiamo di seguito. Il lockdown dei ristoranti costerà 10 miliardi di perdite alla filiera agroalimentare. I consumi fuori casa valgono un terzo della spesa alimentare degli italiani.
Un danno da 10 miliardi di euroSecondo
Filiera Italia il danno supererà i
10 miliardi e riguarderà tutti i settori. Le restrizioni previste dal nuovo Dpcm del Governo sugli orari di apertura di bar e ristoranti non potranno non ricadere a catena su tutta la filiera agroalimentare, che nei mesi scorsi ha potuto constatare come i pasti fuori casa pesino per oltre un terzo del business totale del settore. Perdite che non sono state compensate se non in parte dall’aumento di vendite nei negozi, senza considerare che alcune realtà produttive lavorano soprattutto per la
ristorazione, quindi risultano molto più colpite di altre (e spesso si tratta di lavorazioni ad alto valore aggiunto, ad esempio molto colpiti sono i
vini di fascia alta). Appare chiaro tutta la gravità economica del comparto
Horeca, ci sono interi comparti dall’ittico, ai formaggi artigianali, ai vini di qualità, alle
panetterieche riforniscono i ristoranti, all’acqua minerale in vetro consumata solo nei pubblici esercizi, l’elenco sarebbe molto lungo, basterebbe applicare gli stessi protocolli di sicurezza utilizzati per esempio nei supermercati per far ripartire tante piccole realtà, dai bar alle pizzerie, ai ristoranti, non si capisce come e perché non ci sia questa volontà.
Anche la Fipe/Confcommercio, che rappresenta sindacalmente la quasi totalità del settore, insieme alla Fiepet/Confesercenti, hanno espresso e denunciato la gravità e la difficoltà di tutto il comparto e questo nonostante alcuni bonus, tipo quelli sulle vacanze o quelli incentivati dalla Ministro Teresa Bellanova sul consumo di prodotti italiani, ma evidentemente con le attività chiuse non hanno portato nessun vantaggio reale alla nostra filiera. Noi aggiungiamo che un Paese come il nostro, che ha visto negli ultimi anni una crescita considerevole del fuori casa, di un riconoscimento qualitativo globale dei nostri asset enogastronomici con evidenti ricadute sull’agroalimentare e sul settore enologico, stia perdendo quote di fatturato, che con la chiusura di centinaia di migliaia di attività saranno difficilmente recuperabili, con evidenti problemi sull’occupazione. Senza dimenticare la crisi che inevitabilmente colpirà anche il settore scolastico delle scuole alberghiere, dove migliaia di allievi cuochi e camerieri non troveranno sbocchi lavorativi in un settore in crisi e con migliaia di addetti alla ricerca di una nuova occupazione.