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Tuffo nella cucina di Procida: il vero gusto della semplicità

Qui il cibo, prima ancora che essere merce, è identità delle persone e racconta storie di gente di mare: dai limoni, simbolo dell'isola, al pescato, dai conigli alle melanzane e ai carciofi dei piccoli orti

 
03 marzo 2022 | 15:28

Tuffo nella cucina di Procida: il vero gusto della semplicità

Qui il cibo, prima ancora che essere merce, è identità delle persone e racconta storie di gente di mare: dai limoni, simbolo dell'isola, al pescato, dai conigli alle melanzane e ai carciofi dei piccoli orti

03 marzo 2022 | 15:28
 

I quattro elementi costitutivi del mondo, così come Talete li raccontò, acqua, aria, fuoco e terra, a Procida sono tutti e quattro evidenti e tutti e quattro apportatori di caratteristiche così spiccate, da connotare quest’isola fatata unica al mondo. L’elemento terra è il fazzoletto che emerge dall’elemento acqua. L’elemento aria è il profumo inebriante e al contempo carezzevole del salmastro marino. L’elemento fuoco è proprio lì vicino, nella ben più grande Ischia, con le sue sopite bocche vulcaniche. La compresenza di questi elementi connota la tipicità dei cibi presenti.

La magia di una cena a Procida Tuffo nella cucina di Procida: il vero gusto della semplicità

La magia di una cena a Procida


I raccolti nelle parule: melenzane e carciofi

A partire dai prodotti degli orti. Orti minuscoli, sovente in sembianza di retro-giardini, qui chiamati “parule” delle variopinte casette che colorano in allegria tutta l’isola. Tra tutti, per intensità di sapori ed eclettismo nelle sapienti trasformazioni in cucina, i carciofi e le melanzane.


I carciofi, oltre che freschi, possono essere conservati sott’olio e quindi consumati durante tutto l’anno. Particolarmente pregevole un primo piatto della tradizione isolana: paccheri con i carciofi.


Le melanzane alla procidana differiscono dalla classica parmigiana napoletana per l’assenza del formaggio a pasta filata, altrove componente del ripieno. I ritmi lenti della vita isolana, sovente scandita dalle calate della pesca e dalle uscite dei pescherecci, determinano una modalità di consumo di queste melanzane che ha suo apice nel giorno dopo!


Pesce dalle barche al piatto

Dall’elemento acqua, qui parliamo ovviamente del mare del Golfo di Napoli, traiamo sostentamento e gioie di gusto dal pescato giornaliero.


A Procida, da sempre il consumo del pesce è frutto di una naturale filiera corta: dal peschereccio al consumatore. E da sempre, qui si rispetta, non potrebbe essere altrimenti, la stagionalità del pescato. Quasi assenti nel consumo isolano le troppo famose e ambite spigole, qui troviamo, soprattutto nei mesi caldi, le alici. E poi i calamari, le cicarelle, i merluzzi e i polpi. In stagione sua il tonno.


Frittura di paranza e cicarelle

Il piatto di pesce dei procidani? La frittura di paranza: friggere quei pesciolini che rimangono impigliati nelle reti e divorarli, ben fritti e ben caldi, senza neanche badare a decapitarli e a diliscarli: delizia assoluta! Le succitate cicarelle, altrove, in quel mondo che non è Procida, sono canocchie. Nell’isola di Graziella vengono ghiottamente preparate con sugo di pomodoro, aglio, olio e peperoncino.

 


L’isola dei… conigli

E a fronte di perdurante impeto dei marosi? Quando i pescherecci sono costretti a stazionare in porto nell’attesa che il calante moto ondoso consenta di riprendere il mare? Nessun timore di patire la fame! A Procida ci sono i conigli. Saperli ben cucinare e farli diventare appetitoso secondo di carne è prerogativa dei bravi procidani. Ci ricordiamo vero, delle melanzane alla procidana? Ecco, esse fungono da appetitoso contorno del coniglio!

 


Limone e vino

Dimentichiamo nulla?! Eh, sembra proprio di sì. Stiamo dimenticando il simbolo stesso di Procida, quel limone procidano che è frutto pienamente inteso della combinazione dei quattro elementi.

 


Il limone di Procida è grande e dolce. Oltre che onnipresente (ma non stoltamente ingombrante) nelle pietanze di pesce, il limone procidano serve per fare il limoncello e la squisita crema al limone.


E il vino procidano? Vigneti ben pochi, ovviamente. E quei pochi hanno vitigno a bacca bianca che è la Falanghina e vitigno a bacca nera che è l’Aglianico.


Facili e semplici gli abbinamenti. Scontato l’abbinamento pesce Falanghina e carne Aglianico. Ma… se a quella saporita frittura di paranza abbinassimo il rosso? Da provare! Forse fu Procida a ispirare Talete!

 

La lingua di bue, il dolce tipico

Una parentesi a parte va dedicata al dolce tipico dell’isola: la Lingua di Procida. Si tratta di una deliziosa pasta sfoglia farcita con crema a limone procidano. Esistono, però, alcune varianti, come quelle con la crema pasticciera o il cioccolato, anche se la classica è sicuramente quella preferita da isolani e turisti. I limoni di Procida, infatti, sono tra i migliori della Campania, insieme a quelli di Sorrento. La lingua di Procida è sicuramente ottima per la prima colazione, ma si usa mangiarla anche durante le feste e viene servita quasi sempre calda, perché ancora più buona e fragrante. Il colore dorato e il profumo della crema non potranno che farvi cadere in tentazione.
Viene chiamato così per la forma che ricorda la lingua del grosso animale o in maniera più ironica “Lingua di suocera”. Questo secondo nome, forse, per opera di qualche nuora o di qualche genero che non vedeva troppo di buon occhio il proprio parente acquisito.

La lingua di Procida di Assafà Tuffo nella cucina di Procida: il vero gusto della semplicità

La lingua di Procida di Assafà


Storia della Lingua di bue

Dolce tipico di Procida, si dice che sia stata inventata da Pasquale Mazziotti. Il pasticciere napoletano, trasferitosi a Procida negli anni cinquanta del ’900, lanciò la sua pasticceria proponendo un nuovo prodotto, appunto la Lingua. Questo buonissimo dolce è riuscito a cambiare il modo in cui la gente procidana consuma la colazione, andando ad abbandonare il famoso cornetto. Il nome del bar pasticceria preso in gestione dal pasticcere Mazziotti prima che desse vita alle lingue di Procida si chiamava “O cafè re Barone”. Solo più tardi cambiò nome, diventando quello che oggi è conosciuto come il Bar Roma, il bar pasticceria più antico dell’isola.


Dove mangiarla

Ora ci si chiede, dov’è possibile mangiare la Lingua di Bue? Beh, a Procida tutte le pasticcerie e alcuni ristoranti preparano questa pietanza, ma le più buone in assoluto sono quelle del Bar Roma (il più antico dell’isola) e del Bar Capriccio. Il primo si trova nel centro storico dell’isola e, ogni giorno, sforna centinaia di dolci. Il secondo che si trova al porto all’altezza degli imbarchi, è frequentatissimo dai tanti pendolari e turisti che, non appena sbarcati, si fiondano a provare il dolce tipico procidano. Da non perdere anche la Lingua Assafà che grazie anche al suo food truck fa assaggiare i cibi della tradizione isolana e campana.


La ricetta

Il gustoso dolce, come raccontato in precedenza, è composto da due strati di pasta sfoglia, ripiene di gustosa crema pasticcera aromatizzata al limone e ricoperte con dello zucchero che le rende croccanti. La versione storica prevede l’utilizzo dei limoni procidani, ma nelle pasticcerie e nei bar troviamo anche lingue di Procida con crema pasticcera o al cioccolato. Sono in molte le persone che provano a replicare questo dolce nella propria abitazione. Ecco la ricetta:


Ingredienti
500 g pasta sfoglia (2 rotoli rettangolari), 3 tuorli, 120 g zucchero, 400 ml latte, 50 g farina, scorza grattugiata di 1 limone, 1 tuorlo, 1 albume, zucchero semolato q b.


Procedimento
In un pentolino lavorate tuorli con lo zucchero, aggiungete le bucce di limone e la farina, e fateli addensare a fuoco lento rigirando di continuo fino ad addensamento; spegnere e versare in un recipiente coprendola con una pellicola.


Stendere la pasta sfoglia, praticando dei forellini al fine che non rigonfi durante la cottura; formate degli ovali lunghi 15 cm e larghi 8 cm. Con un pennellino stendere l’albume tutto intorno al bordo, servirà da collante, su metà degli ovali, stendere la crema lasciando libero il bordo; sovrapporre l’altra metà e sigillare bene.


Spennellate i bordi con l’albume e adagiateci sopra la seconda sfoglia e procedete fino a completare tutte le lingue. Infine, spennellatele con il tuorlo e un po’ di latte e spolverate la superficie con lo zucchero.


Cuocete in forno già caldo a 200° per 20 minuti, o fino a doratura. Una volta pronte lasciatele intiepidire e servite.

 

 

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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