Da anni la cucina vegetale si presenta al ristorante con lo sguardo mesto di chi chiede scusa per esistere. Nelle versioni peggiori, si accompagna a un vino naturale che sa di maglietta bagnata, a un servizio che ti racconta la vita sentimentale del topinambur e a una luce gialla che invita alla riflessione più che alla cena. Il tutto, spesso, in un'atmosfera da seduta collettiva sul cambiamento climatico. Tutto questo prima di Osteria degli Assonica. Zero cartelli, nessuna bandiera verde, nessun elogio delle fatiche contadine scritto su una lavagna all'ingresso. Solo una sala luminosa, qualche tavolo ben disposto e un menu dal titolo spiazzante per chi si aspetta la solita minestra: “I Vegetali”. Sembra un'idea come tante, una formula con pretese. Ma qui c'è un dettaglio che cambia tutto: il menu è buono. Non buono “per essere vegetale”. Buono, punto.

La sala di Osteria degli Assonica
Osteria degli Assonica, una cucina che evita l'effetto succo detox
Alex e Vittorio Manzoni lavorano sulle verdure come su un alfabeto rigido. Cercano struttura lontano dalle carezze. Il piatto nasce da lì. Da un sedano rapa scolpito, affumicato, servito con crema e granella di nocciole, agrumi sotto sale e un brodo fatto con gli scarti dello stesso ortaggio. Lontano dalle messe in scena da bistrot nordeuropeo. Il piatto si chiude come una frase compiuta. Con una punteggiatura netta.

Alex e Vittorio Manzoni, chef di Osteria degli Assonica
L'asparago arriva poco dopo a prendere il suo spazio. Rimane al centro, saldo, circondato da crema di yogurt alle erbe, tuorlo e capperi. Un condimento che risolve la contesa. L'insieme costruisce un equilibrio dove l'amaro e il salato si spingono a vicenda senza mai scadere nella pulizia da centro yoga.

Osteria degli Assonica: asparagi, yogurt, erbe, tuorlo d'uovo e capperi
Poi si alza la fiamma. Il carciofo, cotto in brace, si presenta in due atti. Prima con rosmarino, pompelmo fresco e in riduzione, e una polvere di liquirizia che lavora ai fianchi. Accanto, il gambo trattato con ibisco e menta prende una via opposta. Acido, verticale, quasi nervoso. Il vegetale, finalmente, non fa da sfondo.
Il piatto concettuale che sa di carne (senza saperlo)
Le chiocciole (la pasta, non il mollusco) arrivano al tavolo come piatto più tecnico, ma anche più carnale. Il fondo-profondo, le cipolle in tre forme (estratto, agrodolce e polvere) e il caffè sembrano costruire una piccola architettura spinta, che però funziona.

Osteria degli Assonica: Radicchio, ribes, pepe rosa e armelline
Il (finto) dessert a base di radicchio cotto e marinato nello xérès, affiancato da ribes e gelato al pepe rosa, chiude il discorso con un certo cinismo. Non c'è traccia di dolcezza accomodante. Solo un'ultima linea tesa.
Vino? Per Osteria degli Assonica meglio i fermenti
Chi vuole, può bere. E bene. La carta dei vini include rifermentati italiani, orange georgiani, distillati francesi scelti con intelligenza. Ma la sequenza di pairing analcolici merita attenzione. Fermentati di radici, fiori, bacche che richiamano più un laboratorio medievale che una carta da sommelier.

La sala esterna di Osteria degli Assonica
L'impressione, finalmente, è che il bicchiere non venga messo lì per abitudine, ma perché serve. Il servizio guidato dalla brava Giovanna Danzo accompagna in maniera intelligente: la verbosità asfissiante di chi ci tiene a farti sapere che sta cambiando il mondo qui non esite, i piatti si spiegano il giusto e i concetti si rimarcano solo se necessario. Il tempo tra una portata e l'altra è calibrato su chi mangia, non su chi serve. E il silenzio che attraversa la sala, lontanissimo dall'imbarazzo, lascia spazio alla concentrazione.
Da Osteria degli Assonica una lezione contro il greenwashing
L'Osteria degli Assonica non parte da un problema da risolvere, ma da una materia da lavorare. Qui il vegetale aggiunge un'opportunità ad un ventaglio di scelte già abbastanza ampio. E lo fa con la voglia di costruire più che di distruggere. Senza furori giacobini. Senza sermoni moraleggianti. Il gesto agricolo è ripetuto nei piatti. E questa, forse, è la differenza più grande rispetto a tanta cucina sostenibile da vetrina. Mentre altri allestiscono menu green con avocado chilometrici e fiori colti per farsi fotografare, i fratelli Manzoni si tengono fuori dal giro. Coltivano, osservano, cucinano. Parlano poco (pochissimo, e con molto imbarazzo). Ma che importa? È il piatto che dice tutto.
Osteria degli Assonica: tecnica alta, ideologia bassa
Basta leggere il piatto per capire la posizione. Qui la carne entra quando serve; il piccione, ad esempio, è un esercizio di tecnica e gola da far invidia alla Francia. Quando la carne c'è, si vede, insomma. Ma non detta legge. La gerarchia si è ribaltata. Il vegetale ha preso il centro, la proteina animale ha cambiato ruolo.

Osteria degli Assonica: piccione, chimichurri, lampascioni e more sottaceto
La forma della cucina segue questa idea. E forse chi ama davvero la cucina spera che un luogo così, col tempo, sposti l'asse verso il vegetale come unica forma di espressione. Come quel famoso ristorante di New York che non è il caso neppure di nominare, tanto è forte l'aura di gloria), sarebbe bello che anche a Sorisole (Bg) qualcuno portasse il timone verso quei lidi, non per redimere il mondo, ma per la voglia di spingere il più possibile; che è il sentimento che anima Alex e Vittorio Manzoni.
Via Don Santo Carminati 9 24010 Sorisole (Bg)
Lun-Dom 12:30-14:00, 19:30-21:00 (Mar-Mer chiuso)