Ripartire con oneri o ... attendere? Questo il dilemma di bar e ristoranti
La restaurant manager Marina Diani pone questa "provocazione" di fronte all'assenza di indicazioni precise delle istituzioni su "come" aprire. Italia a Tavola da giorni indica "cosa" si dovrebbe fare . I suggerimenti per aprire in sicurezza costuiranno una breve guida nell'edizione digitale del nostro mensile
16 aprile 2020 | 09:15
di Alberto Lupini
E a tutto ciò si aggiunge la mancanza di indicazioni o regole di comportamento ufficiali. Un vuoto che Italia a Tavola da giorni sta riempiendo con la consultazione di esperti e dando indicazioni di possibili soluzioni sulla base di quanto fatto in altri Paesi (Cina, Corea del sud e Twain) o tenendo conto delle prescrizioni già date per altri comparti. È il caso delle rilevazioni della temperatura corporea o del distanziamento sociale in tutti i luoghi di lavoro. Pratiche fondamentali che non potranno non essere rese più cogenti in bar o ristoranti dove, non dimentichiamolo mai, il cliente “non può” usare la mascherina ….
Su queste basi da giorni pubblichiamo servizi su ciò che si potrebbe o si dovrà fare per riaprire. Stiamo cercando di dare cioè un senso al “cosa” fare per poter riaprire ed essere tranquilli. E avere magari la certezza di potere restare sul mercato visto che le previsioni sono che fra il 10% e il 20% dei locali non riaprirà e nei mesi successivi, soprattutto se perdurerà la crisi economica, molti locali potrebbero non reggere la concorrenza e quindi dovranno magari richiudere i battenti.
I suggerimenti che abbiamo dato hanno un valore per il periodo transitorio, dalla riapertura a quando si considererà finita la pandemia (fine 2021?), dopo di che speriamo di poter tornare tutti alla normalità (magari facendo tesoro delle innovazioni apportate). Nessuno è ovviamente obbligato. Magari qualcuno pensa che basterà mettere un po’ di igienizzante sui tavoli e avere la mascherina. Noi onestamente crediamo che i locali saranno giudicati anche, o e forse soprattutto, da quanto sapranno dare come garanzie di sicurezza. Nessun cliente avrà voglia di rischiare di tornare in quarantena, o peggio, di entrare in ospedale.
E alcuni ristoratori ci hanno già detto che ritengono esagerati alcuni consigli. Noi speriamo che sia così, ma visto che siamo in Italia dove una burocrazia spesso incapace fissa regole su regole per complicarci la vita, riteniamo nostro dovere dare qauclhe indicazione di massima.
L’alternativa in ogni caso c’è, ed è non riaprire ed aspettare che passi tutta la pandemia. In modo provocatoria la pone una delle più qualificate restaurant manager di Milano, Marina Diani del Globe, con una lettera che di seguito pubblichiamo. Aggiungiamo solo che quelli che potrebbero sembrare pochi suggerimenti contenuti nell’articolo citato dalla direttrice in realtà erano solo un’aggiunta ad un contesto un po’ particolare, ed erano in ogni caso la sintesi di molti altri servizi dedicati proprio alla riapertura. Italia a tavola sta asvolgendo un’ampia disanima della situazione e a brevissimo pubblicheremo molti di questi servizi dell’edizione digitale del nostro mensile che, nei fatti, sarà la prima sintetica guida su cosa si potrebbe fare per riaprire in sicurezza e garantire così una ripartenza positiva.
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Buongiorno, leggo spesso la vostra newsletter e oggi in particolare ho letto l'articolo on line sul "ridimensionamento" del portale TRIP ADVISOR. Non vorrei puntare sulle opinioni dei giornalisti nel merito, più o meno condivisibili, ma invece su quello che si dice nel fondo dell'articolo, ossia su come i ristoranti (o comunque tutto il settore) dovranno riaprire.
Mi sembra che l'argomento venga trattato con superficialità, che non si voglia (oppure non si sia in grado - ma non lo voglio pensare) approfondire.
È plausibile che un locale, sia esso bar o ristorante, possa servire i clienti in guanti e mascherina?
È plausibile che dove prima si mettevano 30 persone se ne possano mettere meno della metà?
È plausibile che si debbano affrontare code frustranti per poter fare colazione al bar la mattina?
È plausibile che si possa misurare la temperatura a tutti prima di entrare e far indossare guanti o distribuire gel disinfettante a chi entra in un locale prima di fare qualsiasi cosa?
Non è disfattismo ma è realtà; possiamo affrontare tutto (chi può ovviamente, perché la metà degli esercizi non ha gli spazi o l'organizzazione per potersi sostenere e quindi non può nemmeno pensare di aprire) ma non i costi fissi che rimangono purtroppo invariati (anzi, si aggiungono i costi esorbitanti dei DPI) e nemmeno possiamo mantenere il livello occupazionale.
Siamo disposti ad aprire in queste condizioni? Credo di no.
Tanti ristoranti si stanno attrezzando con l'e-commerce ma non tutti possono o hanno soldi da investire in questo momento (ma è comunque un palliativo perché l'affitto non si paga con questo).
E poi, anche licenziare per sopravvivere non sarà facile, perché si dovrà passare dalle forche caudine dei sindacati.
Se pensiamo agli ostacoli di tipo burocratico (parliamo pure del finanziamento alle aziende tanto sbandierato che di fatto servirebbe a sanare debiti fatti - ma che in realtà non si può utilizzare per questo scopo), di tipo economico e anche di gestione operativa del tutto (lasciando però da parte la sfera emozionale - da eliminare ora - ossia ciò che il nostro mondo rappresenta, l'esperienza umana oltre che conviviale che si vive andando a pranzo o cena o a "festeggiare" un'occasione o anche a fare colazione la mattina parlando del più e del meno con il nostro "amico barista") la risposta corretta è: STIAMO CHIUSI, sì, stiamo chiusi fino a quando non avremo più paura di chi ci può contagiare, fino a quando non si svuotano o
quasi gli ospedali, fino a quando le persone avranno la voglia di ritornare a cena fuori senza fare code o senza avere l'impressione di andare a fare una visita in clinica.
Qual è l'appeal di una situazione come questa?
Chi uscirà?
Tra l'altro le possibilità economiche si sono ridotte di tanto e quindi si rinuncerà al superfluo, soprattutto se ci impone determinate regole che accettiamo magari per la spesa (proprio perché non si può farne a meno), ma non per queste cose.
Tutto questo si traduce in una impossibilità di sostenere i costi, come detto, e quindi tanti chiuderanno a posteriori.
Vogliamo questo? Pensiamoci bene.
La ricetta non c'è (o meglio la ricetta è un farmaco o un vaccino) ma un supporto ulteriore per la categoria è necessario, facciamolo capire e trasmettiamo queste riflessioni a chi di dovere (se fate un sondaggio vedrete che non sono l'unica a fare questo pensiero) perché nessuno ancora ci ha pensato (non ho sentito nessuno parlare in questi termini) , dimostrando lo scollamento tra chi è operativo e chi invece si limita a dare direttive senza pensare alle conseguenze reali.
Grazie
Marina Diani
Dir. Restaurant Globe (Milano)
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Alberto Lupini