Alessandro Pipero, 44 anni, è tra i fondatori di Noi di Sala, l’associazione che dal 2012 persegue l’obiettivo di valorizzare l’identità della sala e del servizio. È il titolare di Pipero Roma, una stella Michelin.
La sua è una carriera nata in modo consapevole. «Da ragazzino - racconta - l’unica cosa che mi piaceva fare era mangiare. E l’alberghiero è stata una strada obbligata. Uno stage in un hotel di via Veneto, a Roma, è stato poi illuminante. Ho capito come girava il mondo e cosa mi piaceva: la sala, l’accoglienza, il vino».
Cosa significa essere un professionista in questo settore?Questa non è una professione, è uno stile di vita. Una forma mentis che non ti abbandona mai. Anche quando sei in vacanza, mangiar fuori è lavorare. Si sta sempre con le antenne ritte: si osserva, si controlla, si impara.
Quali sono stati gli elementi su cui ha investito per il futuro?Sicuramente l’apprendimento delle lingue, la conoscenza di vino e cucina e l’assorbimento del senso dell’accoglienza. Per questo ho fatto diverse esperienze in alberghi di fascia alta e mi sono fermato sei anni nel ristorante Antonello Colonna. Poi ho spiccato il volo.
E cosa è successo?Nel 2009 ho aperto il mio ristorante Pipero, che da un paio d’anni ha modificato l’insegna in Pipero Roma. In ogni caso non mi sono voluto nascondere dietro un dito. Gli ho dato il mio nome, ci ho messo la faccia. Una scelta che è stata uno stimolo a muovermi sempre al meglio. Chi ha qualcosa da ridire sull’accoglienza o sulla cucina non se la prende con un marchio di fantasia, ma va diretto ad Alessandro Pipero. Questo, naturalmente, anche in positivo.
Che cos’è il lusso?Non è di sicuro l’arredo, né l’oggettistica, che sono comunque elementi importanti. Il vero lusso è una ricotta calda fatta a regola d’arte, l’empatia con la clientela, a cui do subito del tu. Il vero lusso è lo stare bene. Pipero Roma propone una cucina gourmet, è un ristorante stellato, ma qui non c’è l’obbligo della giacca. Non è ammissibile costringere una persona a indossarla quando deve farlo già per tutta la settimana. Il lusso è una dimensione dell’anima, è intelligenza.
Un’apertura notevole verso la clientela. Anche nei confronti di quella più spigolosa?Intanto, per non saper né leggere né scrivere, tra la lettura delle carte e l’ordinazione offriamo subito una flûte di Champagne. Rasserena gli animi, rilassa e riempie i tempi morti prima della scelta dei piatti e del vino. Se poi si siede al tuo tavolo chi “ha sbagliato ristorante” o non ha capito dove si trova facciamo di tutto per accontentarlo, consapevoli che il cliente insoddisfatto “rovina” tre famiglie: la sua, la mia e quella del cuoco.
La gestione della sala.Il lavoro in sala è difficile ed estremamente delicato. Si è in prima linea, sotto i riflettori. Lo starnuto di un cuoco non lo vede e non lo sente nessuno, il nostro è invalidante. In cucina sei riparato. Allo stesso modo, un errore nell’elaborazione di una ricetta può essere perdonato, quello in sala mai.
La squadra, quindi, è un asse portante.È fondamentale. Passiamo più tempo noi insieme che con le rispettive famiglie. In sala siamo 6 e in totale Pipero Roma conta 15 professionisti. C’è da dire però che il personale è difficile da scegliere e da amalgamare. La squadra si fa, ma prima del curriculum mi informo sulla vita privata, su cosa si fa nel giorno di riposo. Voglio conoscere le persone che stanno al mio fianco e si rapportano agli ospiti. A questo proposito, la psicologia è forse uno degli elementi più importanti di questa professione. Dovrebbe essere una materia di studio nelle scuole alberghiere. Almeno tre ore al giorno!
UNA FILOSOFIA SCHIETTAUna citazione di Alessandro Pipero che ne tratteggia l’identikit: «Odio il finto buon senso, le regole obbligate. A volte professionalità fa rima con freddezza. Non amo i menu senza prezzo per le donne o per gli ospiti, sono stanco di servire a destra, sinistra, prima uno e poi un altro... io faccio a modo mio, ho solo un obiettivo: far ridere il cliente. Buone calorie!».
Per informazioni:
www.piperoroma.it