Capitale della cultura...a tavola: a Pergola, i Bronzi e il tartufo bianco

Continua l'appuntamento con Capitale della Cultura...Vi presentiamo i Bronzi Dorati da Cartadeto e la Fiera del tartufo bianco a Pergola (Pu) con il cuoco Roberto Dormicchi e il suo piatto a base di patate

07 aprile 2024 | 15:30
di Carla Latini

La città di Pergola è situata all’interno della provincia di Pesaro Urbino a 265 metri sul livello del mare. Nel 2023 il comune è stato insignito della Bandiera Verde Agricoltura attribuita da Cia-Agricoltori Italiani. Sono solo tre, per l'anno 2023, i comuni in Italia insigniti della Bandiera Verde.

Un risultato prestigioso e meritato anche grazie all’impegno e alla divulgazione del Tartufo Bianco Pregiato che viene celebrato una volta l’anno per tre fine settimana ad ottobre.Turisti e appassionati buongustai in quel periodo si godono il mercatino, gli spettacoli in piazza, i cooking show realizzati dai più famosi cuochi marchigiani, i talk show, eventi collaterali, il Teatro e i misteriosi Bronzi.

I Bronzi Dorati da Cartoceto di Pergola

Una storia molto interessante avvolge di curiosità e quindi di mistero queste statue che rappresentano l'unico gruppo di bronzo dorato esistente al mondo giunto dall’età romana ad oggi. Il complesso rappresenta un probabile gruppo familiare, composto in origine da due coppie di figure femminili ammantate e velate, e da due cavalieri in veste militare d’alto rango, con cavalli riccamente ornati. Attualmente sono conservati in una stanza climatizzata nel Museo dei Bronzi Dorati Città di Pergola all’interno dell’ex Convento di San Giacomo in largo San Giacomo 1.

Nella sala dei Bronzi viene proiettato un video emozionale, molto realistico e carico di pathos che racconta il ritrovamento del complesso, il restauro e l’intrigante studio sulle ipotesi della identificazione dei personaggi.Da Pesaro, Città della Cultura 2024, in macchina sono 54 km fra A14 e strada statale. Conviene scendere a Marotta/ Mondolfo e poi girare a destra verso l’entroterra. Durante la visita guidata al Museo, è meglio sempre prenotare perché si entra in gruppi massimo di 10/12 persone.

Come è avvenuta la scoperta dei Bronzi Dorati 

La storia ha inizio il 26 giugno 1946. I fratelli Peruzzini, mezzadri del podere della famiglia Rossi-Castellucci, nella frazione Cartoceto di Pergola, località Santa Lucia di Calamello, durante dei lavori di scavo colpiscono una parte metallica. Allargando lo scavo vengono alla luce frammenti bronzeo-dorati del peso di circa 9 quintali, divisi in 318 pezzi di varie dimensioni. Oltre ad un’infinità di piccoli frammenti, sono distinguibili le teste e le zampe di due cavalli, un busto e due gambe maschili e la parte superiore e inferiore di una figura femminile.

Grazie al tempestivo intervento di Giovanni Vernarecci, parroco nel vicino Comune di Fossombrone, nonché Ispettore Onorario alle Antichità, giunge la Soprintendenza alle Antichità delle Marche che requisisce tutto il materiale. Il restauro dura a lungo. Viene affidato al fiorentino Bruno Bearzi, che si offre a titolo gratuito.

Tra il 1949 e il 1959 ottiene la pulizia parziale delle superfici e il rimontaggio di alcune parti: la prima figura femminile, le teste dei due cavalli, la metà superiore di uno dei due cavalieri e le gambe dell’altro. La prima esposizione al pubblico è all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Ancona e dura dal 1959 al 1972, anno in cui c’è un terremoto. Nel 1974 parte un secondo restauro. I lavori di selezione e posizionamento dei pezzi portano ad una ricomposizione delle parti con l’utilizzo di una resina sintetica reversibile ma dotata di una forte resistenza alla trazione.

Il restauro si conclude nel 1987 con l’inaugurazione della mostra Bronzi Dorati da Cartoceto - Un restauro allestita presso il Museo Archeologico di Firenze. Dopo una breve esposizione a Pergola nei locali dell’ex Convento di San Giacomo, il gruppo rimane all’interno di questo stesso edificio, non visibile al pubblico, per cinque anni (26 ottobre 1988 - 10 agosto 1993) a causa dell’inizio della contesa tra il Comune di Pergola e quello di Ancona per l’assegnazione.

La contesa dei Bronzi

Il 15 maggio 1988 presso l’ex complesso conventuale di San Giacomo viene inaugurata la mostra temporanea I Bronzi Dorati da Cartoceto di Pergola, una sorta di omaggio alla città dove è avvenuto il ritrovamento. Durante i sei mesi di apertura c’è una straordinaria affluenza di pubblico da superare le sessantamila presenze. A conclusione dell’evento (25 ottobre 1988) le statue sarebbero dovute partire alla volta di Ancona, per essere esposte all’interno del Museo Archeologico Nazionale delle Marche, riaperto nel 1988.

Allo scopo di impedire il trasferimento, un gruppo di cittadini pergolesi inizia a presidiare i locali dell’ex Convento. Qualche mese dopo la procura della Repubblica di Pesaro invia una comunicazione giudiziaria a 11 cittadini. La situazione si sblocca solo nel 1993 con il decreto del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali Alberto Ronchey che assegna l’esposizione del monumento a Pergola.

Il presidio continuo, diurno e notturno, iniziato nel 1988, viene sciolto l’11 agosto 1993. I lavori di adeguamento dei locali dell’ex Convento iniziano nel 1995 e riguardano l’installazione di sistemi che garantiscano le adeguate condizioni climatico-ambientali per la conservazione e la sicurezza. Il decreto Ronchey non mette fine alla lotta tra Pergola e Ancona e la vicenda va avanti. I Bronzi tornano a Pergola nell'ottobre del 1999 quando viene inaugurato il Museo dei Bronzi Dorati e della Città di Pergola.

In occasione del periodico spostamento delle opere sono realizzate delle copie che vengono esposte, di volta in volta, nella sede mancante degli originali. Il pendolarismo va avanti fino all’inizio del 2002, quando l’onorevole Vittorio Sgarbi, allora Sottosegretario al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, lo assegna in maniera permanente a Pergola; successivamente nel 2008 una sentenza del Consiglio di Stato conferma la decisione. Nel novembre 2011, il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso presentato dal Comune di Ancona riapre la questione e ancora oggi Pergola è in attesa di un’assegnazione definitiva.

Breve descrizione delle statue

Le quattro statue sono posizionate secondo uno schema piramidale con i cavalieri al centro e le due matrone ai lati. Lo stato frammentario delle statue e le pesanti deformazioni delle parti metalliche fanno ipotizzare che il gruppo sia stato intenzionalmente distrutto con oggetti contundenti prima di essere nascosto e sotterrato.

Prima figura femminile

La statua, ritrovata in 23 frammenti, è la più integra del gruppo. Alta circa 195 cm, rappresenta una donna in età avanzata con un atteggiamento nobile e austero. La matrona indossa la stola, una lunga sopravveste che le avvolge il corpo e scende a terra formando numerose pieghe. L’abito lascia scoperto il piede destro rendendo visibili i calceoli, le calzature usate dalle donne romane per presentarsi in pubblico. Sopra la stola indossa la palla, un mantello che le copre il capo e ricade con drappeggi abbastanza rigidi sul suo corpo. Il braccio sinistro, piegato ad angolo retto, è tenuto strettamente aderente al corpo, all’anulare è possibile osservare un anello, dalla forma ovale molto simile a quella dell’anulus aureus, l’anello d’oro dell’ordine equestre, simbolo di appartenenza ad una famiglia di rango elevato.

Il braccio destro è piegato verso l’alto e dal manto fuoriesce la mano con la quale la matrona trattiene un lembo della palla. Il mantello le lascia scoperto il solo dito indice parzialmente disteso, con il quale sembra autoindicarsi, un gesto al quale gli storici ancora oggi non sono riusciti a dare una spiegazione. La sua acconciatura è caratterizzata da una riga al centro, capelli raccolti in una sorta di crocchia dietro la nuca, come suggerisce il rigonfiamento del mantello, e piccoli riccioli che le incorniciano il volto. Si tratta di una pettinatura di derivazione ellenistica di moda tra le matrone romane tra il 70 e il 30 a.C.

Seconda figura femminile

C’è solo la parte inferiore. L’abbigliamento e l’acconciatura dei capelli dovevano essere del tutto simili a quelli della prima matrona, così come la postura e la posizione di braccia e mani. L’unica differenza riscontrabile è l’andamento molto più morbido del mantello, le cui pieghe in alto formano una V e in basso sono più tondeggianti. Questa maggiore vivacità del panneggio può far ipotizzare un’età più giovane rispetto a quella della prima statua femminile.

Primo cavaliere

Rimane la parte superiore del busto. La testa, ritrovata molto danneggiata, è ricostruita con resina sintetica di colore grigio. La fronte alta e stretta, capelli resi a piccole ciocche e radi sulle tempie, naso dal dorso arcuato e largo alla base, labbra sottili, occhi molto vicini tra loro e lobi delle orecchie abbastanza pronunciati. La profondità dello sguardo, la larga stempiatura, le pieghe ai lati della bocca possono indicare un’età piuttosto matura, presumibilmente intorno ai 40 - 45 anni. Indossa la tunica e il paludamentum (mantello utilizzato dai generali o ufficiali di alto rango in tempo di pace), un lembo del quale è appoggiato sulla spalla sinistra. Il braccio destro alzato all’altezza dell’occhio potrebbe indicare un gesto di pace, confermato da alcuni elementi presenti nelle decorazioni dei cavalli.

Secondo cavaliere

Di lui ci sono solo le gambe. Il cavaliere indossa una particolare calzatura alta e chiusa, a doppi lacci, chiamata calceo, una sorta di stivaletto in pelle che indicava il rango sociale di chi lo portava. I due cavalieri hanno lo stesso tipo di abbigliamento e compiono lo stesso gesto, differenziandosi probabilmente solo nei tratti del volto.

I cavalli

L’atteggiamento dei due cavalli è maestoso. Procedono al passo con tre zampe a terra ed una delle anteriori sollevata, postura tipica dei cavalli raffigurati nelle statue equestri d’epoca romana. Si tratta di due cavalli robusti, caratterizzati da un notevole verismo. Al posto della sella, i romani usavano la gualdrappa, una sorta di coperta caratterizzata dai bordi a punta e a torretta, tenuta ferma da una cinghia sotto la pancia e da un finimento sul petto. I cavalli, dalle criniere molto curate e ben pettinate, realizzate attraverso piccoli ciuffi uniti tra loro, stringono in bocca il morso per le redini. I pettorali risultano divisi in tre zone, due fasce laterali più strette ed una centrale più larga e più alta. Entrambe le teste sono riccamente ornate di falere (medaglioni in metallo che i militari usavano per ornare le bardature dei cavalli) che mostrano le principali divinità romane. L’integrità di tali figure può far supporre che chi distrusse il monumento non infierì per non recare offesa agli dei

Le ipotesi, nel tempo, a cura di importanti studiosi dell’Antica Roma

Sandro Stucchi

Identifica i personaggi come componenti della famiglia imperiale Giulio-Claudia e ipotizza come datazione un periodo compreso tra il 23 e il 29 d.C. Secondo lo Stucchi la ricca decorazione dei cavalli, la presenza nei medaglioni di divinità, le proporzioni delle statue più grandi del naturale fanno pensare che il gruppo rappresenti personaggi della casa imperiale. Prima Ipotesi: Livia (figura intera), moglie di Augusto e madre dell’imperatore Tiberio, Nerone Cesare (cavaliere con la parte superiore del busto), figlio di Germanico e Agrippina Maggiore, adottato da Tiberio, Druso III, fratello di Nerone Cesare, Agrippina Maggiore, madre dei due cavalieri e moglie di Germanico.

La causa della distruzione sarebbe una damnatio memoriae a causa di una congiura attuata dai due figli di Germanico e dalla loro madre ai danni dell’imperatore. Seconda ipotesi: Livia (figura intera), Nerone Cesare (cavaliere con la parte superiore del busto), Tiberio, Giulia, moglie di Nerone Cesare. In questo caso, vista la presenza dell’imperatore, la causa della distruzione sarebbe un saccheggio da parte di barbari o briganti.

Lorenzo Braccesi

Concorda con lo Stucchi per l’identificazione della prima figura femminile con Livia ma non dà un’identità precisa agli altri personaggi. I bronzi dorati dovevano essere pertinenti ad un contesto celebrativo di connotazione augustea anziché tiberiana; il gruppo equestre potrebbe aver ornato un monumento commemorativo eretto a Pesaro forse in memoria di Augusto e in onore della sua consorte. Le statue potrebbero essere finite a Cartoceto in modo del tutto accidentale per razzia da parte dei barbari o per ruberia dei ladri.

John Pollini

Propone di attribuire il gruppo al periodo compreso tra il 25 a.C. e l’1 d.C. Identifica i personaggi come membri dell’antica e potente famiglia romana dei Domizi Enobarbi, nello specifico Porcia (figura intera), moglie di Lucio Domizio Enobarbo e madre di Gneo Domizio Enobarbo, Gneo Domizio Enobarbo, Lucio Domizio Enobarbo, Emilia Lepida, rispettivamente padre e moglie di Gneo. Le statue sarebbero state trafugate da una banda di briganti durante il trasporto lungo la Via Flaminia.

Filippo Coarelli

Retrodata il gruppo ad un’età tardo-repubblicana e identifica i personaggi con i componenti della famiglia dei Satrii. Il primo cavaliere (con la parte superiore del busto) sarebbe Marco Satrio, probabile patrono di Sentimun (Sassoferrato), luogotenente di Cesare e futuro cesaricida e il secondo Lucio Minucio Basilo, zio e padre adottivo di Marco. Le due figure femminili raffigurerebbero rispettivamente la madre (figura intera) e la moglie del primo cavaliere. In base all’ipotesi, il gruppo, commissionato nel 45 a.C. da Marco Satrio, venne distrutto per ordine di Ottaviano nel 41 a.C., per vendicare la morte di Cesare.

Viktor Bohm

Identifica i personaggi con Marco Tullio Cicerone (cavaliere con la parte superiore del busto), il fratello Quinto Tullio Cicerone e le rispettive mogli, Terenzia e Pomponia. Il complesso sarebbe stato realizzato tra il 51 e il 50 a.C., nel periodo in cui Cicerone era governatore della Cilicia, e posto sull'Esedra dell'Isola di Samos. Le modalità con cui i bronzi dorati arrivarono dal Mar Egeo nelle campagne di Cartoceto di Pergola potrebbero essere legate all’odio di Marco Antonio nei confronti dell’oratore.

È plausibile che per cancellare ogni traccia di Cicerone, Marco Antonio abbia fatto distruggere il monumento inviando le statue come personale bottino verso Roma, seguendo la rotta navale che dall’Oriente portava ad Ancona e da qui all’antica Via Flaminia. Forse ladri o briganti potrebbero aver sottratto le statue bronzee e successivamente averle occultate nelle campagne di Cartoceto.

Mario Pagano

Secondo il soprintendente il gruppo di età tardo-repubblicana si trovava a Sentinum ed era posto nel foro, forse nella basilica. Pagano ritiene che il primo cavaliere (con la parte superiore del busto) sia Lucio Licinio Murena figlio, raffigurato accanto al padre Lucio Licino Murena, alla moglie Terenzia (figura intera) e alla madre. Il gruppo venne realizzato quando Lucio Licinio Murena figlio divenne console nel 62 a.C. o subito dopo. Durante la guerra greco-gotica i Goti accusarono i senatori romani di essersi schierati dalla parte dei bizantini e dimostrarono la loro ostilità frantumando le statue bronzee. Durante il loro trasporto verso il Furlo, con l’intento di rifonderle, i Goti si liberarono delle casse più pesanti nascondendo i frammenti a Cartoceto.

Il tartufo bianco prezioso come i bronzi dorati

Ogni anno durante la Fiera del tartufo bianco pregiato di Pergola sono molti gli chef marchiagiani e non che si alternano sul palco dei cooking show. Guidati con garbo, professionalità e armonia nelle loro creazioni da Roberto Dormicchi, cuoco di Piobbico, alias Triglia di Bosco, insegnante e divulgatore di memoria rossiniana.

Nel suo home restaurant, appunto a Piobbico, organizza cene a tema, corsi di cucina, incontri fra produttori artigianali e il suo pubblico.Per Pergola ha voluto realizzare una ricetta che ci porta indietro nel tempo con riti semplici e ortaggi mai banali come la patata. Che diventa regale grazie al mitico Tartufo Bianco Pregiato e alla Casciotta d’Urbino.

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Alberto Lupini


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