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Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi

La raccolta nei boschi, il rapporto intimo con i produttori, le conoscenze tramandate: lo stellato di Cavalese (Tn) ha i suoi ingredienti per valorizzare il Trentino a tavola.

di Marco Di Giovanni
 
11 febbraio 2020 | 18:59

Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi

La raccolta nei boschi, il rapporto intimo con i produttori, le conoscenze tramandate: lo stellato di Cavalese (Tn) ha i suoi ingredienti per valorizzare il Trentino a tavola.

di Marco Di Giovanni
11 febbraio 2020 | 18:59
 

Per scoprire il Trentino, la storia, la tavola, la natura, non serve attendere che la neve attecchisca. Nella bianca Cavalese, ci si lascia alle spalle la Chiesa e da piazza Cesare Battisti si imbocca via Muratori, solo per qualche metro: lì un'insegna alta e gialla, come a far sapere di una vecchia locanda, anticipa l'ingresso a El Molin, il ristorante gastronomico una stella Michelin dello chef Alessandro Gilmozzi, delegato Euro-Toques per il Trentino Alto Adige.

L'ingresso modesto di un locale scenografico: creato-adattato all'interno di un vecchio mulino, è un incrociarsi continuo di scalette, con camerieri allenati a far su e giù, dalla cucina alle salette, con eleganza, senza cadere. Ci sono tavoli più intimi, altri con una posizione privilegiata per scrutare dentro la cucina.

La mise en place è elegante, l'ambiente suggestivo, l'atmosfera accogliente e intima... Il sorriso di Gilmozzi attraverso il vetro mette a proprio agio. Niente carta in casa, solo due menu degustazione per scoprire una cucina che sa di tradizione e di saperi antichi, che profuma di territorio e di rapporti tanto semplici quanto saldi e duraturi, che esiste grazie al territorio e che al territorio rende omaggio mediante profonda conoscenza, infinita curiosità e "matta voglia" di sperimentazione.

Lingua di cervo mineralizzata, cotta ad ultrasuoni e gelato alla senape di Fiemme (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Lingua di cervo mineralizzata, cotta ad ultrasuoni e gelato alla senape di Fiemme

Una cucina di montagna...
«Tu dici territorio? Io rispondo prodotti particolari e dimenticati». Gilmozzi si dimostra fin dalle prime portate legato a quel senso di casa e di famiglia che sopravvive nel cuore di chi sa apprezzare dove sta - perché "nessun posto è come casa". Nella sua dispensa e nella sua memoria ci sono i lasciti degli avi, «come muschi e licheni... e le cortecce, qui un tempo il pane lo si faceva con le cortecce, lo sapevi?». Sul suo cellulare, tanti numeri di contadini, di cacciatori, di macellai, «ci conosciamo da tanto, ci portano le uova, le galline, le patate...». Questi prodotti km 0, queste culture passate rivivono nelle sue mani: «Decliniamo tutto nel piatto utilizzando le tecnologie più avanzate, in maniera consona e rispettosa». E il nome di tutto questo processo? «Una cucina di montagna».

Quant'è importante fare rete
«Ormai è di moda fare rete no?». Ragazzi immersi nel mondo "social", uffici stampa capaci di comunicare su più piattaforme contemporaneamente... Niente di tutto questo: «La rete più importante è quella che abbiamo creato con i nostri contadini, persone che ti conoscono e che sanno come vuoi la verdura...»; Alessandro collabora anche con una cooperativa di contadini disabili, «fanno cose davvero incredibili».

Essenza di terra (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Essenza di terra

«Anche le nostre nonne hanno fatto rete con noi». Gilmozzi si riferisce a quei saperi antichi che gli sono stati trasmessi. Gli stessi saperi che lui racconta alla propria brigata quando, tutti insieme, si va a raccogliere erbe nei boschi, fiori nei prati. Ad Alessandro piace raccontare quelle storie, le stesse che gli venivano raccontate dalla zia e dalla nonna, «erano botaniche per passione e mi hanno dato tanto, tanti saperi che altrimenti sarebbero andati persi».

La raccolta
«La mia è una vita che va dal bosco alla cucina, dalla cucina al piatto... Non è facile, i miei ragazzi devono sposare una filosofia pazzesca: una giornata che inizia alle 9 del mattino e finisce all'1 di notte. In tutto questo arco di tempo, il momento di svago è andare nel bosco». La raccolta è una fase a dir poco fondamentale nella cucina di Alessandro. Cambia, a seconda che sia bella o brutta la stagione: «Per l'inverno raccogliamo in autunno, intorno ad ottobre-novembre. Dopo aver finito la sera tardi in cucina dormiamo qualche ora e alle 8 partiamo, stiamo nel bosco tutto il giorno». Ogni giorno si raccoglie qualcosa di diverso, «c'è la giornata dedicata alle cortecce», se ne fa una bella scorta per tutto l'inverno, «la giornata delle bacche, quella del sambuco, del crispino... La giornata delle foglie, la betulla, il pino mugo». Terminata la raccolta, si rientra al ristorante, quindi sotto con la pulizia e lo stoccaggio, «mettiamo tutto online» riassume Gilmozzi.

Icy Corteccia (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Icy Corteccia

«D'estate invece è molto più semplice perché la natura ci dà la gioia della vita... Basta andare in un prato che ci son già cento fiori da raccogliere». E una volta raccolto, pulito e "stoccato"? «In base a quello che noi raccogliamo durante queste giornate, io faccio il menu. Il mio obiettivo in cucina è prendere questi profumi che si sentono nel bosco, anche solo sfiorando un albero, un muschio, un fungo... e dar loro consistenza».

Il menu di Alessandro Gilmozzi
Il percorso che lo chef di El Molin ha pensato parte cauto, dando qualche piccolo assaggio di una cucina appassionata e di crescente intensità. La leggerezza di una Bavarese al grana trentino, caviale di luccio perca e gemma di abete; l'esaltazione della qualità di un Filetto di Grigio alpina stagionato con fiore di zafferano di montagna; la delicatezza di una Tartelletta con tartare di temolo, polvere di erba rossa e bulbo di nasturzio; il gusto erbaceo della sfera di fin con burro cacao... Piccole chicche, esplosioni di gusto per raccontare, nell'immediato, una storia fatta di tradizione e cura. Un modo semplice ma efficace per cominciare...


La prima portata è Miniature wild. Si articola in altri quattro assaggi. Prima il Pane di segala al vapore, con il goregone in salamoia di abete a farla da padrone e una delicata maionese di uovo di trova. Il Rocher di foie gras è servito rivestito da una bella veste tra il fresco e l'erbaceo, fatta di lichene bianco e polline d'edera. Il Red Moon è un cocktail a base vermouth, con siero di latte fieno e succo di mela Red Moon, appunto, dalla val di Non. Ottima la Meringa all'acero, con cagliata spontanea di latte fieno. tartare di anguilla e sciroppo d'acero, il tutto ben equilibrato con l'aggiunta di lavanda.

Si comincia dalla radice di liquirizia quando si assaggia la Lingua di cervo mineralizzata, cotta ad ultrasuoni e ben abbinata al gelato alla senape di Fiemme. Il piatto è modello lampante del viaggio in cucina di Gilmozzi: prodotto del territorio portato alla massima espressione grazie alle migliori tecnologie.

Ravioli di guancia di capriolo e broccolo di Santa Massenza sanno di casa (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Ravioli di guancia di capriolo e broccolo di Santa Massenza sanno di casa

Merita una menzione a parte l'Essenza di terra. Alessandro esce dalla cucina, si avvicina al tavolo e spiega: «È una ricetta dell'Impero austro-ungarico». Una teiera, al cui interno un brodo preparato utilizzando bucce di topinambur, patata rosa tostata e un consommé da 10 diversi tipi di carne (dalla perice alla lepre, dal camoscio al cervo), poi licheni, camomilla e quell'aggiunta di menta a completare il tutto. Un gusto avvolgente ed intenso. Gilmozzi lascia l'intera teiera, «così potete berne ancora mentre assaggiate il Raviolo».

I Ravioli di guancia di capriolo e broccolo di Santa Massenza sanno di casa, rievocano uno spazio semplice, intimo, accogliente. Nonostante l'impressione, la preparazione non è così scontata: il broccolo infatti è declinato in tre diverse consistenze: grattuggiato, in crema bianca, in crema verde (con aggiunta di clorofilla).

Il risotto...
Seguiamo la preparazione in cucina di un Riso Carnaroli Acquerello invecchiato 7 anni nel suo germoglio, mantecato con Parmigiano, completato dall'aggiunta di polvere di cima di pigne fermentate. Ci incuriosisce... Vogliamo saperne di più: «Il profumo di questo riso me lo porto dietro fin da piccolo... Andavo nelle baite, noi qui in Alpe Adria le chiamavamo "Foghere", perché s'accendeva il fuoco e si mettevano sopra i wurstel». La zona è stata sotto l'impero austro-ungarico per anni, una tradizione quindi che non deve stupire. «Tornavo sempre a casa con un profumo intenso addosso, attaccato alla giacca... Per me era un profumo, ma anche un sapore».

Riso Carnaroli Acquerello invecchiato 7 anni nel suo germoglio, mantecato con Parmigiano, e polvere di cima di pigne fermentate (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Riso Carnaroli Acquerello invecchiato 7 anni nel suo germoglio, mantecato con Parmigiano, e polvere di cima di pigne fermentate

Questo sapore Alessandro lo ha trasportato nella sua cucina, «ma ci sono voluti anni. Bisogna fermentare la pigna, tostarla, trovare il giusto equilibrio dell'affumicatura, arrivare a sentire dalla resina quella sensazione di fumo, di camino...». Così, assaggiando quel risotto, la sensazione è proprio quella che Alessandro voleva trasmettere: il ricordo di una vecchia baita di montagna.

Il pane del viaggio...
Sul pane c'è molto da discutere oggi, specialmente nei ristoranti di un certo livello. Il cesto del pane, quello a cui tutti noi italiani siamo per tradizione così abituati, cede il posto a una riflessione attenta circa il rapporto tra sazietà dell'ospite e apporto nutrizionale delle varie portate. «Quando crei un percorso devi prestare attenzione ai carboidrati... Troppi piatti a base carboidrato rischiano di essere esagerate per il commensale, che uscirebbe appesantito dopo 10/15 portate, quando invece dovrebbe alzarsi da tavola solo sazio». Il cesto del pane all'inizio della cena, «che lo finisci subito perché è dannatamente buono e poi non mangi più nulla», cede il passo quindi al pane come portata. «Ti faccio anche capire così l'importanza del pane, l'importanza della condivisione» e allo stesso tempo questa scelta permette ad Alessandro di esaltare materie prime da accostarci, come il burro home-made montato al momento, l'olio «fatto da amici miei importanti» dalla Sicilia - quindi con un prodotto più delicato rispetto a quanto si possa trovare in un olio pugliese -, il formaggio «fatto da Amor, un contadino stupendo che ci porta cose incredibili».

Il pane del viaggio... (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Il pane del viaggio...

La Pernice...
Una pernice cotta su corteccia con nappatura di fiori di erica con ginepro e punta di crespino viene impiattata direttamente al tavolo, non da Gilmozzi, ma da "uno dei suoi", parte della brigata. «Faccio uscire i miei cuochi in sala. Un piatto a testa, escono e lo raccontano. La prima volta c'è tanta emozione perché non sono abituati, ma a forza di farlo si crea una capacità di comunicare col cliente pazzesca!».

Per Alessandro la sala è importante, «è il 50% del ristorante». Come i cuochi escono e raccontano i piatti, così i ragazzi di sala «entrano in cucina, assaggiano, guardano cosa facciamo... Chiaramente non cucinano, ma a volte vengono a raccogliere con noi». Tutti sanno fare tutto, si crea un mix di abilità essenziale perché la "macchina" funzioni al meglio.

Pernice cotta su corteccia con nappatura di fiori di erica con ginepro e punta di crespino (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Pernice cotta su corteccia con nappatura di fiori di erica con ginepro e punta di crespino

La Pernice che ci è stata servita al tavolo è stata cotta dalla parte della pelle e lasciata riposare sulla corteccia di cirmolo. Vengono poi aggiunte bacche di erica e crespino (di cui la pernice di nutre), poi sale maldon e una cialda di Riesling. La salsa viene preparata dopo aver cotto ali e cosce.

Dal salato al dolce Alessandro Gilmozzi ci arriva gradualmente. Il primo "dessert" è la Zucca come un caco, uva di Marzemino ed erba gatta. La zucca è maturata a ultrasuoni; il gelato è fatto con l'uva e i suoi acini (che rimangono croccanti); la crema è preparata partendo da panna e latte acido... La cosa più stupefacente è che la zucca sa veramente di caco! Segue il particolarissimo Icy Corteccia, bel sunto della filosofia di Gilmozzi: un gelato alla corteccia con crumble di sottobosco, licheni, nocciole, radice di liquirizia selvatica, borraccina e fiori di menta. A chiudere l'immancabile piccola pasticceria: una Pigna di pino mugo macerata nel miele, un Tiramisù salato con cenere di pigna, mascarpone e skir di mandarino e una Pastiglia all'abete.


Il Gin tonic...
Dopo il caffè Alessandro ci fa provare un Gin tonic, «il Gin tonic c'è sempre, da qualsiasi parte vai bevi un Gin tonic». La particolarità di questo drink da El Molin sta nel gin, non un prodotto industriale, nemmeno un distillato acquistato da qualche produttore in giro per il Trentino... «Il Gin lo facciamo noi». Si chiama Gilbach Gin. «È nato un po' per gioco. Facevamo già distillazioni anni fa, ma non alcoliche, non potevamo, chiaramente... Erano più acque profumate, idrolate, oli essenziali. Poi insieme al mio vecchio sous chef, Bachman, ci siamo lanciati in quest'avventura, abbiamo trascorso notti intere a studiare, a fare prove su prove».

Gilmozzi ci racconta tutta la storia. L'entusiasmo iniziale, la passione nel realizzarlo, la raccolta delle materie prime che vengono poi messe a macerare in un alcol proveniente dalla birra del fratello, «così c'è tracciabilità anche nella scelta dell'alcol». Il Gilbach Gin, prodotto inizialmente in 600 bottiglie, oggi tocca le 4mila. È distillato in Trentino da Pilzer, «una bravissima persona». Nasce da tre elementi, il ginepro, la bacca di sambuco e la bacca di prugnola selvatica. «È una chicca».

Gin tonic a base di Gilbach Gin (Saperi antichi e voglia di fare rete La cucina di montagna di Gilmozzi)
Gin tonic a base di Gilbach Gin

E il Gin tonic? 2 cl di Gilbach gin, aqua profumata al pepe bianco, more azotate e acqua tonica peruviana proveniente da un'altitudine di 1724 metri sopra il livello del mare.

Le altre attività
Accanto a El Molin, ristorante gastronomico stellato Michelin, Gilmozzi gestisce altre due strutture. Un bistrot e trattoria, «dove facciamo i piatti della tradizione italiana e trentina... Per intenderci, ci sono anche i canederli», e una pizzeria «classica con un tocco gourmet».

Alessandro infatti nasce figlio di albergatori, ha vissuto per anni «non dico in una camera d'albergo, ma quasi...», è nato «mentre mia mamma stava preparando la polenta... Era quasi destino io diventassi cuoco». Per diversi anni si è occupato delle strutture di famiglia, per poi concentrarsi su queste tre attività, che insieme sintetizzano l'universo gastronomico del Made in Italy... in Trentino.





Per informazioni: www.alessandrogilmozzi.com

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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