Capitale della cultura...a tavola: la Cattedrale Santa Maria Assunta e la Pasticciata

La Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta di Pesaro ha una grande importanza storica e artistica: situata in Piazza Collenuccio e inizialmente dedicata a San Terenzio, patrono della città, conserva ancora le sue reliquie

03 luglio 2024 | 19:12
di Carla Latini

Durante una lunga visita a Pesaro Capitale della Cultura 2024 è “obbligatorio” fermarsi un po’ alla Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta in piazza Collenuccio. La cattedrale si posa su una basilica paleocristiana che si trovava entro il perimetro della città romana ed era dedicata alla Beata Vergine Maria. Venite con noi in questo percorso carico di storia e di opere d’arte, alla scoperta di mosaici policromi che formano un grandioso e unico pavimento monumentale.

Alla Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta di Pesaro affianchiamo l’antica ricetta della Pasticciata.

Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta di Pesaro: cenni storici

La chiesa cattedrale si trova al centro della città ed è attualmente intitolata a Santa Maria Assunta, antecedentemente era stata intitolata anche a San Terenzio patrono di Pesaro del quale, fin dai primissimi tempi, furono raccolte e conservate le reliquie. L’antica basilica sulla quale fu elevata la chiesa medioevale si affacciava sul cardo maximus (le attuali via Rossini - via Branca), uno dei principali assi stradali della Pisaurum romana, in prossimità di una delle quattro porte urbiche dell’antica città.

Non sappiamo esattamente quando questa fu eretta a parrocchia, certamente fu la prima che in epoca paleocristiana possedesse un battistero annesso a pianta ottagonale. Andato distrutto in un momento imprecisato posteriore al 1197 (anno in cui compare ancora citato in una bolla di Celestino III), esso fu individuato da Annibale degli Abbati Olivieri nel 1776, durante degli scavi effettuati nella sacrestia del Duomo, presenza confermata anche dai recenti scavi.

Tarde fonti storiche riportano sommariamente le ricostruzioni di tale edificio sacro, prima in seguito ad un furioso terremoto nel 751, poi nell’848 dopo l’incendio causato dai saraceni, quindi tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Un rifacimento del complesso è ascrivibile inoltre ai danneggiamenti subiti nel corso della campagna militare di Cesare Borgia (1503), quando vennero particolarmente danneggiati il campanile gotico, poi ricostruito in forme semplificate e l’abside del complesso episcopale.

L’aspetto attuale della Cattedrale, in cui si possono leggere i molteplici restauri e rifacimenti intervenuti nel corso dei secoli, riflette una storia millenaria. La facciata in paramento laterizio, risalente alla riedificazione di epoca medievale (1282-1312) conserva l’impianto della basilica di età romanica, con il rosone, gli spioventi successivamente tamponanti con l’innalzamento delle navate laterali, gli archetti pensili del coronamento di falda del tetto e la fascia marcapiano mediana con la successione di archi ogivali. Il portale, fiancheggiato da due lesene in pietra calcarea, è goticheggiante e caratterizzato dalla presenza di arco a sesto acuto, con cornice interna trilobata e leggera strombatura. Ai lati sono visibili due leoni stilofori databili all’XI-XII secolo, che probabilmente un tempo sorreggevano le colonne di un pulpito. L’interno si mostra invece nella sua ristrutturazione ottocentesca, in un maturo e lineare stile neoclassico, frutto dei lavori operati dall’architetto fermano Giovambattista Carducci e dal bolognese Luigi Gulli. Il radicale rifacimento iniziato prima dal vescovo Giovanni Carlo Gentile (1847-1854) e poi avanzato con Clemente Fares (1856-1896), trovò la sua conclusione con la consacrazione nel 1903 sotto la reggenza del vescovo Carlo Bonaiuti.

Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta di Pesaro: l'interno

La pianta ricalca quella della basilica paleocristiana a croce latina, con tre navate suddivise da nove massicci pilastri in laterizio, che sostengono il soffitto sul quale si apre l’ampia cupola decorata a finti cassettoni. Iniziando dalla navata destra, sul primo spazio della parete, troviamo un affresco strappato databile alla prima metà del XV sec., opera di un anonimo autore educato alla cultura tardogotica di matrice adriatica e proveniente dall’antica chiesetta della Confraternita della Misericordia. Raffigura la Madonna della Misericordia con il Padre Eterno benedicente, con il coronamento di due angeli che accompagnano il soggetto principale ed in basso la presenza dei membri della stessa confraternita.

Nel primo altare di destra è un pregevole olio su tela rappresentante San Girolamo in meditazione del baroccesco Antonio Cimatori detto il “Visaccio” (Urbino 1550-Rimini 1623). Successivamente la navata si apre alla novecentesca Cappella di San Terenzio, progettata dal Carducci e inaugurata nel 1909, anno in cui vi furono trasferite le reliquie del santo che si trovavano precedentemente riposte sotto l’altare maggiore. Sull’altare della cappella spicca una pregevole Annunciazione di scuola umbro-fiorentina, attribuita a Luca di Frosino e datata 1510, mentre negli spazi concavi delle pareti laterali figurano le tavole con le icone di San Terenzio, San Decenzio e San Germano dell’artista contemporanea Francesca Pari.

Uscendo dalla cappella, sul secondo altare di destra, si conserva un piccolo affresco trecentesco raffigurante la Madonna del Popolo, anticamente una delle immagini più venerate in città, proveniente dall’esterno dalla facciata esterna della chiesa dell’Annunziata da cui venne staccato nel ‘500. In fondo alla navata destra, salendo i gradini, ci troviamo di fronte ad un dipinto del 1635 di Giovan Giacomo Pandolfi (Pesaro 1567-post 1636), la Madonna del Popolo con San Luca e la Beata Michelina, tela realizzata per ospitare in origine l’antica icona devozionale, oggi presente sull’altare precedentemente illustrato.

A destra si entra nella Cappella del Crocifisso, così denominata per la presenza del pregevole e miracoloso crocifisso ligneo del XV sec. che vi campeggia. Opera di autore ignoto, secondo la tradizione fu donato da Bernardino da Siena alla Beata Felice Meda prima badessa del Convento delle Clarisse di Pesaro di cui si conserva in questo luogo l’urna, assieme a quelle della Beata Serafina Sforza e del Beato Cecco Zanferdini compatroni di Pesaro.

L’abside, il cui catino è affrescato dal pittore pesarese Giuseppe Gonnella nel 1902 con una Assunzione della Vergine e Apostoli, è illuminata da cinque vetrate policrome del pesarese Alessandro Gallucci (Pesaro 1897-1980), raffiguranti i santi e i beati pesaresi: da sinistra la Beata Serafina Sforza, San Decenzio, San Terenzio vescovo e patrono, Sant’Eracliano e la Beata Felice Meda.A sinistra del presbiterio, nel vano di passaggio in sacrestia, è collocato a parete un affresco staccato di altissima qualità in alcune sue parti e risalente all’ultimo scorcio del ‘400, che raffigura su un doppio registro la Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Girolamo e in basso, il Cristo morto tra due Angeli. L’opera restaurata nel 2000 è di notevole interesse poiché assegnabile ad una bottega urbinate attiva nell’orbita di Giovanni Santi, padre di Raffaello, nella quale potrebbe aver lavorato anche quest’ultimo in giovane età.

Nel transetto, a sinistra, è posta una tela del 1613 raffigurante il Crocifisso con Sant’Agata, il Beato Cecco e la Beata Michelina, dipinta dal noto pittore Giovan Giacomo Pandolfi (1567-post 1636). Al centro della navata, a sinistra si apre la Cappella del SS. Sacramento, terminata nel 1942 e recentemente abbellita dalla presenza di due angeli marmorei tardo-seicenteschi, provenienti dal perduto battistero, come è possibile rilevare da un illustrazione del faentino Romolo Liverani alla metà dell’ '800. Le imponenti ed eleganti figure recano in mano i simboli iconografici di questo sacramento: il panno e la tazza per l’acqua.

Nell’ultimo altare della navata sinistra, seguendo il giro antiorario, è invece una tela del pesarese Camillo Scacciani detto il Carbone (Pesaro inizio XVIII sec) raffigurante il teatino Sant’Andrea di Avellino morente. Sopra la bussola d’ingresso si può vedere un maestoso dipinto con l’Assunzione della Vergine e i SS. Terenzio e Mustiola, opera che un tempo decorava l’altare maggiore della chiesa ascritta al romano Marco Benefial (Roma 1684-1764), pittore molto attivo in territorio marchigiano. Pregevoli risultano anche le tabelle della Via Crucis di scuola pesarese (XVII sec.), il mobilio settecentesco della sacrestia, il cui disegno si deve a Giannandrea Lazzarini (1777) e la novecentesca cappella battesimale i cui affreschi, assieme alla splendida fonte in marmo rosso di Verona, costituiscono un insieme decorativo di notevole pregio.

Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta di Pesaro: i mosaici e l’area archeologica

La quota attuale del piano di calpestio risale al rifacimento avvenuto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Dopo avere interrato le strutture più antiche infatti, il pavimento venne innalzato poggiandolo su poderosi pilastri. Gli avanzi delle fasi più antiche sono testimoniati in particolare dalla sopravvivenza di due splendidi pavimenti decorati a mosaico, che si trovano dal piano attuale rispettivamente ad una quota di circa -1.40 m per la fase bizantina (metà VI secolo) e -2.10 m per la fase paleocristiana (fine IV; inizio V secolo).

La prima riscoperta dei pavimenti musivi risale agli inizi del XVII secolo con l’erudito Sebastiano Macci che ci segnala, durante lo scavo per la realizzazione di una tomba all’interno della Cattedrale, il rinvenimento di un pavimento decorato con molteplici raffigurazioni di incredibile bellezza, rilevando inoltre la presenza di un secondo pavimento a mosaico posto ad una quota più profonda.

Nel corso del 1700 fu lo studioso Annibale degli Abbati Olivieri a dare precise e dettagliate notizie del rinvenimento di nuove porzioni delle superfici musive all’interno e nell’area del sagrato della chiesa. Solo grazie ai sondaggi di scavo nel 1851, realizzati per accertare lo stato delle fondamenta della Cattedrale, venne appurata con certezza la presenza dei due piani pavimentali, rilevando il secondo ad una quota di 80 cm. più bassa rispetto al primo.

Incaricato di ristrutturare l’edificio, l’architetto Giovan Battista Carducci (Fermo1806-1878) portò alla luce larga parte della superficie musiva superiore, documentandola con precisi rilievi, pubblicati successivamente 1866. Già in questa occasione si discusse lungamente della possibilità di rendere fruibili i mosaici; tuttavia nel 1903, al termine dei lavori di consolidamento, i mosaici furono invece rinterrati per permettere la realizzazione del nuovo pavimento. Nel 1990 infine, iniziarono ulteriori indagini nelle porzioni non esplorate dall’architetto Carducci.

I lavori furono intrapresi dapprima dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche e poi, con il dovuto metodo di scavo archeologico, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche. Nel corso di queste indagini - tese ad accertare la pertinenza ad un primo edificio di culto del mosaico inferiore e a approfondire la conoscenza archeologica delle fasi più antiche - sono state messe in luce nuove porzioni del mosaico superiore ed è stata indagata l’area posta al di sotto del moderno sagrato. Da allora, si è lungamente discusso delle possibili modalità per rendere fruibili i due pavimenti musivi, rispettando sia la vita liturgica della Cattedrale sia le strutture archeologiche rinvenute nel tempo. Alcune porzioni della superficie musiva sono oggi visibili attraverso ampie “specchiature” in vetro cristallo praticate nel pavimento.

È inoltre possibile visitare su richiesta, l’area archeologica posta in corrispondenza della navata di destra e del sagrato, attraverso apposito accesso laterale indipendente. Al di sotto del rialzamento volontario del piano di calpestio, che ha portato la Cattedrale al livello moderno, si trovano i resti delle fasi che vanno dal VI secolo d.C. alla fine del XIII.

Come ha mostrato lo scavo archeologico, tale rialzamento è stato ottenuto riportando materiale “di scarto” eterogeneo; il reperto più recente rinvenuto in questo accumulo si data al tardo Quattrocento e si accompagna a diversi frammenti di maiolica arcaica. Eccezionale testimonianza di questo complesso pluristratificato è il grandioso piano pavimentale decorato a mosaici policromi, esteso per oltre 800 m2 a ricoprire l’intera superficie della chiesa. L’impianto originale è databile ai primi anni della seconda metà del VI secolo d.C., sulla base di tre iscrizioni dedicatorie che celebrano l’intervento costruttivo di “Iohannis”, definito “vir gloriosus magister militum”.

All’evergeta Giovanni, stratega di rango consolare e membro di spicco dell’apparato imperiale all’epoca di Giustiniano, si attribuisce la ricostruzione “a fundamentis” della Cattedrale. L’iscrizione non è da intendersi in senso letterale, poiché in realtà si trattò piuttosto della ricostruzione dell’edificio, per quanto sostanziale, su un impianto precedente verosimilmente paleocristiano. La sopraelevazione è tradizionalmente ricondotta all’interno di quel processo di ricostruzione della città determinatosi a seguito degli sconvolgimenti provocati dalla guerra goto-bizantina (535 e il 553 d.C.), che ebbe esiti devastanti dal punto di vista demografico e urbano sia per i centri abitati, sia per l’economia delle campagne.

Nel corso dei secoli il pavimento fu poi sottoposto a parziali rifacimenti, particolarmente intensi soprattutto tra l’XI e XIII secolo. Si vennero quindi ad inserire nella partizione geometrici modulare della prima stesura bizantina, caratterizzata dal raffinato linguaggio iconico (pavoni, pesci, aquile, croci uncinate, nodi salomonici), nuovi modelli figurativi con immagini derivate da compendi letterari quali i Bestiari e il Liber Monstruorum (Lamie, Sirena bicaudata, Centauri, Grifone, Basilisco), o ispirati dai testi letterari che circolavano nell’Europa medievale, a testimonianza del rinnovato interesse verso temi e storie dell’antichità classica (ciclo troiano). Convivono così su questo piano pavimentale più vocabolari espressivi, ognuno dei quali utilizza ed esprime i riferimenti culturali e simbolici della propria epoca, dalla tradizione dell’ambito adriatico (Venezia, Otranto, Brindisi) verso collegamenti ultramontani, bretoni e francesi.

Si tratta di una sintesi preziosa ed emblematica che dimostra la stratificazione della storia sociale e religiosa dal VI al XIII secolo. Una lettura ampliata del mosaico superiore - nei suoi molteplici inserti che vanno dal VI al XIII secolo - offrirebbe un’eccezionale e unica testimonianza delle diverse espressioni figurative stratificatesi nel corso di otto secoli storia, seguendo il mutare dei riferimenti culturali e ideologici, dal mondo bizantino fino all’Europa medievale.

A 2,10 m dal piano di calpestio del XIX sec., è collocato un primo pavimento musivo pertinente ad un edificio sacro paleocristiano. Di questo piano musivo sono stati messi in luce solamente alcune brevi porzioni, all’interno di alcuni saggi, di estensione limitata, effettuati nelle tre navate. Il maggiore di essi, condotto perpendicolarmente alla navata centrale, ha confermato la perfetta corrispondenza della partizione in fasce dello schema del mosaico inferiore a quella del mosaico superiore, confermando la sovrapposizione dei due edifici. I mosaici delle fasce laterali e della navata centrale mostrano motivi differenti, sia per quanto riguarda le cornici sia per quanto riguarda gli elementi riempitivi.

Sono emerse raffigurazioni realizzate con tessere policrome sia a motivi geometrico-floreale, anche molto complessi, sia con simboli cristiani come pesci, colombe e nodi salomonici. Nella navata destra l’iscrizione di Rufinus et (Ia)nuaria ricorda il nome dei due benefattori che contribuirono alla edificazione o alla decorazione dell’edificio. L’iscrizione, tipica degli edifici di culto paleocristiani, soprattutto di una certa rilevanza, è un’ulteriore elemento che consente di ipotizzare che, già in questa fase, la chiesa avesse un ruolo preminente.

Lo scavo archeologico condotto tra il 2004 e il 2005 in corrispondenza del sagrato della Cattedrale, ha permesso di accertare che la basilica paleocristiana si estendeva anche in quest’area. In questa prima fase l’edificio era presumibilmente preceduto da un quadriportico, probabilmente con cortile centrale aperto, anch’esso ornato da una pavimentazione a mosaico policromo, con decorazioni aniconiche geometrico-astratte.

Tre ingressi conducevano dal cardo maximus (l’attuale via Rossini) all’atrio porticato della basilica. Successivamente, per compensare l’innalzamento del livello della strada, in corrispondenza di questi tre varchi originari furono poste le poderose scalinate, realizzate con materiale di spoglio.

Con la ricostruzione dell’edificio sacro, avvenuta nella seconda metà del VI secolo d.C. dopo la guerra greco-gotica, l’area fu definitivamente interrata. Essa venne a lungo utilizzata come zona cimiteriale, come mostrano diversi livelli di sepolture, tutte prive di corredo, deposte sia in semplice fossa terragna sia entro cassoni di muratura. Alcune deposizioni particolarmente profonde furono scavate fino a raggiungere il banco argilloso sterile, tagliando così il piano musivo più antico.

Ringraziamo l'Ufficio Beni Culturali e Arte Sacra dell'Arcidiocesi di Pesaro per il materiale gentilmente fornito.

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Alberto Lupini


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