Cos'è il lusso? La risposta nel menu di Giuseppe Stazione per il ristorante Il Glicine

Far sentire gli ospiti a casa propria è la mission dell'Hotel Santa Caterina di Amalfi. Per riuscirci, lo staff punta tutto su accoglienza di prim'ordine e un'offerta gastronomica inclusiva fatta da incontri di sapori

13 settembre 2021 | 12:38
di Vincenzo D’Antonio

Cinque stelle L. Quella L sta per lusso. È codice ben noto e condiviso. Quindi, va bene. Siamo al Santa Caterina di Amalfi: cinque stelle L. L sta per lusso, lo abbiamo appena detto. Ma dove sta il lusso all’Hotel Santa Caterina di Amalfi? Bella domanda. Una risposta, suvvia dovremo pur darla.

 

 

All'Hotel Santa Caterina di Amalfi, il cliente lo conquistano già dal check-in

Si arriva al mattino. Perché? Troppo lungo spiegarlo. Insomma, fatto è che si arriva al mattino. Le persone alla reception sono indaffarate, senza stress alcuno e con garbo ammirevole, a fare celere quanto inappuntabile, a beneficio dell’ospite in uscita, check-out. Nel piazzale antistante pronte le auto per i servizi di navetta. Il servizio reso al cliente non si esaurisce con il check-out, bensì va ben oltre. Dunque, si diceva, è slot di check-out e ci si presenta per il check-in. Ci si dovrebbe scusare per l’inopportunità dello slot, ma non gliela si fa in tempo. Quel sorriso che è gentilezza spontanea e non algida cortesia, quella premura di mettere subito l’ospite a suo agio, che è desiderio di adempiere a ruolo concepito come mission piuttosto che a task da svolgere come da mansionario, e arrivano le scuse perché ... la camera non è ancora pronta. Ma sono le 11 del mattino!

La valigia che scompare, per poi ritrovarla in camera. Il tavolino in terrazza a disposizione e ... «Cosa desidera?». Inutile aggiungere che si è andati ben oltre l’esaudimento del desiderio di dissetarsi. Coccole in terrazza. E poi il direttore che comunica che la camera è pronta. È pronta con coccole di benvenuto: frutta fresca, canditi di agrumi ricoperti al cioccolato. Si fa sera. Quando il sole scompare, Amalfi si cambia d’abito e, complice la luna, indossa il vestito lamé.

 

Cena sulla terrazza del ristoranti Il Glicine. Cucina lo chef Giuseppe Stanzione

Si cena in terrazza, al ristorante Il Glicine. Al governo della valorosa brigata lo chef Giuseppe Stanzione. Si viene accompagnati al tavolo. Di fronte, in lontananza i declivi collinari che preannunciano il fatato Cilento. Vicina, ponendo ad avamposto il suo vivace porticciolo; la gemma costiera, della costiera eponima: Amalfi, la valorosa Repubblica Marinara. Una targa di marmo, tutto svela di Amalfi: "Il giorno del giudizio, per gli amalfitani che andranno in paradiso, sarà un giorno come tutti gli altri”. Autore, il maremmano Renato Fucini.

 

Un benvenuto che omaggia la Grecia

Il benvenuto dalla cucina, insieme con i pani tutti fatti in casa, lascia agevolmente presagire verso quale memorabile cena ci si accinge. Da adesso, e sarà così fino al dolce, l’intrigo ludico consiste nel tentare di capire cosa lo chef Peppe Stanzione vuole dirci, cosa vuole comunicarci. Non è un apertis verbis, è comunicare in filigrana. Quindi, per cominciare, un omaggio alla Grecia che poi diviene contaminazione e l’oliva nera viene ricostruita con farcia di formaggella di bufala. Sul podio di un pan brioche, svettano petali di tartufo nero estivo della non lontanissima Irpinia. È chiaro il messaggio? Teniamolo a mente, per adesso.

 

Dalla carta dei vini spunta il Frapiccì

La carta dei vini, mai banale, è doviziosa e, stante la clientela cosmopolita, non può certo esentarsi dal proporre i grandi classici del nostro Made in Italy enoico. E allora si va in cerca della pepita nascosta. Eureka! La troviamo, schiva e riottosa nel lasciarsi scorgere, tra la selezione dei rosati. È il Frapiccì fatto da Fontezoppa. Siamo nel cuore delle Marche, sulle alture collinari di Civitanova. Frapiccì lo si fa con uve Pinot Nero e Vernaccia Nera raccolte a mano e vinificate in bianco. Carezzevole il suo rosa tenue. Piacevole la percezione olfattiva di fragoline di bosco e un’ammaliatrice nuance di melograno. Al palato rivela, quasi inattesa, una buona sapidità. Il Frapiccì, ben servito, ha accompagnato tutta la cena.

 

Parola d'ordine per il menu? Incontri e contaminazioni

Il primo piatto, da solo valevole a rendere memorabile tutta la cena, è costituito da “Cappelletti farciti cacio e pepe al ragù napoletano”. Una leggera croccantezza del cappelletto, a testimonianza di peculiare tecnica di cottura, insieme con la vigoria del ragù cucinato a regola d’arte, rendono prodigioso questo piatto: donare il rosso alla “cacio e pepe”, rendere cacio e pepe ingrediente di farcia e non sugo saporito, è frutto della combinazione di estro e tecnica da parte dello chef. È chiaro il messaggio? Teniamolo ancora a mente, per adesso.

Assecondata la scelta in apparenza bizzarra, quanto proposto come antipasto, perviene come secondo: “Cocktail di crostacei con piennolo giallo del Vesuvio”. È piatto policromo dove la sapidità fa sciente passo indietro onde rendere attrattivi sapori altri. L’accorta intrusione del pomodoro giallo del Vesuvio agisce da armonizzatore del tutto. Messaggio chiaro? Teniamolo ancora a mente, per adesso.

Predessert delizioso e poi Foresta Nera. Nell’appropriato calice, alla temperatura corretta, la Malvasia delle Lipari fatta da Hauner. Durante la cena, deliziosa musica in sottofondo: pianista di ragguardevole bravura. E allora, lo disveliamo il messaggio accorato dello chef Peppe Stanzione?

Amalfi, si è detto, fu Repubblica Marinara. Amalfi non è città di mare. Amalfi è il mare, quando il mare diviene borgo, quando il borgo diviene snodo di traffici, quando i traffici si inoltrano nelle terre interne e raggiungono mete assai lontane. Amalfi, grazie ai tempi lunghi e saggi della storia, ha imparato che sono le migrazioni a rendere virtuoso il cammino dell’uomo. E sono le contaminazioni sapienti a dare quegli augusti tocchi di originalità e gusto ai piatti del ristorante Il Glicine: l’incontro tra l’Ellade e la Piana del Sele; l’incontro tra i sapori laziali ed i sapori della contigua Campania Felix. Il gioco sempiterno del mare che lambisce coste accoglienti.

La cucina degli incontri, la cucina delle contaminazioni virtuose, la cucina dove l’adozione è financo più importante del luogo di nascita. La cucina che abilita convivialità cosmopolita. Ecco il merito grande dello chef Peppe Stanzione, della sua brigata e delle validissime persone in sala. Ancora note del pianista con il mare che luccica.

 

Il lusso? Far sentire gli ospiti a casa loro

Rientro in camera: coccole sorprendenti. Prima colazione dell’indomani: squisiti dolci della costiera, offering salato per gli ospiti forestieri. Tutto servito impeccabilmente. Lo chef è già (già o ancora) in cucina: fresco, giacca linda bianchissima, occhi vispi della gente di mare. Quella L di lusso. E la domanda riproposta: “Dove sta il lusso all’Hotel Santa Caterina?”. Sta nell’intangibile ogni dove e ogni quando. Se lo si vedesse, se lo si toccasse, si chiamerebbe sfarzo, si chiamerebbe ostentazione. Qui il lusso è quello vero, è nell’understatement unito alla capacità innata di fare sentire immediatamente gli ospiti a casa loro. Perché ... hospites sacri sunt (traduzione: gli ospiti sono sacri)!

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